di Karim Metref (*)
Chi si ricorda dell’Algeria? Sapete, quel piccolo Paese grande come l’Europa occidentale sull’altra riva del Mediterraneo. Proprio di fronte alla Sardegna. Non si parla quasi mai dell’Algeria. Tranne se un gruppo di terroristi prende in ostaggio o taglia la testa a qualche cooperante occidentale. I media internazionali hanno sempre coperto pochissimo il paese nordafricano. Poche notizie ne escono. Anche la sanguinaria guerra civile degli anni 90 che ha falciato quasi 300 mila persone è stata una delle guerre meno documentate nella storia moderna. Sarà perché in Algeria tra un’uccisione di occidentali e un’altra non succede nulla?
Non è così. L’Algeria è un Paese molto dinamico dove succedono molte cose. C’è una società civile che lotta per uscire dalla terribile situazione in cui è rinchiuso il Paese dalla fine della guerra. Ci sono conflitti sociali importanti. Ultimamente ci sono stati persino scontri etnici tra popolazioni arabofone sunnite e una minoranza berberofona ibadita. Quindi c’è guerra etnica e religiosa. Il piatto favorito dell’infotainment globale. Eppure niente. Nessuno ci ha dato importanza e i timidi lanci delle agenzie sono andati a finire nella pattumiera delle notizie non notiziabili.
Questo silenzio è dovuto al fatto che l’Algeria è un Paese poco conosciuto all’estero. Perché è rimasto chiuso per molti anni su se stesso. E in qualche modo lo è ancora. Ma è dovuto anche al fatto che il regime algerino è molto ricco e molto abile nell’arte di comprare il consenso internazionale. Dieci pozzi per i francesi, venti per gli americani, un gasdotto per gli italiani, qualcosina per i tedeschi, qualcosina per i canadesi… e così via. Se sai ingraziarti le multinazionali di ogni luogo diventi un paese al di sopra di ogni sospetto.
Come cosche mafiose
Il regime algerino somiglia molto alle cosche mafiose. E si sa che quando la mafia sta bene, quando i clan si sono spartiti il territorio in modo equilibrato, non c’è notizia. È quando cadono gli equilibri che si perde il controllo e si comincia a sparare. In Algeria sta succedendo una cosa molto simile. Una cosa interessante ma, ahimé, molto pericolosa che rischia di riportare il Paese al bagno di sangue.
Come molti sanno, il presidente Abdelaziz Bouteflika si è fatto rieleggere, o è stato fatto rieleggere, per un quarto mandato consecutivo mentre è gravemente malato. Fino alla sua ultima rielezione, malgrado i limiti fisici, ha continuato a dare segni di relativa lucidità. Ma da qualche tempo è scomparso completamente dalla vita politica algerina. Tranne apparire alla tv nazionale mentre accoglie qualche delegazione straniera. Ma senza mai dire nulla pubblicamente. Nel frattempo sono in atto gravi sconvolgimenti nelle istituzioni algerine. E molti pensano che non può essere lui, che è sempre stato cauto e diplomatico, a causare squilibri così pericolosi tra i vari poteri.
La conformazione del regime algerino attuale è una eredità della fine della guerra degli anni 90. Nel 1991 il Fronte Islamico per la Salvezza (Fis) stravince il primo turno delle prime elezioni legislative plurali della giovane storia del Paese. Al secondo turno era sicuro di prendere la maggioranza assoluta e i suoi attivisti preannunciavano profondi cambiamenti nel modo di vita degli algerini. L’esercito usci dalle caserme, fermò il processo elettorale, obbligò il presidente e il governo in carica alle dimissioni e nominò un governo provvisorio. Da lì si scatenò una serie di eventi che portarono il paese a una lunga e sanguinosa guerra. In quegli anni i generali golpisti (in buona parte finti disertori dell’esercito francese durante la guerra di liberazione) oltre a rafforzare enormemente il loro potere, finora controbilanciato dal partito di governo, il Fronte di liberazione nazionale (Fln), e a mettere le mani sull’economia del Paese, privatizzando a loro vantaggio diretto l’economia statale del defunto sistema socialista, si macchiarono di gravi crimini: rapimenti, esecuzioni sommarie, massacri, torture, manipolazioni, falsi attentati…
Nel 1998 la «comunità internazionale» (leggere gli Usa) impose un negoziato di pace e un piano di uscita dallo scontro armato. Questo piano comportava pochi punti: liberalizzazione del mercato e apertura delle risorse energetiche alle multinazionali, in cambio di amnistia per i militanti dei gruppi armati che accettano di deporre le armi. Da parte loro le monarchie del Golfo avrebbero smesso di soffiare sul fuoco della guerriglia islamista e l’occidente non avrebbe attivato i tribunali internazionali per crimini contro l’umanità. Per innaffiare tutto questo c’era anche un accordo economico tacito: il governo che sarebbe uscito dagli accordi avrebbe gestito le risorse energetiche (gas e petrolio) portandole progressivamente in mano alle multinazionali, i generali avrebbero avuto il monopolio su alcuni settori dell’import export mentre i capi islamisti avrebbero ricevuto aiuti economici per lanciarsi nel commercio interno e nella piccola industria. A garanzia degli accordi gli Stati Uniti e i loro alleati del Golfo hanno imposto un presidente che da una decina di anni è politicamente in disparte: Abdelaziz Bouteflika.
È così che il nostro uomo fu “eletto” nel 1999 e subito dopo convocò un referendum detto della “concordia civile” che in cambio della pace dava l’immunità a tutti i criminali che da una parte e l’altra hanno insanguinato il Paese. Da lì in poi non si accontentò di gestire gli equilibri ereditati dagli accordi segreti, ma porto progressivamente buona parte del potere in mani sue. Il tutto senza mai attaccare frontalmente. A piccoli passi, anno dopo anno, conquista dopo conquista.
Oggi quei generali sono quasi tutti in pensione o già morti. Il potere dell’esercito è stato molto ridimensionato, il generale forte del momento mangia nella mano del presidente Bouteflika. E l’Fln è sotto il cointrollo totale degli uomini del presidente. Cosa mai successa in Algeria dall’indipendenza, tutti i poteri sono concentrati nelle mani di una sola persona.
Ma quest’uomo che detiene così tanto potere è malato, molto malato. Dato varie volte per morto e poi resuscitato per miracolo. Non cammina, riesce a fatica a muovere una sola mano, a malapena può pronunciare qualche parola. Il problema di quelli che vivono sotto la sua ombra è che in tutto il loro clan, il nostro Abdelaziz è l’unico ad avere la storia e l’esperienza politica, le relazioni nazionali e internazionali e il carisma popolare necessari per mantenersi al potere. Intorno a lui niente. E quindi lo mantengono al suo posto per poter continuare l’opera di saccheggio sistematico delle risorse del Paese iniziata da qualche anno. Sanno che se il presidente crolla, crollano tutti con lui.
Ma negli ultimi mesi qualcosa è cambiato. Il presidente non si vede più in pubblico ma sembra non sia mai stato così attivo come adesso. A nome suo, il clan presidenziale sta attaccando frontalmente i gruppi rivali, principalmente quello dei generali, arrivando fino a mandare in pensione l’ultimo rimasto ancora al potere, il capo dei servizi segreti militari, il generale Mohammed Medienne detto generale Toufik, un nome che bastava a far tremare il Paese intero fino a poco fa, e ad arrestare persino alcuni dei suoi diretti collaboratori.
Una bomba a orologeria
In seno al partito Fln, una struttura piena di quadri di grande esperienza e competenza, hanno messo in primo piano un branco di incapaci, analfabeti che gettano fango su tutta la classe politica. L’unico criterio che conta è la lealtà assoluta al clan presidenziale. In queste condizioni le istituzioni sono completamente paralizzate, il paese lasciato a se stesso, la corruzione a livelli mai visti e il malcontento popolare, anche se ancora silente, sale alle stelle. Una bomba a orologeria che rischia di esplodere da un momento all’altro.
Nell’attacco al potere dei generali, c’è anche la creazione di un nuovo servizio di intelligence, chiamato a sostituire gli attuali servizi segreti, il Département du renseignement et de la sécurité (Drs). Ma nonostante i tentativi di smontarlo, il Drs resta molto potente e molto ben inserito sia nei meandri del potere che nella società algerina. Ha delle unità speciali. Controlla migliaia di di informatori militari e civili. Ha addirittura gruppi armati pseudo islamisti ancora in azione tra le montagne e nel deserto, e ha migliaia di mercenari pronti a scatenare l’inferno al primo bonifico.
La domanda che si pongono molti algerini è chi sta usando oggi la ruspa contro i clan rivali? Un gruppo di personalità politiche, tra cui alcuni ex ministri molto vicini a Bouteflika, scartati dopo la sua malattia, come l’ex portavoce Khalida Messaoudi, la segretaria generale del Partito trotzkista (Pt) Louisa Hannoun, lo scrittore e intelletuale di fama internazionale Rachid Boudjedra, in una lettera pubblica hanno chiesto udienza alla presidenza della repubblica. Vogliono accertarsi, dicono, che ci sia veramente il presidente «eletto dal popolo» dietro a questa politica che sta portando il Paese al collasso, o se dietro ci sono altre persone sconosciute al paese.
Gli esiti di questa lettera non saranno mai resi noti ufficalmente. L’unico segno di vita dato dalla presidenza della repubblica questa settimana è stata la promulgazione di un nuovo piano per la protezione degli uffici, delle residenze presidenziali e delle areee circostanti compreso lo spazio aereo. C’è paura di un golpe. Sarà un golpe bianco come quello compiuto da Ben Ali in Tunisia molti anni fa? Ci saranno scontri per le strade? Forse, come è abitudine dei clan al potere in Algeria, si saprà trovare un modo per far quadrare i cerchi in segreto senza generare troppe onde. O forse no. E in questo caso, la catastrofe è dietro l’angolo.
Ma se succede saranno guai seri. L’Algeria non è la Libia, parliamo del più grande Paese africano e dell’esercito meglio attrezzato del continente dopo quello del Sudafrica. Se i suoi arsenali finiscono in mani sbagliate, tutta la regione sarà sconvolta. E con regione si intende anche il sud dell’Europa.