Settimio Severo: dopo la morte una breve diarchia

 Il 4 febbraio 211 muore l’imperatore, gli succedono i figli Caracalla e Geta

di Fabrizio Melodia

Ho sempre amato moltissimo la storia romana antica, appassionante come un romanzo fantasy… tranne che era tutto vero (anche se alcuni resoconti sono coloriti in modo sospetto). 

I primi due secoli dell’Impero romano sono una delle epopee d’oro in cui si potrebbe pescare a piene mani per realizzare storie basate su lotte di potere, intrighi, lampi di genere, episodi cruenti.
Una di queste vicende riguarda Caracalla e Geta, “fratelli coltelli”. Partiamo della morte del “nobile” imperatore Settimio Severo, avvenuta in Britannia il 4 febbraio 211 dopo Cristo (se vi piace contare così). Dopo aver passato tutto il suo rempo a rimediare i malanni combinanti dal malvagio e incapace imperatore Commodo, troppo impegnato a fare il gladiatore (come narrato nel film di Ridley Scott) Settimio Severo si ritrovò a lasciare l’impero nelle mani dei figli Marco Aurelio Antonino, meglio noto come Caracalla, e Publio Settimio Geta.
Dopo la divinizzazione immediata di Settimio Severo a opera del Senato romano, lo stesso giorno Caracalla e Geta vengono proclamati imperatori. Evento più unico che raro: ma sembrava promettere bene, soprattutto grazie alla presenza forte della madre Giulia Domna.
Grazie all’intercessione della madre, i fratelli giunsero a un accordo politico molto ragionevole, ovvero spartirsi i poteri e le aree di competenza: Caracalla si sarebbe occupato delle questioni militari, mentre a Geta competevano tutte le faccende amministrative.
Tale successione era stata articolata in modo assai macchinoso proprio da Settimio Severo, il quale aveva accostato al trono il figlio Caracalla già quando questi aveva dieci anni, in una specie di diarchia “di prova” che avrebbe avuto i suoi frutti. Anni dopo pensò di affiancargli il fratello Geta, di un anno più giovane.
Padre e figli condussero insieme il regno per due anni, fino alla morte di Settimio. Poi per altri due anni i fratelli si trovarono a governare insieme, sotto la forte influenza della madre Giulia; fu lei – si dice – a evitare che i due fratelli dividessero l’impero, per sanare i contrasti sempre più evidenti.
Mentre Caracalla era il classico militare, tutto muscoli e forza, Geta era invece assai più fragile ma intelligente, dedito allo studio dei classici, gentile con gli altri e per questo molto più amato dalla madre Giulia ma anche dal popolo.
Caracalla, invidioso e accentratore di potere, si pensava più meritevole di rivestire i panni di imperatore e nutriva malcelata invidia nei riguardi del fratello mite e studioso fratello. Il 26 dicembre 213 Caracalla decise di risolvere la faccenda, mandando i centurioni a uccidere Geta, fra le braccia della madre. Poco tempo anche Giulia Domna sarebbe morta: d’inedia, per l’orrore a cui aveva assistito impotente.
Geta fu seppellito sul Settizonio, una tomba che il padre aveva creato appositamente per la famiglia. Poi venne tumulato nel mausoleo di Adriano per intercessione della sorella materna, Giulia Mesa, anche se è un edificio sulla via Appia a essere usualmente indicato come la sua tomba.
Non finisce qui: Caracalla aveva bisogno di oscurare completamente persino il ricordo dell’odiato fratello. Così operò la più capillare “damnatio memoriae” mai vista a Roma: cancellò Geta dalle iscrizioni, dai dipinti e le statue, un atto che si faceva solo per coloro che avevano infangato l’onore di Roma.
Ne sono esempi le iscrizioni sull’arco di Settimio Severo, a Roma nel Foro, dove il nome di Geta venne sostituito dalle parole “optimis fortissimisque principibus”, e nell’arco severiano di Leptis Magna, dove la figura di Geta è cancellata.
Anche gli studiosi hanno faticato a trovare testimonianze dell’esistenza di Geta: furono ritrovati quasi per caso due busti sepolti sotto altre rovine, uno che è conservato al Museo archeologico nazionale di Orvieto mentre l’altro, rinvenuto a Sabucina, si trova adesso al Museo Archeologico di Caltanissetta.
Dopo il fratricidio, Caracalla fece eliminare tutti gli avversari politici. Si è ricostruito che arrivarono a essere uccise o proscritte circa 20mila persone, fra le quali il giurista Emilio Papiniano, decapitato per essersi rifiutato di scrivere un’apologia del… fratricidio.
Geta assunse però toni leggendari nell’ Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth: infatti nella narrazione viene riferito come Geta fosse stato nominato re di Britannia dalle sue legioni, mentre i Britanni in opposizione scelsero Caracalla.
Per chi volesse approfondire, consiglio:
– Antonio Aste (a cura di), “La vita Getae dell’Historia Augusta”, Aracne, Ariccia 2007;
– Goffredo di Monmouth, “Historia regum Britanniae”, Guanda, Milano 2005;
– Cesare Letta, “La dinastia dei Severi” in: AA.VV., “Storia di Roma”, Einaudi, Torino, 1990 (volume II, tomo 2); ripubblicata anche come “Storia Einaudi dei Greci e dei Romani”, Edizione de Il Sole 24 ORE, Milano, 2008 (cfr volume 16°);
– Santo Mazzarino, “L’Impero romano” in tre volumi, Laterza, Roma-Bari, 1973 e 1976; più volte riedito.

Nell’immagine vediamo il noto “Tondo severiano” raffigurante Geta con i genitori e il fratello Caracalla; ma la sua immagine fu cancellata a seguito della “damnatio memoriae”.

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

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