Senza Valerio ma con Valerio

Il saluto di «Carmilla», articoli e ricordi di Alberto Cola, Franco Ricciardiello e Roberto Vignoli. Con un video («La fantascienza secondo Valerio Evangelisti e Giuseppe Lippi») di Selene Verri e una noticina di db

L’ANNUNCIO DI «CARMILLA»

Da oggi siamo un po’ più soli, Valerio ci ha lasciati

Pubblicato il 19 Aprile 2022 · in Editoriali ·

Dobbiamo annunciare che il nostro direttore, Valerio Evangelisti, ci ha lasciato. Già da tempo aveva problemi di salute ma ha sempre continuato la sua attività di redazione e di scrittura con la sua lucidità di visione delle cose che lo ha sempre contraddistinto.

D’ora in poi Carmilla non sarà più quella che è stata sino ad oggi e che ha potuto essere nel panorama della letteratura di genere e di critica sociale proprio grazie a Valerio. Tutti noi gli dobbiamo molto e proprio per questo proseguiremo quello che è un grande impegno redazionale con la sua presenza nel nostro cuore.

Ciao Magister!

La redazione di Carmillaonline

A seguire «alcune parole di chi lo ha conosciuto, apprezzato e amato»

Tutto ciò che è maschile mi indigna, tutto ciò che è femminile mi dà speranza…

     Intervista a Valerio Evangelisti di Alberto Cola (*)

Nel 1994 hai esordito sulle pagine di Urania. Se provi a gettare uno sguardo indietro che Evangelisti vedi rispetto a quello odierno?
Oggi ho acquisito maggiore professionalità, è chiaro, e dimestichezza con tutti gli strumenti del narrare. Dal lato personale, però, non credo di essere cambiato molto. Semmai, sono divenuto più solitario.

Hai sempre messo Lovecraft come primo nella lista degli autori che ti hanno influenzato, soprattutto, e non solo, per la sua visionarietà apocalittica.
Permettimi di dire che da questo punto di vista anche tu non scherzi. Ma il futuro davvero lo immagini così?

Spero che il futuro non somigli a quello che descrivo ma certamente non sono un ottimista. Del resto, proietto nell’avvenire frammenti del presente, amplificandoli ma di poco. Guerre immotivate, combattute senza traccia di ideali; psicopatologie che dilagano e investono società intere, ecc.
Io non sono tra quanti credono che l’essere umano sia per sua natura buono. Credo invece in una sua sostanza di predatore, tenuta a freno dalle regole del vivere in società. Quando quelle regole cadono, può accadere tutto il peggio.

Oggi i generi letterari, ammesso si possano definire ancora così, sono sempre più sfumati. Si attinge linfa vitale ovunque, eppure c’è ancora chi fa esorcismi solo a sentir parlare di “contaminazione”. Ma è davvero questo gran diavolo, o è destinata a salvarci, a noi autori di genere?
Tanti generi sono morti nella loro versione pura: le avventure di pirati, il western, il feuilleton. Persino il giallo viene lentamente soppiantato dal più complesso noir. Alla fin fine, contaminarsi è l’unico modo di sopravvivere. Secondo me, questo vale anche per il genere più nobile di tutti, la fantascienza, che più di ogni altro ha impregnato la società in tutte le sue espressioni mediatiche. Ha perfino donato troppo, tanto che sotto il profilo letterario è in crisi seria. Dovrebbe avvalersi, a mio giudizio, della sua opposta qualità contaminante, cioè della sua indiscussa superiorità intellettuale, che si è imposta alle punte emergenti della letteratura odierna.

Per come ti conosco, non riesco a immaginarti come ex funzionario del Ministero delle Finanze. Dopo aver letto di fatto tutta la tua produzione, ancora sto qui a chiedermi come tu facessi a comprimere le pulsioni letterarie e tutto quel che sentivi di dover/ voler dire con un lavoro simile…
Il grande vantaggio di quel lavoro era che, a quei tempi, si usciva alle 14!
Comunque non era l’attività banale che si può pensare. Per anni, il mio incarico fu di vagliare i ricorsi di chi subiva pignoramenti, fino a scrivere vere e proprie sentenze. In seguito, diventai capo del personale per l’Emilia-Romagna e per le Marche, incaricato delle contrattazioni sindacali. Non rimpiango quel periodo, ma nemmeno lo considero brutto o noioso. Anzi, facevo il mio lavoro con un certo entusiasmo.

Hai detto altrove che la Fantascienza negli anni ’90 aveva alzato la testa. Quell’usare il tempo al passato mi fa capire che la tua idea riguardo all’oggi è cambiata.
Purtroppo sì. Ci sono stati anni in cui i migliori romanzi di fantascienza italiani vendevano anche più di quelli anglosassoni, e venivano immediatamente tradotti in tutta Europa. A parte il caso mio, che è un po’ peculiare, posso citare quelli di
Luca Masali, di Franco Ricciardiello, di Nicoletta Vallorani, ecc. Poi, visto il trend, si sono cominciati a pubblicare italiani senza riguardo per la qualità, e ciò proprio nel momento in cui si avvicinava la crisi della fantascienza in genere. Il “boom” degli anni ’90, peraltro fragile e tutto da coltivare, si è spento in fretta.
Temo che siamo regrediti a situazioni precedenti, in cui, per pubblicare, gli autori italiani devono presentarsi con pseudonimo straniero, oppure ricorrere alle case editrici che vendono solo per corrispondenza.

In quattro righe, cos’è che ti indigna e cosa invece ti dà speranza.
Ti riferisci al mondo in generale? Ti risponderò con una frase enigmatica, che va interpretata.
Tutto ciò che è maschile mi indigna, tutto ciò che è femminile mi dà speranza.

Sempre più spesso mi capita di leggere storie mainstream che dipingono una realtà, tanto per usare un eufemismo, un po’ rosea. E di regola viene definita letteratura “alta”. Per contro, sembra che l’autore di fantascienza abbia sì voglia di immergersi nel futuro, ma sempre avendo ben in mente una visione critica del suo presente. Secondo te, cos’è che distingue questa tipologia di autore dagli altri?
Mio padre aveva il grosso Dizionario Enciclopedico Utet, in parecchi volumi. La voce “fantascienza” faceva acqua da tutte le parti, però enunciava una verità: “la fantascienza è l’unico genere letterario che abbia avuto il coraggio di abolire il lieto fine”. Io aggiungerei “quasi sistematicamente”.
Si tratta di una forma narrativa per sua natura problematica e non consolatoria (parlo ovviamente degli esempi migliori), in cui, fin dalla genesi, si sono esercitati fior di filosofi e di moralisti:
H.G. Wells, C.S. Lewis, Olaf Stapledon, ecc. Quasi costretti, poiché il futuro non lo conosce nessuno, a trasferirvi le contraddizioni dell’oggi, ovviamente irrisolte.
Lo scrittore mainstream raramente subisce la stessa costrizione.

Da questo 2006 sei di nuovo giurato al premio RiLL, dopo le prime edizioni e qualche anno di pausa. Devi il tuo successo al premio Urania, e allora verrebbe da dire che i premi servono realmente a qualcosa. Lo consideri davvero un efficace primo passo?
Visto che in Italia, normalmente, gli editori scaricano direttamente nel cestino i lavori spediti dagli esordienti, vincere un premio è quasi l’unica via per la pubblicazione. Poi la vittoria non risolve tutti i problemi (anzi, ne apre di nuovi), ma dà quel minimo di visibilità necessario a indurre a riprovarci.

La foto presente in questo articolo, di Michele Corleone, è tratta dal sito ufficiale di Valerio Evangelisti.

(*) ripreso da www.rill.it (aprile 2006)

«Non avrei voglia di scrivere…»

di Franco Ricciardiello

Non avrei voglia di scrivere questo. Ancora troppo forte è l’amarezza. Sento però di dovertelo.

È strano che nel pensare a te, sia prima che dopo quel 18 aprile, mi tornino alla mente soprattutto ricordi di noi due in Francia: noi autori italiani di Urania, Masali e il sottoscritto, ci arrivammo grazie allo straordinario successo oltralpe del tuo Eymerich. Ci siamo conosciuti però in Italia, a Torino, in occasione di un ritrovo di appassionati. È soprattutto a te, oltre che a Lippi, che devo la mia vittoria al premio Urania: fosti tu a importi su quanti nella giuria, come Curtoni, ritenevano che Ai margini del caos fosse fuori standard rispetto alla colla da edicola, e che meritasse altro tipo di collocazione editoriale. Ma riuscisti a convincerli che rimandarlo a altra destinazione equivaleva a non pubblicarlo. Mi restituisti, e l’ho ancora, la copia dattiloscritta che leggesti tu, con la tua calligrafia che dice Intelligente, ben scritto, avvincente, e il voto: 9.

Perché tutti questi ricordi francesi? Il tuo seguitissimo incontro con i fan a Nancy, la sala piena di giovani, e tu che spiegavi in un francese dall’accento spigoloso, ma dal vocabolario estremamente preciso, il fascino del tuo inquisitore, che definisti un véritable fasciste. Le camminate notturne per le vie di Nantes, la città di Jules Verne, insieme a Masali, Lippi, Nicolazzini. Il congresso al parco multimediale Futuroscope a Poitiers, quando durante una pausa dei lavori uscimmo per andare a vedere sullo schermo IMAX del parco l’edizione in francese di eXistenZ di Cronenberg. Quella volta che sulla Rive Gauche a Parigi mi presentasti Cesare Battisti, che al tempo era conosciuto come scrittore di polar perché nessuno ricordava la sua condanna all’ergastolo, e poi a ora di cena tu e Masali ci seminaste perché il vostro editore Doug Headline non voleva offrirla anche a Nicolazzini; allora noi due andammo a cena insieme a Giuseppe Lippi, che nei vicoli del Quartier Latin si fece catturare dal canto di sirena di una donna bellissima all’ingresso di un ristorantino egiziano, solo che all’interno a servirci c’erano solo camerieri baffuti e sudati che correvano tra i tavoli con enormi vassoi di cous cous.

Ricordavi ogni cosa, eri attento a ogni particolare. Aiutavi chiunque, anche l’ultimo, sconosciuto esordiente. Alla premiazione di un concorso a Torino dove non ti presentasti, mi consegnarono una targa da farti avere, ma non l’hai mai voluta: eri per il materialismo storico, però ti interessavano più le persone e le idee che i riconoscimenti formali.

Ecco. Non avrei avuto voglia di scrivere questo. Oggi ho visto una foto scattata al tuo funerale: la cassa di legno posata in terra, il cuscino di fiori freschi, le bandiere rosse sotto la pioggia. Non avrei mai voluto scrivere questo.

In ricordo di Valerio Evangelisti. “1° maggio: altro che concerto, servono le lotte” | intervista di ROBERTO VIGNOLI
Per ricordare lo scrittore bolognese morto il 18 aprile ripubblichiamo questa intervista rilasciata a ridosso della Festa dei lavoratori del 2021.

Metamorfosi della lotta di classe | di VALERIO EVANGELISTI
A fronte dei miseri salari offerti dal padronato e dell’incapacità dei sindacati di rappresentare i loro interessi, centinaia di migliaia di lavoratori americani reagiscono in forma individuale, negandosi quale cibo nel banchetto altrui, rifugiandosi nel rifiuto e nell’anonimato. Con un prezzo da pagare: termina, con tale diserzione individuale, un’antica tradizione di solidarietà, che induceva alla coalizione. Finisce con ciò la lotta di classe negli Stati Uniti? Niente affatto. Frammenti sindacali esterni o marginali all’Afl-Cio, la più grande federazione di sindacati americana, raccolgono i più sfruttati degli sfruttati. Con che esiti sarà da vedere.

 

La fantascienza secondo Valerio Evangelisti e Giuseppe Lippi: un video di 30 minuti – di Selene Verri

https://youtu.be/an7FxEO4yCU

 

GRAZIE DI TUTTO VALERIO: ANCHE PER CONFIDARE NELLA «INEVITABILE RISCOSSA» E PER AVERE IMMAGINATO QUEL CARCERE IN MENO … NO, «NON CI SEMBRA POCO»

Una noticina (incerta e dolente) di db

Capisco bene Franco Ricciardiello – vedi qui sopra – e la sua «non voglia di scrivere»: amarezza e dolore prevalgono quando una persona che ti è cara …vola via. A volte ci vuole un lungo tempo prima che si possa scrivere qualcosa di “vero”.

Ho incontrato molte volte Valerio: non posso dire di essere stato un suo amico ma di certo molto ci legava. Io l’ho stimato dall’esordio su Urania e sono felice – come metà di Erremme Dibbì (la sigla con cui io e Riccardo Mancini scrivevamo, nel secolo scorso, sul quotidiano «il manifesto») – di avere aiutato un po’ di persone della troppo noiosa sinistra a indirizzarsi verso la buona fantascienza e a sognare futuri. E lui – che era comunque generoso con tutti – non si è fatto pregare nel 2006 per scrivere una “convinta” prefazione al nostro libro «Di futuri ce n’è tanti».

Oltre la fantascienza – e l’evidente comune sentire in politica – ho poi scoperto l’altro scrittore: Messico e pirati, Iww e Repubblica romana, poi la trilogia italiana a cavallo fra ‘800 e ‘900… E ho amato i suoi tanti saggi (persino su Zodiac, il killer seriale) e articoli, con prese di posizione controcorrente e mai banali.

Qui in “bottega” trovate un po’ di tutto: suoi articoli e prefazioni a libri altrui, recensioni (anche mie) ai suoi libri, interviste e riflessioni.

Era più pessimista di me Valerio eppure… «Noi saremo tutto» non gli appariva solo una parola d’ordine del passato. Eppure… chiudeva la sua prefazione a «Di futuri ce n’è tanti» con parole di speranza in tempi dove il disimpegno ha invaso tutto, letteratura inclusa. Eccole: «Tornerà anche la fantascienza adulta, irridente e sovversiva. Per apprestare le armi future nulla di meglio che riflettere sulle sue trascorse conquiste. Il ramo più vitale della narrativa di genere ha una caratteristica propria solo della grande letteratura: sa parlare a generazioni diverse e distanti. Con ciò prepara sotterraneamente l’inevitabile riscossa».

Voglio salutarlo – per oggi – con 2 sue cose che ho molto amato.

La prima è un nome da lui inventato: Modju. Molti anni fa, nel romanzo «Il mistero dell’inquisitore Eymerich», Valerio lo usò per introdure un simbolo del fanatismo. Il nome era coniato con le sillabe di due aguzzini: Mocenigo, colui che consegnò Giordano Bruno all’Inquisizione, e Djusgavili-Stalin, «colui che pervertì un ideale di uguglianza in un sistema di oppressione». Piccoli e grandi Modju sono nel nostro presente: dobbiamo combatterli.

La seconda cosa amatissima è il racconto «Sepultura»: con Riccardo Mancini lo scegliemmo per chiudere il capitolo «Galassia che vai, galera che trovi» del citato «Di futuri…». Ecco come lo proponemmo.

Molto altro la buona fantascienza ci ha raccontato sulle prigioni im/possibili; sul futuro in mano ai giudici o ai carcerieri; sul prevenire (chi? cosa? come?) la delinquenza, con i pre-cog alla Dick o con la genetica; sul controllo totale (altro che quel “dilettante” di George Orwell); su come «una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà» ci può spingere a diventare carcerieri di noi stessi. Non c’è qui lo spazio per seguire altri sentieri. Ma concludendo questa sezione bisogna lasciare – dopo tanti scrittori statunitensi – la parola a un grande autore italiano di “genere” (non ama troppo l’etichetta di fantascienza) cioè a Valerio Evangelisti nel racconto «Sepultura».

In un’America Latina del presente e insieme del futuro, realista eppur magica, Evangelisti ci guida fra i detenuti «conficcati nell’Ectoplasma» e in mezzo alle file dell’impossibile assalto guerrigliero per liberare i compagni in galera. «Miscelata all’elastina, la colla cianoacrilica aderiva perfettamente ai tessuti umani, diventandone una sorta di estensione traspirante e della consistenza della carne». In quest’incubo carcerario totale forse i guerriglieri hanno trovato un modo per liberare i prigionieri dall’Ectoplasma. Alla fine qualcosa va storto, l’evasione non riesce. Ma questo è l’ultimo dialogo che Evangelisti mette in bocca ai guerriglieri, sconfitti a metà. Uno dei protagonisti, un vecchio, scruta nel buio e chiede: «Vuoi dire che è stato tutto inutile?». Gli viene risposto: «Inutile? No. Almeno abbiamo un carcere in meno… Ti sembra poco?». Per l’appunto “Liberarsi dalla necessità del carceresi chiamava un movimento (di cittadini ma anche di giuristi, politici, operatori sociali) che in Italia ha tentato di definire un futuro senza galere… O almeno con qualche prigione in meno. Vi sembra poco?

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

2 commenti

  • In questo suo nuovo viaggio nell’immaginario mi piace pensare che Valerio Evangelisti resti sempre vicino a noi, sospeso nello stesso universo psitronico che ci ha rivelato. Ogni pensiero, breve ricordo di lui, aneddoto, fotografia che lo ritrae, sono tutte cose che sto leggendo e guardando in questi giorni. Mi ricordano le piccole lanterne accese e lasciate navigare sulla sponda di un fiume. Rubano alla notte disegni di luce, e riescono quasi a incrinare l’ordine delle cose. Ricordi e foto affiorano, raccontano, ce lo avvicinano, arricchiscono l’eco della sua voce, la voce schietta e forte che appartiene ai suoi romanzi. Mi aspetto che spunti fuori in un altro tempo, su altre coordinate spaziali, sostenuto dall’unione dei nostri pensieri. Ci mancherai Valerio, ma avremo un luogo comune dove poterti ritrovare, un luogo intangibile e perfetto, quello delle tue storie indimenticabili. Grazie per quello che ci hai dato in questo universo: meraviglia, coraggio, ispirazione.

  • Noi non siamo niente, siamo tutto!
    di Serge Quadruppani
    Sul nuovo “Jacobin” Quadruppani ricorda Valerio Evangelisti e i suoi personaggi a cominciare dal più popolare: Eymerich. La descrizione delle forme più atroci di dominazione come incitamento alla ribellione…
    QUI: https://jacobinitalia.it/con-valerio-noi-non-siamo-niente-siamo-tutto/

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