Senza (ambigue) utopie non ci salveremo

Lo dico subito: questa è un’antologia indispensabile. Sia per motivi letterari che politici. Dunquecompratela se potete (22 euri per 400 pagine) e altrimenti costringete la più vicina biblioteca a metterla in scaffale.

Sto parlando di «Ambigue utopie» (sotto-titolo: «19 racconti di fantaresistenza»), eccellente antologia uscita in marzo da Bietti e curata da Walter Catalano e Gian Filippo Pizzo.

Provo a buttarmi nelle storie e solo dopo a vedere “l’effetto che fa” (chi usa linguaggi più dotti direbbe che tenterò un “inquadramento storico e/o critico”).

«Mi sentivo persino normale, condizione a cui non appartengo più da molti anni»: così Claudio Asciuti ci  olge  (coinvolge, travolge, sconvolge) nel suo lungo «Zona rossa, trame nere» che – si intuisce dal titolo – parla del G8 a Genova nel 2001 e di fascisti, ovviamente in un’ottica di fantascienza o – volendo essere pignoli – di «storie alternative». In quel mondo parallelo «Carlo Azeglio Ciampi, per motivi di sicurezza, è stato trasferito in una località segreta». Molte altre cose invece somigliano pericolosamente e spiacevolmente alla Terra dove attualmente vi trovate.

«Il paradosso Glenn Gould» di Giovanni Burgio non è solo un bell’esempio di fantascienza “musicale” ma anche un’acuta riflessione sulla costruzione tecnologica del mito, con qualche minima istruzione per sabotarla.

Per sconfiggere la morte e vedere il futuro ci occorrono dosi massicce di buddismo e scienza «proletaria»: così ci assicura «Nekropol» di Walter Catalano (uno dei due curatori-ideatori di questa antologia). Anche qui siamo dalle parti di «e se…», una storia parallela alla nostra.

Quanto al racconto di Vittorio Catani, «L’area 52» ne ho già scritto il 9 aprile – «Urge fermare Vittorio C (con il blog-vudù)» – denunciando che questo geniaccio sta passando idee (cioè fanta-munizioni) a nemici già armati fino ai denti. Per me è stata una delle letture più memorabili in questo decennio finto-nuovo di un secolo riciclato in un millennio probabilmente fasullo.

Un salto nel 2050: di cpt («centri permanenza temporanea per anziani»), diffusori di odori, «piatti pronti obbligatori» e del ruolo storico di Flavio Briatore ci narra Piero Cavallotti in «La figurina di Bulgarelli».

Scrisse un pensatore e leader politico oggi sottovalutato che «la rivoluzione non è un pranzo di gala»: verissimo. Ma anche la vita non lo è, ci ricorda Vittorio Curtoni. Prigioni, nebbia, fucilazioni e tradimenti, l’Italia invasa dagli americani (con la c o con la k, fate voi) nel suo «La vita considerata come un’interferenza tra nascita e morte». In ogni modo l’autore resta d’accordo col protagonista del racconto: «se Dio esiste davvero gli andrò vicino e gli sputerò nell’occhio».

Un arresto sponsorizzato, una lettera con risposta a voce, un marchio finto, un risciò umano ma «connesso»: ed è solamente l’inizio. Quando si viene arrestati invece che in tribunale o in galera ci si può ritrovare in…no, è troppo sbalorditivo per dirlo, leggetelo. Gran ritmo per «Come noi li rimettiamo ai nostri debitori» di Milena Debenedetti. E due stordenti colpi di scena quando già il lettore preteso smaliziato pensava di aver capito tutto. La coppia fiore-bimba che troverete qui non ve la scorderete per un paio di secoli.

Sareste in grado di buttar giù, in fretta e furia, «una tipologia del marziano medio»? Rintraccereste sulla carta geografica la repubblica di Aruba, «ex governatorato olandese»? Sono due problemucci che Valerio Evangelisti vi sottoporrà in «Marte distruggerà la Terra», racconto cresciuto trangugiando tonnellate di film hollywodiani e digerendoli con sorsate di sacrosanto anti-imperialismo.

«Non è professionale sentirsi umani»: memorie cancellate, terrorismo, moltissimo jazz (ma anche questo è truccato?), la droga dickiana Chew-z e colpi di scena quanti pochi bipedi possono sopportare in «Il riflesso nero del vinile» di Domenico Gallo. Una parte della colonna sonora è affidata a John Coltrane e dunque consiglio di leggere questo racconto con «Naima» o «My favorite things» nelle orecchie; più difficile ascoltare i brani di Albert Ayler, Eric Dolphy o Don Cherry che Gallo utilizza nel suo racconto per una ragione molto semplice: nell’universo dove voi vivete (anch’io credo …con voi) loro sono morti troppo presto. La dedica finale è a Jeremy Brecher e se non lo conoscete… sarebbe ora di colmare questa lacuna che sa di abisso.

Una strana Italia 2010 vista dall’interno dei Tav (treni ad alta velocità…  o era alta voracità? Mi confondo sempre) quella raccontata da Daniele Ganapini in «L’estate perfetta».

Trapianti, cloni e prigionieri; Caino, Oscar Wilde e Bukowsky («il senso di colpa è il prepuzio della decadenza»). Gran ritmo per «Un mondo migliore» di Francesco Grasso. Un incubo riuscito con un filino di ottimismo nel finale. Ah, la citazione di un (presunto) «prof della comunicazione a Tor Vergata» è da segnare nelle agende di ogni formatore: «parla allo scemo del villaggio, ti capirà anche il saggio».

Telepatia, coscienze blindate, terroristi, film di Almodovar, centro-sinistra «reazionario» (più degli ultimi), cavalli che vi sorprenderanno come le ultime due parole di «Il potere logora» che Gian Filippo Pizzo (l’altro cur-ideatore dell’antologia) consegna soprattutto a chi ha «l’innocenza dell’ignoranza». Un piccolo-grande quesito: «vedersi con gli occhi altrui» davvero è «la più deflagrante delle sensazioni»?

L’elettorato «fluttuante» è un problemone delle democrazie vere come di quelle pilotate. Però alla fine del racconto (ingorgo, black-out… o quel che vi pare) andate in cantina, assicuratevi di essere soli, ripensate alle parole «libertà di voto» e sghignazzate per tutto il tempo necessario. Siamo in «Una domenica diversa» che Pierfrancesco Prosperi ci regala in forma di sorriso invece che di cazzotto sotto la cintura.

«Storia di un commissario» di Franco Ricciarello è un’altra ucronia, ambientata nell’Italia di un (improbabile?) 1947 dove si combatte una sanguinosa  «guerra sociale».

Zombie politici, cacciatori di rifiuti, le insidie dell’Appennino, una dose pesante di orrori politici ma anche Milton, Cromwell e Shakespeare. La «Terra avvelenata» di  Umberto Rossi potrebbe riassumersi in un interrogativo teologico: «se Dio c’è ha uno strano senso dell’umorismo»?

Ancora un’ucronia sul referendum del 1946 (repubblica o monarchia?) nel breve e un po’ lirico «Tradimenti» di Danilo Santoni; mentre si muove fra ex terroristi e amori «Notte di ghiaccio» di Roberto Sturm.

Con «La sindrome di Casablanca» Enzo Verrengia regala uno splendido esempio di fanta-cinema e aggiunge un tassello (condito di ironia) alla orwelliana idea che la storia – S maiuscola – venga continuamente riscritta, sotto i nostri occhi.

Se il “nemico” non è davvero umano (o vivo) ovviamente non avrà diritti, dunque lo si può torturare e/o uccidere senza gran problemi. Questa vecchia – e sempre riciclata – copertura a ogni guerra e misfatto è al centro di «Il volo del Garbot» con cui  Alessandro Vietti chiude l’antologia.

L’effetto che (mi) fa – insomma il mio personale giudizio critico – è più che positivo sull’insieme ma assai sfaccettato rispetto ai diversi racconti.

Quattro li trovo straordinari, imprescindibili: come forse si sarà già capito, sto parlando delle storie di Vittorio Catani, Milena Debenedetti, Valerio Evangelisti e Domenico Gallo (citati in ordine di apparizione cioè alfabetico).

Mi pare di aver già spiegato gli stra-meriti di Catani e Gallo; chiarisco meglio per gli altri due.

Secondo me l’unica (unica? aia-iaia-iai) donna dell’antologia si è detta: “voglio andare oltre Orwell e far meglio di lui” e (rullo di tamburi) ci è riuscita. Può bastare mi sembra. I francesi direbbero chapeau.

Evangelisti ci trascina in una prossima, credibile, tremenda “democratura” cioè in una di quelle che secondo Eduardo Galeano si delineano nel nostro futuro/presente: una via di mezzo fra le demo-crazie svuotate e le ditta-ture sostanziali. Il suo racconto regala un efficace quanto ironico finale. Da tempo ci siamo auto-imposti di non definirci marxiani, almeno confessiamoci marziani.

Devo notare che, bravura a parte, questi quattro (mannaggia a loro) hanno idee così perfide che il Potere – sì, P maiuscola – potrebbe e, dal suo punto di vista, dovrebbe spremerli, subito eliminarli e po-po cioè trasformarli in poster per i posteri (sempre che ve siano).

Quanto agli altri 15 qui ospitati… pienamente riuscite alcune storie (in particolare forse quelle di Piero Cavallotti, Francesco Grasso e Gian Filippo Pizzo) mentre altri racconti oscillano fra difetti e pregi.

Un paio di esempi? Quello di Asciuti è lungo, esageratamente egocentrico e da un certo punto in poi abbastanza prevedibile (aggiungo che aprire con una citazione di Vasco Rossi a me sembra un errore persino tipografico) ma tutto sarà perdonato a chi ci emoziona con «La città sostituita» o con «Zombie di tutto il mondo unitevi»; a chi ci stupisce con l’uso politico dei salmi 31 e 91, o semplicemente sintetizza la situazione attuale con frasi memorabili del tipo: «l’opposizione, come sempre, non si oppose».

Salite ardite e improvvise cadute anche in «Nekropol» o in «La vita considerata come un’interferenza tra nascita e morte» del solitamente bravissimo Cartoni ma che qui è troppo “ristretto” dalla congiuntura storica (correva o forse claudicava l’anno 1972) nella quale ingabbia la sua vicenda.

Un discorso analogo vale per altri: francamente a mio gusto ne boccerei – per banalità – solo un paio (non dico quali). Il che, come capirete, ha del miracoloso.

Molto ci sarebbe da ragionare sulla post-fazione, «Le lusinghe dell’universalismo» di un giovane-vecchio partigiano come Antonio Caronia ma anche sulle due brevi introduzioni dei curatori (Gian Filippo Pizzo e Walter Catalano): è grazie a questi tre contributi che tutta l’antologia si pone come una riflessione interessante anche politicamente. Provo a riscrivere la domanda che ha generato l’antologia: se/come dalla fantascienza anche oggi ci arrivano mappe (utopie appunto) magari difficili da decifrare (e ambigue) ma indispensabili per sognare ancora e grazie alla forza dei sogni ritrovare la forza per rompere le gabbie, organizzando la necessaria, possibile, urgente ribellione all’orrendo sistema nel quale viviamo.

Per questo, cioè per la politicità della (migliore) fantascienza, assai mi piacerebbe, in questo blog, tornarci. E dunque chiedo ai tre sunnominati se, con il consenso dell’editore, fra qualche mese, i loro testi possono essere ripresi qui, diventando una specie di premessa a una (blog-fanta-)tavola (blog-fanta-)rotonda.

Nelle prime pagine di «Ambigue utopie» si ricorda che molte volte la fantascienza è stata data per morta. Di certo i funerali si celebrarono dopo il volo di Gagarin, dopo la conquista (effimera?) della Luna e – chissà perché – dopo l’anno che da queste parti viene numerato come 2000. Anche questa antologia – come molti romanzi di sorprendente visionarietà – dimostra invece che la science fiction come l’utopia è viva, viva, viva.

Piccola nota per i profani di fantascienza: l’espressione «Ambigue utopie» rimanda a un romanzo di Ursula Le Guin. A  mio avviso leggerlo non è facoltativo ma rientra fra le 99 cose che devono essere fatte se ci si vuole aggirare per questo mondo (e/o gli altri) con almeno un minimo di intelletto, rabbia e speranza.

Redazione
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3 commenti

  • Ciao Daniele,
    bella e corposa e sostanziosa e serio/spiritosa recensione del benvenutissimo notevole volume. Merito dei due solerti e preparati curatori. Si sentiva la mancanza di una boccata d’ossigeno puro. Poco importa se qualche storia piace meno, o piace più. E’ normalissimo in una raccolta di ben 19 racconti. Credo che il livello medio sia alto. Qui occorre anzitutto “fare”, scuotersi dalla cortina d’oppio diffuso da una cricca di delinquenti, e la fantascienza può, deve fare la sua piccola parte.
    Vittorio

  • Per parte mia, sentitamente, ringrazio.

    Se siamo riusciti, tutti quanti, a dimostrare la vitalita’ del genere, ma soprattutto, le super-mega-stupefacenti possibilita’ della fs sociologica e politica, be’, che dire…bersaglio colpito!

    Ed e’ solo l’inizio, speriamo.

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