«Se ti chiami Mohamed»
La graphic novel di Ruiller Jérôme recensita da Monica Macchi
“Quando entri alla Renault guardano come ti chiami:
se ti chiami Mohammed ti mandano in catena di montaggio…
ma Mohammed o Khemis è la stessa cosa eh!”
La casa editrice Il Sirente ha inaugurato la nuova collana “Migrante” di autori europei di origine araba con la graphic novel «Se ti chiami Mohammed», ispirata al testo di Yamina Benguigui «Memorie di immigrati: l’eredità maghrebina».
L’immigrazione maghrebina in Francia viene raccontata attraverso lo sguardo dei padri, delle madri e dei figli, i cosiddetti “beur”, ovvero figli di maghrebini ma nati in Francia per cui è stata coniata la categoria di “dar al-amn”, cioè un territorio in cui i musulmani si ritrovano ad essere minoranza in un contesto legislativo laico.
I padri arrivano in Francia nel quadro storico della colonizzazione, con la crisi dell’agricoltura tradizionale nel Nord Africa e parallelamente la richiesta delle fabbriche francesi di manodopera. In questa prima fase “scoprono l’indifferenza”: non hanno rapporti con i francesi, restano fra di loro in una sorta di enclave dove l’unico contatto con l’esterno sono le parabole; l’Islam è e resta un fatto privato e per paura di essere notati chiedono alle donne di togliere il velo oppure partecipano ai brindisi nelle feste aziendali. Addirittura Ceyrac (amministratore Peugeot) si spinge a dire: «per noi, non erano musulmani ma cittadini francesi». Quando arrivano le madri, le modalità cambiano totalmente: sono e rivendicano di essere visibili con i loro veli che ne simboleggiano l’appartenenza religiosa; grazie ai percorsi di alfabetizzazione alla tv (dove alternano le musalsalat algerine alle soap opere occidentali) e alla bellezza («sono rimasta tutta la giornata a guardare cose così belle che mi facevano male gli occhi») prendono confidenza con le città, poi quando nascono i figli e iniziano ad andare a scuola si confrontano con nuove realtà.
E i figli si trovano «in bilico ma non in equilibrio» con pochi punti di riferimento (spesso padri disoccupati, talvolta Aids o droga) e poche prospettive; la più dirompente è la trasgressione dell’intelligenza ossia «arrivare dove la società francese non si aspettava di trovarli» scavalcando il contesto imposto per arrivare anche allo spazio pubblico e alla politica. Il 3 dicembre 1983 ci sarà la marcia per l’uguaglianza «abbiamo dimostrato di essere vivi e non più ombre»: ed è significativa la scelta della parola “uguaglianza” che si richiama ai valori della Rivoluzione Francese ma anche alla teologia del sudanese Mahmoud Taha che, recuperando la filosofia di Ibn Ruchd (Averroè) e Ibn Bajja (Avempace) – che distinguono tra reato e peccato – sostiene che l’uguaglianza nasce proprio dalla separazione fra spirituale e legislativo.
A Mirafiori negli anni 60 la stessa cosa era “se ti chiami Ciro, Nunzio o Carmelo”. Cambia la fisionomia degli ultimi ma il capitalismo ha sempre bisogno di ultimi da sbranare. Se no, che capitalismo è?