Se bicicletta vi par facile
«Ci manca(va) un Venerdì» – numero 93 – dove Fabrizio Melodia, astrofilosofeggia e pedala con Ivan Illich, Olindo Guerrini, Didier Tronchet, Josè Antonio Viera-Gallo, Albert Einstein, Nicola Pfund. Un doveroso avviso: qui c’è Armstrong, manca Pantani.
«Le biciclette permettono di spostarsi più velocemente senza assorbire quantità significative di spazio, energia o tempo scarseggianti. Si può impiegare meno tempo a chilometro e tuttavia percorrere più chilometri ogni anno. Si possono godere i vantaggi delle conquiste tecnologiche senza porre indebite ipoteche sopra gli orari, l’energia e lo spazio altrui. Si diventa padroni dei propri movimenti senza impedire quelli dei propri simili. Si tratta d’uno strumento che crea soltanto domande che è in grado di soddisfare. Ogni incremento di velocità dei veicoli a motore determina nuove esigenze di spazio e di tempo: l’uso della bicicletta ha invece in sé i propri limiti. Essa permette alla gente di creare un nuovo rapporto tra il proprio spazio e il proprio tempo, tra il proprio territorio e le pulsazioni del proprio essere, senza distruggere l’equilibrio ereditario»: così il grande Ivan Illich, filosofo, pedagogista, storico, scrittore, agitatore… austriaco per nascita ma altermondialista per scelta.
In effetti, in un mondo congestionato come il nostro, la bicicletta pare essere la nostra possibile salvatrice. Ovviamente, come tante medicine, presenta alcune controindicazioni dettate soprattutto dall’ambiente su cui va ad agire.
Non è un segreto che in maggioranza gli automobilisti italiani siano una “razza” feroce: lo testimonia ogni anno la percentuale di incidenti, spesso mortali, cui vanno incontro pedoni e ciclisti.
Alle domande cui la bici va a soddisfare, si aggiunge dunque una difficoltà intrinseca, legata principalmente all’etica della bicicletta: il rispetto “diffuso” delle più elementari norme del Codice della strada.
L’esperienza quotidiana mette in luce anche ciclisti che tagliano la strada incuranti di pedoni e autoveicoli; che corrono sui marciapiedi; che legano le bici dove non si può; che passano con il semaforo rosso; che parcheggiano sul posto disabili. E posso testimoniare che nella zona della stazione di Padova vengono realizzate frequenti “retate” dove vigili e altri difensori dell’ordine requisiscono molti velocipedi indebitamente posteggiati.
Eppure… «il socialismo può solo arrivare in bicicletta» affermò in una famosa intervista il politico e avvocato cileno Josè Antonio Viera-Gallo, poi ripreso dal presidente Salvador Allende.
E’ il mezzo ecologico per eccellenza, unica seria alternativa popolare al trasporto su quattro ruote, democratico e proletario per antonomasia; Viera-Gallo fece notare come «le alte velocità delle automobili andavano contro il principio di uguaglianza di accesso e di utilizzo da parte di tutti, salvo che si potenziassero i mezzi di trasporto pubblici», pronunciandosi apertamente a favore delle leggi del governo cileno riguardo all’acquisto delle automobili, invece caldeggiate dall’opposizione di Destra.
La bicicletta insomma è contraddittoria o meglio è usata da persone con diversissimi “stili di vita”: causa di alcuni squallidi modi di comportarsi ma anche baluardo per una reale uguaglianza e in difesa dell’ecologia.
Dove sta la verità? Non credo nel “mezzo”, piuttosto sulla libertà di scelta e sulla filosofia stessa che dovrebbe in teoria sostenere le pedalate dei ciclonauti.
«La bicicletta è stata, per la donna, subito accessibile, senza divieti, senza remore di puritanesimo, senza scomuniche» affermava il compianto giornalista sportivo Adriano De Zan … forse esagerando un poco perché in molti dissero che la bici era immorale e “pericolosa” per le donne, anzi c’è chi ancora lo crede. (*)
Il ciclista statunitense Lance Armstrong spiegò: «Perché a tutti i bambini piace la bicicletta? Perché il primo set di ruote rappresenta la liberazione e l’indipendenza. Una bicicletta è libertà di vagare, senza regole, senza adulti». Che poi Armstrong abbia fatto un cattivo uso delle “medicine”… nulla toglie alla verità di questa frase, confermata dall’evidenza di bambine/i.
Forse per questo alcuni vivono la bicicletta “senza regole” perché essa segna la liberazione dal limite pedonale e sancisce la scoperta di un modo di viaggiare diverso e maggiormente rispondente all’ambiente che ci circonda, un’esperienza uguale per tutti e facilmente accessibile; anche a quelle persone come me, vissute da sempre nella laguna veneziana, e che hanno imparato molto tardi a usare le due ruote… come è capitato a me. Mi ritrovo nell’affermazione dello scrittore svizzero Nicola Pfund – nel suo libro «La Svizzera in bicicletta: un viaggio a due ruote nella patria di Guglielmo Tell», edito da Fontana edizioni nel 2008 – che afferma: «pedalando cambia la percezione del tempo, che si dilata. È il momento in cui si apre la possibilità di un ascolto interiore e in cui si tende a relativizzare quei problemi futili e soffocanti, portando in primo piano le cose essenziali». Pedalando si apre il tempo al pensiero critico, si dà modo all’anima di espandersi e ritrovare ritmi diversi da quelli della società frenetica.
Pedalare con filosofia in libertà significa riprendere quello spazio umano che moltissimi esseri umani si sono da se stessi preclusi, rinchiudendosi in una labirinto frenetico e spersonalizzante fatto di asfalto, velocità, sensi unici e vietati.
«Lentamente, l’automobilista si è lasciato rinchiudere in ragionamenti tronchi in cui gli effetti non hanno più cause; un’altra logica, di corte vedute, indotta dalla sua posizione al volante. Cioè da solo. Una logica profondamente individualista. Questa piccola prigione di acciaio lo ha isolato anche socialmente. Più della capacità di ragionare, è il suo senso della vita di comunità che si è perso per strada» spiega con ironia il giornalista e umorista francese Didier Tronchet.
La ricetta potrebbe essere semplicemente lasciare a casa le automobili, muoversi nel rispetto di coloro che scelgono le gambe per ritrovare la strada o il treno per le lunghe distanze della mente? Tronchet non ha dubbi e – nel suo libro «Piccolo trattato di ciclosofia», di cui consiglio caldamente la lettura – afferma candidamente: «quando vedrete passare un ciclista trasognato, non fidatevi del suo aspetto inoffensivo e bonario: sta preparando la conquista del mondo».
In quasi conclusione le parole di Albert Einstein: «le persone sono come le biciclette: riescono a mantenere l’equilibrio solo se continuano a muoversi». Ma ricordiamoci sempre di muoverci secondo i nostri tempi, rispettando segnali e indicazioni, senza l’arroganza di alcuni ciclisti.
«Io corro, io volo sulla bicicletta, / questo ideal delle cavalcature: / chi soffre d’emorroidi o di bolletta / m’insulti pure» ammonisce lo scrittore e poeta Olindo Guerrini.
(*) Qui in “bottega” ci permettiamo di ricordare «La bicicletta verde», delizioso film del 2012 scritto e diretto da Haifaa Al-Mansour.