Se la realtà è ret-conizzata

  un racconto-recensione intorno al romanzo di Andrea Viscusi «Dimenticami trovami sognami» (edito da Zona 42): è la seconda incursione in “bottega” di Johnny Sheetmetal (**)

yerka-notte

Tutte le anomalie verranno regolate dalle forze che controllano ogni dimensione. Ovunque ci sia vita non verranno usati elementi transuranici pesanti. Sono disponibili i pesi atomici medi: Oro, Piombo, Rame, Giaietto, Diamante, Radio, Zaffiro, Argento e Acciaio. Sono stati assegnati Zaffiro e Acciaio.

DIMENTICAMI

Dorian Berti e Simona Tevere si trovavano già da qualche tempo alla base. Una notte stavano dormendo beatamente, quando vennero svegliati da una voce. Aprirono gli occhi all’unisono, e trasalirono: nella stanza c’erano tre persone. Due di loro, un uomo e una donna, non li avevano mai visti. Lei era bionda, indossava un vestito azzurro come i suoi occhi, e aveva un’aria sofisticata. Lui, camicia bianca, giacca e farfallino neri, pareva l’agente segreto di un qualche vecchio telefilm anni ’70. Il terzo era Johan Isidore Runciter, il grande capo di tutta la baracca; era stato lui a svegliarli

«Ispezione a sorpresa», disse.

«Come sarebbe a dire…?»

«I signori qui vogliono farvi alcune domande.»

«Ci dispiace disturbarvi proprio nel mezzo del vostro sonno, ma è necessario», fece l’uomo, deciso.

«Non preoccupatevi», intervenne la donna, a smorzare la tensione. «Tra dieci minuti potrete tornare a dormire.»

Dorian e Simona si guardarono. «Ma chi sono questi due?», chiese Simona, in tono irritato, rivolta a Runciter.

«Non importa chi siamo, perché questo è solo un sogno», le rispose la donna, in tono lievemente canzonatorio.

«Uno di quei sogni che la mattina non si ricordano», le fece eco l’uomo, guardando la compagna e sorridendo.

«State scherzando?»

«Hanno un’autorizzazione del ministero, non ho potuto sbatterli fuori, anche se mi sarebbe piaciuto», fece Runciter, allargando le braccia.

«Bene, cominciamo. Signor Berti, cosa l’ha spinta esattamente a entrare nel progetto Milam7?», chiese l’uomo, mentre la bionda cominciava a girare per la stanza esaminando attentamente oggetti e arredamento.

«Io…»

«Risponda, per favore. E cerchi di essere il più sincero possibile.»

«Beh… Ho sempre sognato di fare l’astronauta.»

«Può essere più dettagliato? Quali pianeti le sarebbe piaciuto visitare?»

Dorian sembrò interdetto. «Nessun pianeta in particolare. Mi affascinava l’idea di viaggiare nello spazio.»

«Può descrivermi meglio cosa intende, lei, per “spazio”?»

«Che domande sono? Lo spazio, il sistema solare… l’universo.»

«Lo spazio esterno, quindi.»

«Esattamente. Lo spazio esterno. Viaggiare nello spazio.»

«Cos’ha pensato quando le è stata rivelata la vera natura del progetto?»

«Non vedo perché dovrei raccontare proprio a lei le mie…»

«Rispondigli, Dorian, così la facciamo finita», intervenne Runciter.

«Ho pensato che era qualcosa di diverso da quello che mi sarei aspettato, ma che poteva andar bene lo stesso.»

«Poteva andar bene lo stesso… Lei sa a cosa sta andando incontro, non è vero?»

«Certo che lo sa. Lo sa benissimo. L’abbiamo istruito alla perfezione», intervenne Runciter, che sembrava preoccupato e guardava nervoso Simona.

La donna aveva smesso la sua ispezione della stanza, e ora si rivolse proprio alla ragazza.

«E tu, perché hai seguito Dorian alla base?»

«Come sarebbe a dire?», rispose. Si girò a guardare il ragazzo. Erano ancora sotto le coperte, la schiena appoggiata ai guanciali. «Io… perché lo amo.»

«Buona risposta», sorrise la donna. «Come vedi il tuo futuro?»

«Cosa…?»

«Come vedi il tuo futuro, Simona?»

Per un attimo la stanza fu avvolta da un silenzio strano, quasi elettrico.

«La domanda di Zaffiro non è precisa. Cosa sogni per il tuo futuro, Simona?», disse Acciaio.

Il viso di Simona parve illuminarsi. «Sogno di fare la maestra d’asilo, e di vivere con Dorian.»

Dodici anni dopo, Zaffiro e Acciaio erano di nuovo alla base, nell’ufficio di Runciter. Dorian Berti si era appena “svegliato” dal suo misterioso viaggio, e Runciter si stava complimentando con lui per la buona riuscita della missione. I due avevano chiesto di poter semplicemente assistere al colloquio, e di interromperli se necessario con qualche domanda.

«Non servirebbe a niente riportarti la mole colossale di dati che ci hai fornito», stava dicendo Runciter a Berti, «perché si tratta di una sequenza infinita di numeri, misure e valori che non ti direbbero niente. Ma la tua missione ha accumulato una quantità tale di informazioni che gli astronomi di tutto il mondo potranno lavorarci per almeno un decennio. È straordinario.» (*)

Dorian, che non appariva invecchiato di un giorno rispetto ai dodici anni trascorsi, taceva. Runciter stava per riprendere a parlare, quando Acciaio li interruppe.

«Un momento, Runciter. Berti, cosa ne pensa della spiegazione che le ha appena fornito il suo superiore?»

«Come?», il viso di Berti appariva smarrito.

«Lei è reduce da un viaggio nello “spazio”, o forse sarebbe meglio dire ”oniro-spazio”, visto che la definiscono come “onironauta”, durato dodici anni. Ora è appena tornato, e il dottor Runciter le sta illustrando i risultati della sua missione. Cosa ne pensa, lei, di questi risultati?»

Sullo schermo del PC di Runciter scorrevano ancora quelle immagini simili a un fluire di macchie indistinte di luce, che il responsabile della missione aveva definito come “la registrazione di un viaggio onironautico”.

«Io… penso che la missione sia riuscita, anche se sono un po’ confuso», rispose Dorian.

«E’ più che normale, dopo un’esperienza del genere», intervenne Runciter.

«Già, dodici anni lontani dalla realtà non possono non lasciare dei segni. Però cerchi di raccogliere le idee, e di rispondermi sinceramente. La spiegazione del suo capo riguardo ai risultati del suo viaggio, la lascia soddisfatto?»

Dorian aveva di nuovo lo sguardo perso nel vuoto, e taceva.

«Non ti è piaciuto visitare la cintura di Gould?», intervenne Zaffiro, sorridendo dolcemente.

«Che sensazioni provava, mentre si librava tra le stelle?», Acciaio.

«Dove ti trovavi di preciso, lungo quei tremila anni luce? Quali costellazioni hai visitato? Cassiopea, il Toro, lo Scorpione…?», ancora Zaffiro.

«Ora basta, questi sono argomenti riservati!», scattò in piedi Runciter, rosso in viso.

«Si calmi, Runciter. Non siamo qui per accusarvi di nulla. Vogliamo solo capire», disse Zaffiro, e qualcosa nel suo tono più che nelle parole parve calmare l’uomo.

Aspettarono ancora qualche secondo, ma Dorian non rispose.

«E va bene. Un ultima domanda, Berti. Come trova il mondo dopo dodici anni di assenza?»

«Non mi sono ancora fatta un’idea precisa.»

«Non è curioso di scoprirlo?»

Di nuovo Dorian parve interdetto. Fissò nel vuoto per qualche secondo, poi finalmente parve trovare la risposta che cercava. «Non particolarmente.»

«Allora, ricapitoliamo. Non le interessa approfondire l’esito della sua missione durata dodici anni. Non le interessa scoprire com’è cambiato il mondo. Cosa le interessa, allora?»

«Acciaio, per favore…», sembrò rimproverarlo Zaffiro.

«Mi interessa… Mi interessa ritrovare Simona», rispose Dorian, e fu come se la voce che aveva parlato non fosse la sua.

TROVAMI

Era il 28 ottobre del 1991. Zaffiro e Acciaio erano seduti su un divano, nello studio del dottor Novembre. Stavano assistendo alla accesa discussione in corso tra il dottor Novembre stesso e un suo “paziente”, di nome Mose Astori (Mòse con l’accento sulla o).

«No. No, non posso crederci. Mi stai dicendo che io non esisto? Che sono una tua invenzione? Non posso accettarlo», il dottor Novembre.

«Mi hai frainteso, dottore. Siamo insieme, proprio ora, in questa stanza, e stiamo parlando. Questo significa che esistiamo entrambi, o non esiste nessuno di noi due», Mose Astori, il “paziente”.

«Ma se sostieni di avermi creato…»

«Io ti ho immaginato, e ho fatto in modo che l’universo prevedesse la tua presenza. Allo stesso modo in cui l’Intel…»

«Tu mi hai immaginato? Sono… che cosa, un personaggio dei fumetti?», Novembre, sempre più agitato.

«Stai calmo», Astori.

«No! Non posso stare calmo! Vieni qui a dirmi che la mia vita è una farsa, che io stesso sono stato concepito a tavolino. Io ho una famiglia, ho due figli… anche loro li hai immaginati?» (*)

«Stop!», gridò Acciaio, come un regista che fermi la scena di un film.

Astori e Novembre si girarono a guardarli. Astori aveva un’aria divertita, mentre Novembre più che arrabbiato pareva scocciato, come chi è costretto a fare qualcosa che non vorrebbe fare.

«E voi chi diavolo siete?», disse Novembre.

«Non ha importanza chi siamo. Vi faremo solo un paio di domande, poi vi lasceremo alla vostra discussione.» Zaffiro si era alzata e stava iniziando a perlustrare l’ambiente.

«Questa poi…»

«Tanto stiamo solo sognando», fece Astori a Novembre, sogghignando.

«Dottor Novembre, lei è uno psichiatra o uno psicologo?»

«Sono uno psichiatra.»

«Ed è iscritto all’albo degli psicoanalisti?»

«Certamente, anche se non esercito, perché mi occupo dello studio dei sogni.»

«Allora è di scuola freudiana.»

«Ho abbandonato le teorie freudiane già parecchi anni fa.»

«Il signor Astori è un suo paziente?»

I due si guardarono. «Non so se definirlo un mio “paziente”.»

«Ma è stato Astori a chiedere la sua, diciamo, consulenza, non è vero?»

«Beh… sì.»

«Qual è la sua diagnosi nei confronti del signor Astori?»

Calò un silenzio imbarazzato. Astori guardava Novembre, sempre con quel sorriso ironico stampato in faccia. Novembre pareva confuso.

«Non ho ancora… non ho ancora formulato alcuna diagnosi.»

«Lei crede a ciò che dice Astori? La teoria del ret-con, e il fatto che lui l’abbia addirittura creata

Silenzio.

«Allora, ci crede o no? Si sente una creatura del signor Astori o no?»

«Non mi sento una creatura del signor Astori.» Stava di nuovo alzando la voce.

«E allora perché questa cosa la fa arrabbiare così tanto?»

«Non sono affatto arrabbiato!»

«Forse il dottor Novembre avrebbe bisogno di un buon psicanalista», disse Astori.

«E lei, signor Astori, dove vuole arrivare, con tutte quelle sue teorie?», domandò Zaffiro, che aveva finito di esaminare lo studio.

«Avete letto il mio diario?»

«Diciamo che lo abbiamo sognato. Crede davvero in ciò che ha scritto in quelle pagine?»

«Certo che ci credo.»

«Anche noi due siamo una sua creazione? Ha ret-conizzato la realtà per farci apparire qui, in questo momento?»

Sorrise, divertito da quella possibilità. «E se fosse?»

«Mi dispiace ma non è così», disse Acciaio.

«Come potete esserne sicuri?»

«Perché noi non abbiamo un passato, reale o frutto della suggestione indotta dalla ret-con che sia.»

«Non è possibile.»

«Invece è possibile. Perché noi non apparteniamo a questa realtà. Noi veniamo da fuori

Astori parve allarmato. «Da fuori? Cosa intendete per “fuori”?»

«Intendiamo un’altra realtà.»

«Eresia! Esiste una sola realtà, una sola!»

«Si calmi, Astori!», Novembre.

«Questa gente sta bestemmiando! Esiste una sola realtà, creata dall’intelligenza primeva. Ogni retcon rimodella quell’unica realtà, e scorie di quelle precedenti sopravvivono solo nei sogni, avete capito? Solo nei sogni!»

«Non se la prenda, Astori. In fondo ha ragione. Lei sta sognando», lo blandì Zaffiro.

«E come un sogno verremo dimenticati. Potete continuare il vostro colloquio secondo quanto è stato stabilito. Addio», fece Acciaio, e sparirono.

SOGNAMI

«Sì, pronto. Parlo col dottor Novembre?», la voce di una donna.

«Sì, sono io. Chi parla?» , la voce di un uomo.

«Ecco, senta… Lei non mi conosce. Ma dobbiamo parlare.»

«Perché?»

«Perché io sto sognando i suoi sogni.»

Lunghi istanti di silenzio. Poi di nuovo l’uomo: «Non può…»

«Scusi?»

«Lei è la signora Zonini?»

«Sì, ma lei come…»

«Lei sta sognando i miei sogni, ha detto.»

«Sì, sembra assurdo, ma…»

«No, le credo. Le credo senza alcun dubbio. Perché io sto sognando i suoi.» (*)

In quella sulla linea s’intromise una terza voce.

«Signora Zonini, posso farle una domanda?»

«Pronto? Pronto? Dottor Novembre?», la Zonini.

«Ci devono essere dei disturbi sulla linea», fece Novembre.

«Nessun disturbo, tranquilli.» Una quarta voce, questa volta femminile. «Vi faremo solo qualche domanda, poi potrete continuare la vostra discussione.»

«Ma cosa succede? Chi diavolo…?»

«Signora Zonini, risponda alla mia domanda, per favore. Come fa a essere certa che il dottor Novembre è sincero con lei?»

«Cosa?»

«Si rende conto di cosa gli ha detto? Ha raccontato al dottor Novembre, che le ricordo essere uno psichiatra specialista in sogni, dottore mi corregga se sbaglio, gli ha raccontato di sognare i sogni di lui.»

«Ed è la verità.»

«E se il dottor Novembre la stesse assecondando semplicemente come si assecondano i pazzi

«Pronto? Ma chi parla? Ma come si permette di…»

«Siate calmi, riattaccheremo molto presto. Vogliamo solo che rispondiate a queste domande, nel modo più sincero possibile.»

«La prego, signora Zonini, mi chiarisca questo dubbio: come può essere così certa che il dottor Novembre le creda?»

«Perché non ribaltiamo la domanda al dottor Novembre?», interruppe la voce di donna. «Come fa a essere certo che questa donna al telefono, la signora Zonini, che in fondo per lei è una perfetta sconosciuta, le stia raccontando la verità e non sia invece in malafede?»

Per qualche istante si sentì solo il rumore di fondo tipico dei vecchi apparecchi telefonici.

«La signora Zonini non è una sconosciuta», affermò il dottor Novembre. «Io ho sognato i sogni di lei, quindi la conosco.»

«Lo stesso vale per me, e per i sogni del dottor Novembre, cioè per i miei sogni che erano i suoi», fece la Zonini, tradendo una certa confusione.

«Dottor Novembre, lei che è uno specialista dei sogni, non nel senso freudiano del termine, ovviamente, risponda ancora a questa domanda: come può essere certo che i sogni che faceva fossero davvero della signora Zonini, e non fossero invece i suoi?»

«Ma è ovvio: perché c’era la signora Zonini nel sogno.»

«La vedeva dall’esterno o era dentro di lei?»

«Ero… ero dentro di lei. Io ero la signora Zonini.»

«Quindi sapeva di essere la signora Zonini, nel sogno.»

«Io… io ero lei.»

«Ma se era la signora Zonini, e quindi non era più se stesso, come può ricordarsi di un sogno fatto da un’altra persona?»

«Cosa?»

«Lei adesso è il dottor Novembre, non la signora Zonini. Come fa a ricordarsi di un sogno fatto dalla signora Zonini?»

«Perché c’ero nel sogno; ero lei!»

«Quindi era anche se stesso. Altrimenti non potrebbe ricordarlo.»

«Ma insomma, io…»

«Smettetela, vi prego, smettetela!», urlò la signora Zonini, sull’orlo delle lacrime.

«Ha ragione, Acciaio. Stai esagerando. Penso che possa bastare.»

Ci fu un sospiro. «E’ un peccato, Zaffiro, proprio adesso che mi stavo divertendo.»

Le due voci intruse scomparvero, e vennero presto dimenticate da Simona Zonini e dal dottor Novembre.

NON M’INTERESSANO I TUOI SOGNI

Acciaio, mi senti?

Forte e chiaro come sempre.

Volevo ancora dirti questo. Percepivo del vuoto in tutti quegli ambienti. Come se fossero soltanto dei fondali cinematografici.

Anch’io ho avuto quest’impressione. Dei personaggi che mi dici?

Delle brave persone, ma un po’ confuse, e molto semplici nelle loro motivazioni.

E del tempo?

Il tempo, sempre il tempo. E’ la tua ossessione, Acciaio.

Il tono di Zaffiro era stato dolcemente canzonatorio, eppure seguirono alcuni istanti di silenzio.

Forse è il tempo il vero protagonista, là dentro.

E’ vero. Spadroneggia e si fa beffe dei personaggi.

Avanti e indietro negli anni, e nulla sembra cambiare.

Ci dev’essere un’anomalia. Ecco perché siamo stati chiamati.

E’ possibile. Tu però dovevi essere meno duro nelle tue domande. Ti fai sempre prendere la mano, Acciaio.

Nomen omen, dicevano gli antichi. Un po’ di decisione serve sempre. Stendiamo il rapporto finale?

Che bisogno c’è di stenderlo? Basta sognarlo.

Vero. Ma attenta a sognare i tuoi, di sogni. Non voglio intrusioni nei miei.

Stai tranquillo, Acciaio. Non m’interessano i tuoi sogni.

(*) le battute in corsivo dei dialoghi contrassegnati dall’asterisco sono tratte direttamente dal romanzo di Viscusi.

(**) Come qualcuna/o ha già appreso – leggendo «Codice rosso: evitare che si parli di questo libro» qui in “bottega” – «Johnny Sheetmetal» è lo pseudonimo scelto da un nuovo collaboratore del Marte-dì. Da tempo lo stimo ma di lui so poco; di certo non ama i riflettori. Mi ha accennato che era incerto su altri pseudonimi: A.B. – Il custode del cancello – Buck the Bookman. Se questi nomi/gnomi bastano a costruire un identikit, bene per voi; rispetto il suo desiderio di «rimanere nell’amabile ombra» e del resto anche io gradisco il crepuscolo… Mi pare di capire che Johnny ha una “pazza idea” (nulla a vedere con Patty) in testa: fare all’incirca ogni mese un racconto-recensione, ovviamente con idee, protagonisti e ambientazioni diverse ma in stretta relazione al libro “censito” – stavolta Viscusi, a gennaio Vittorio Catani – epperòperon sempre muovendosi nei vasti territori del fantastico. Yuk-yuk.

Qui noterete che Johnny – da pronunciare strascicato, come fossimo nel cabaret tedesco – ha riesumato Zaffiro e Acciaio, telefilm culto degli anni 70. E ora un quiz per solutori più che abili: è lecito prendere pezzi di un libro e contestualizzarli altrove? Oppure è come se si operasse chirurgicamente il pensiero di un autore/autrice mettendo dentro sonde che interagiscono con una roba già creata… e in certo senso deformandola, per poi ri-uscirne? La risposta quasi unanime dei 428 esperti, consultati separatamente da me e da Johnny Sheetqualcosa, è stata «boh». Solo uno dei 428 ha dato quest’altra risposta: «chi scrive considera l’opera come nata dalle sue viscere ma non può esistere una paternità o maternità assoluta». Questa risposta difforme è ora al vaglio della Sfinge di Edipo, del gruppo di studio che si incarica di ri-modificare la ri-Cirinnà nonchè dell’ultima commissione che deve completare le note esplicative del concilio di Trento. Vi terremo aggiornati sugli sviluppi e sulle eventuali repliche dei 427.

Intanto diamo appuntamento a Sheetmetal per il prossimo mese. Come dite? Consigli per altri libri da recentare, cioè recensire/raccontare? Sento una vocina suggerire «Anna» di Niccolò Ammaniti. Ma un’altra vociona obietta «No. Meglio…» e non si sente più nulla, un’interferenza probabilmente, magari della materia di cui si dice sian fatti i sogni. Epperòperonpomperoperon pensate che beeeeeeeeello se Johnny “massacrasse” il peggior fantasy italiano. E se… No, questo non oso scriverlo: è troppo anche per me che pure sono bisnipote diretto di Attila.

C’è bisogno di aggiungere che l’illutrazione è del qui amatissimo Jacek Yerka? (db)

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

5 commenti

  • Mmmmmm! La tessitura non scorre. Ma c’è del buono.
    Alla prossima.

  • Faccio i miei applausi sentiti perché leggere i nomi “Zaffiro e Acciaio” mi fa sempre commuovere.
    Questo è un colpo basso, Johnny. Bassissimo.
    Continua così.

  • mettila in bottega se hai coraggio
    db
    (sai che Leopardi ha scritto di ROBOT…?)

    Caro Mastro Ciliegia,
    sfidarmi è andare a nozze, tra l’altro il 9 aprile di quest’annata.
    Spero vada bene qui, altri luoghi in bottega non ne trovo.
    … …
    Per “godere senza limiti” lei intende godere come un riccio oppure ancor di più e in tutti i campi dello scibile umano e non, incluso quanto nell’infinito spazio? … e me dolce naufragar in questo mar. Ritengo Giacomo un genio assoluto e grande anticipatore della fantascienza. Quando rileggo CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA non la sento ambientata sulla Terra. Per me è un colono terrestre su di altro pianeta che si racconta.

    Su Giacomo v/s Robot ho un vaghissimo ricordo ma forse è dettato dallo stimolo neurale (ne ho uno, per il momento) che mi hai dato.
    No, sinceramente, Giacomo y Robot pensavo fosse una mia esclusiva. Mai, tra l’altro raccontata a niuno per timore o vanagloria.
    Posso solo raccontarlo a te.

    Sondaggio tra i lettori.
    Chi di voi lettori di fantascienza sono anche lettori di Giacomo.
    Quanti di voi, se lettori di fantascienza y Giacomo, hanno mai fatto, anche inconsciamente, il collegamento?
    DB (detto Mastro Ciliegia) è esonerato essendosi già espresso.

    Non so se vale, ma ho sotto mano LEOPARDI “PENSIERI ANARCHICI” stampato il 9 maggio del 1945 dalla Casa Editrice TARIFFI di Roma.
    Cito a caso “NESSUNO HA IL DIRITTO DI COMANDARE” (4 settembre 1823!) e un “GLI UOMINI SAREBBERO FELICI SE NON FOSSERO GOVERNATI” (indicativamente 1824).

    E invece “vale” (nel senso latino y catalano). Se lo diamo antesignano della fantascienza, qui lo diamo con certezza anticipatore e non di poco del pensiero anarchico/libertario.

    Suerte a todos
    Bruno Alpini

    • Daniele Barbieri

      Quel POCO che so dei rapporti fra Leopardi (maiuscolo) e robot – o meglio: automi – l’ho letto a pag 45 del libro «Di futuri ce n’è tanti», scritto da Daniele Barbieri (eh-eh) e Riccardo Mancini nel 2006.
      Cito:
      «A metà fra il serio e lo scherzo, Giacomo Leopardi propone ad esempio la costituzione di una “accademia dei sillografi” per premiare l’invenzione di tre automi: il primo dev’essere incapace di calunniare l’amico assente e di tradirne i segreti: il secondo, “un uomo artificiale a vapore” per compiere gesta eroiche; il terzo, una moglie devota e aun tempo felice». Quel “e a un tempo” è un capolavoro.
      Graditissimi gli interventi di chi conosce Leopardi meglio di me.

  • Condivido e apprezzo questo esperimento di Johnny! Anche perché la contaminazione fra gli animi di autori differenti ben si sposa con il tema “contaminazione di sogni”. Un bel gioco di scatole cinesi… Bravo Johnny e sicuramente incuriosita da Viscusi. Grande idea quella di inserire Zaffiro e Acciaio nel tutto… Quando si parla di livelli di realtà (e di irrealtà, forse) che si sovrappongono e si (con)fondono, loro sono sempre in prima linea!

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