Scuola: naufragi e naufraghi
di Daniela Pia
Questa scuola che vivo attualmente non mi rappresenta più, non la sento mia: non tanto per la relazione con studenti-studentesse che rappresentano sempre una sfida importante ma per tutto ciò che ha fagocitato il cammino che ha sempre caratterizzato l’istruzione.
Complice la pandemia, negli ultimi anni abbiamo perso l’umanità del confronto didattico e umano, la capacità e la responsabilità di essere severi nel giusto giudizio; ci hanno costretti ad abbassare sempre più l’asticella di ciò che dovremo aspettarci dai nostri discenti, per restituirglielo poi negli anni a venire, come competenze di cittadinanza consapevole e critica.
Tutto è diventato ragioneria spicciola: devono tornare i numeri per raccontare che un istituto funziona, che il dirigente è all’altezza e che quella determinata scuola ha raggiunto risultati apprezzabili… da chi poi non è dato saperlo.
Eppure gli ultimi dati ci raccontano che in Italia circa il 28% della popolazione fra i 16 e i 65 anni risulta essere analfabeta funzionale: non significa che non sappiano leggere o scrivere – e anche questa non è una verità assoluta – ma che non sono in possesso delle abilità necessarie a comprendere appieno e usare le informazioni quotidiane con le quali, costantemente, debbono confrontarsi.
Con questo grave problema tutti i giorni si confrontano i docenti della scuola italiana, inascoltati da ministri e politici che non mancano di deliziarli, senza tregua, su improbabili riforme atte a “risolvere” questioni di lana caprina.
Da docente mi sono trovata a svolgere la mia professione con classi intere che non hanno il libro di testo, oppure solo uno ha il libro di storia, un altro la letteratura, un terzo quello di inglese eccetera.
Non ce lo possiamo permettere…dicunt.
Poverini, bisogna capirli: prima il pacchetto di sigarette, due merendine, tre cioccolati e il cellulare ultimo grido.
Facciano le foto delle pagine dei libri, le inviino sul cellulare e si proceda. Nessuno osi dire che è illegale, che abbiamo DSA e altri acronimi dello stesso tipo (tutto è abbreviato) che allora vuol dire: tu docente, non sai trovare strade alternative a spremere succo dalla pietra.
Così chiedi a questi garzoncelli scherzosi – pur di sentirli partecipi, ragionare ed esprimersi in modo compiuto – di raccontarti una ricetta, una nella quale si sentono ferrati. Raccontare e scriverne poi.
Solleciti la loro attenzione su ingredienti, tagli di carne, profumi, sensi che debbono essere attivati e se osi chiedere di specificare il taglio della carne ti senti apostrofare con venti *azzi.
Con la paura di vederti scagliata addosso la bottiglietta dell’acqua. Lo studente è recidivo, responsabile di fatti piuttosto gravi per lui e per le implicazioni correlate. Ti dici che, in ottemperanza al regolamento di istituto quella mancanza di rispetto dei ruoli, il continuo farsi pari fra gli impari, non può più essere tollerato. Ne parli in consiglio di classe, tutti d’accordo nel dare segnali inequivocabili sul rispetto del ruolo del docente, fai una relazione dettagliata, chiedi la convocazione di un consiglio di classe straordinario entro tempi brevi, affinché la sanzione abbia la efficacia. Vieni ignorata. Scrivi ancora, vieni di nuovo ignorata.Nessuno ti risponde.
Il senso di solitudine è devastante. Trascorrono venti giorni. L’anno scolastico agonizza, noi pure, si avvicinano gli scrutini e si può già vedere l’anteprima del film che verrà proiettato: Italiano 3, Storia 2 e così via con leggere variazioni. E qui inizierà la danza: il 2 diventerà 3, il 3 si farà 4, il 5 vestirà i panni del 6, il 5+ si trasformerà in 7.
“Che vuole professoressa questi ragazzi dobbiamo tenerceli, sollecitarli, spronarli; perdiamo posti di lavoro, la classe rischia di non formarsi. E allora…”.
Qualcuno cantava così:
“È l’ultimo giorno però
domani ti abituerai
e ti sembrerà una cosa normale:
fare la fila per tre,
rispondere sempre di sì
e comportarti da persona civile”.
Cosa volete che sia un alfabeta funzionale in più? Il sistema ce lo chiede, lo pretende e quindi o ti adegui o morirai, come la non-scuola nella quale stai. Come la non-scuola dalla quale voglio evadere: Alcatraz della bellezza, della letteratura, dello spirito critico. Opificio di manodopera non pensante, catena di montaggio che produce forza lavoro a basso costo per un mercato del lavoro con sempre meno tutele.
Sono certa che se non si inverte la rotta questa vecchia nave-scuola non potrà che finire come una “Costa Concordia” dell’Istruzione; a meno che i nostri Schettino non siano costretti da un qualche De Falco a tornare a bordo… Cazzo.
il pessimista è un ottimista bene informato, diceva qualcuno.
secondo me Daniela è molto bene informata
Ci conosciamo da tanti anni che penso non ci siano dubbi sul mio pensiero. Daniela hai perfettamente ragione. Evidentemente fa comodo avere ignoranti, far morire la scuola pubblica, creare una scuola privata per pochi eletti talmente bravi da avere in famiglia un reddito milionario. Con l’illusione di includere qualcuno che non lo merita perdiamo gli altri che cercano il nostro aiuto. La tua coerenza speriamo sia una bussola per chi pensa che il problema della scuola sia solo per noi docenti
Daniela è una di quelle docenti che sono ancora in grado di fare volare alto i ragazzi e i colleghi. In una scuola come quella di oggi però c’è sempre meno spazio per l’aspetto “onirico”dell’insegnamento, ci obbligano ad individuare competenze sulla vacuità del nulla, ci ricordano che i programmi non esistono…onestamente non ho ho ancora ben capito cosa significhi questa affermazione, ciascuno di noi ha studiato per decenni specializzandosi su quei contenuti che si vogliono spazzare via. Ho una bimba piccola e per lei vorrei una scuola di sostanza, perché la sostanza è una vera ancora di salvezza, sempre.
Grazie.