«Si vis bellum» para bellum. Infatti.
Otto Dix
articoli, video e immagini di Alessandra Fabbretti, Rafael Poch, Alessio Di Florio, Enrico Euli, Vincenzo Costa, connessioniprecarie, Ida Dominijanni, Vincenzo Costa, Toni Capuozzo, Nino Lisi, Antonio Mazzeo, Massimo Mazzucco, Francesco Masala, Alberto Contri, Doriana Goracci, Mauro Armanino, Arnaldo Scarpa, Alessandro Marescotti, Lara Logan, Fabio Mini, Michele Zizzari, Otto Dix, Vauro…
il pugilato insegna ancora – Francesco Masala
quando anche Boris Johnson capisce che la Russia non perderà (lo stesso Johnson che durante il lockdown credeva di lavorare e invece era a una festa proibita secondo le leggi del suo stesso governo) e tutti – tranne gli spacciatori di armi – hanno capito che forse negli ultimi 15-20 anni bisognava sedersi coi russi a un tavolo e discutere, ci possono essere due alternative:
o gettare la spugna e salvare la vita del pugile, perdendo il titolo di guerriero dell’anno
oppure farlo massacrare fino alla fine, per dare la colpa al nemico.
Gente così (spacciatori di armi e di altri orrori) in uno sport “pulito” sarebbe radiata per l’eternità: far morire il pugile anzichè accettare la (onorevole o disonorevole, ognuno capisce da solo) sconfitta è da galera.
Di sicuro l’interesse superiore e ultimo che guida Usa e Regno Unito ha un nome: 5 lettere, MORTE.
Oltre alla morte di chi sta subendo la guerra (che deve continuare perchè alla NATO serve così) c’è la morte dell’Unione Europea che hanno già ottenuta. La storia dirà che nessun perdono potrà esistere per i dirigenti europei, per la Commissione Europea, per i parlamenti europei, che si sono suicidati in nome … di cosa?
Se proprio volevano suicidarsi potevano farlo a titolo personale; magari, viste le radici cristiane, facendosi crocefiggere in prima serata, senza resurrezione, come suggeriva George Carlin; dopo pochi giorni, o poche ore, si sarebbe fatta la pace.
Invece dopo infiniti sforzi per la pace, dopo miliardi di euro spesi per le armi, il grande cuore (di cemento) armato dell’Unione Europea – dead union walking – batte senza vergogna:
…l’Unione Europea prepara un piano di centinaia di miliardi di euro per la ricostruzione postbellica dell’Ucraina. Il piano sarebbe finanziato con un sistema tipo Recovery Fund e prevederebbe vincoli e condizionalità… (da qui)
partirà la trattativa fra Washington e Londra: Boris Johnson agli Usa per 175 anni e Julian Assange libero?
Chissà perché – Nino Lisi
Chissà perché nel pure apprezzato telegiornale de La 7, diretto da Enrico Mentana, gli Ucraini che si battono in armi contro gli invasori Russi che da 58 giorni cercano di occupare il loro Paese vengono giustamente considerati eroici resistenti ed invece vengono chiamati facinorosi i Palestinesi che, non ricevendo armi da alcuno, si battono con le pietre contro gli invasori Israeliani che occupano tutta la loro Terra da 55 anni?.
Chissà perché mentre la Russia dell’autocrate Putin è giustamente oggetto di sanzioni e condanna ed i Russi sono oggetto di ostracismo a tutti i livelli, Israele invece, pur condannato infinite volte dall’ONU e documentatamente accusato da Amnesty International di praticare l’apartheid continua ad essere considerato dai media di tutto il mondo un paese democratico?
Chiedo lumi. Grazie
Le prime tre cose che un pacifista dovrebbe fare – Alessandro Marescotti
Facendole si tirerà addosso tutte le critiche del potere industriale e militare che teme la creazione di un’opinione pubblica intelligente e ostile alla guerra. Quando il vero pacifista sarà attaccato e denigrato, allora dovrà essere consapevole di aver fatto un.
Il primo atto del pacifista non è quello di vincere, ma di comprendere.
Il secondo atto è quello di non farsi manipolare, ed è strettamente connesso con il primo.
Il terzo atto è di condividere una visione non manipolata della realtà.
Già facendo queste tre cose il vero pacifista si trova addosso tutte le critiche del potere industriale e militare che teme la creazione di un’opinione pubblica intelligente e ostile alla guerra. Quando il vero pacifista sarà attaccato e denigrato, allora dovrà essere consapevole di aver fatto un ottimo lavoro e di dover proseguire sulla strada della verità, con i mezzi della nonviolenza.
Il mio approccio al pacifismo è un approccio coerente con quello di Assange e di Pulitzer. Quest’ultimo scrisse: “Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sé non è forse sufficiente, ma è l’unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri”.
quando cominciò il mondo nuovo – Mauro Armanino
Era un giorno feriale per nulla differente dagli altri giorni. Solo indizio, un vento leggero dall’est che sembrava avesse premura di arrivare da qualche parte. Assieme a lui gruppi di bambini con in mano un ramoscello di una pianta mai vista prima che agitavano festanti. Si tenevano l’un l’altro la mano e cantavano una lingua ormai dimenticata dai grandi che guardavano, attoniti, l’inattesa invasione dei bambini in festa. Alcuni cominciarono a seguirli sul cammino mentre altri, in disparte e di nascosto, piangevano come se da anni avessero smesso di generare lacrime vere e genuine. La sera di quel giorno arrivò più in fretta del solito e così pure le stelle, meno distratte, cominciarono a danzare sottovoce.
I muri di cinta e i bastioni delle città fortificate, al loro passaggio, crollavano come fossero null’altro che polvere al vento. Lo stesso accadde con i fili spinati, i sistemi di allarme e di controllo, gli schermi protettori da eventuali attacchi nemici, le frontiere si spostavano a seconda delle necessità di coloro che desideravano attraversarle. Persino il mare, apparentemente insensibile ai naufraghi, si era cinto di una calma che nessuno, a memoria d’uomo, ricordava così profonda e pacata. Le mura più robusta cadevano una dopo l’altra e le strade, le case, le piazze e i giardini, tornavano quello che erano stati una volta: aperti a tutti.
La festosa invasione dei bambini non sì fermava più e anche un numero crescente di adulti, donne soprattutto, si aggiungeva dopo ogni crollo. Fu poi la volta degli imperi d’acciaio, di gesso, di arrroganza e di polvere a cadere, uno sull’altro, come carte che il vento mescola e porta lontano. Imperi potenti, eterni, immortali, si sfaldavano al tocco lieve del ramoscelllo dei bambini che giocavano a rifare il mondo come meglio a loro sembrava. Della stessa fine erano oggetto anche gli eserciti, i battaglioni e i sempre più numerosi mercenari che della guerra vivevano. La maggior parte dei militari disertava, altri si vestivano da festa e alcuni di loro si aggiungevano al gruppo dei bambini che continuava la sua opera nel mondo.
Quanto ai fabbricanti d’armi avevano smesso e optato per fare mattoni, piastrelle, cemento e porcellana per ricostruire quanto era stato da loro distrutto. C’è chi si improvvisava muratore, imbianchino, piastrellista, costruttore di ponti e elettricista. Alcuni di loro, infine, cominciarono di buon grado a costruire strade dove prima non c’erano e a riparare quelle distrutte dai bombardamenti. La terra intera era ormai diventata un grande cantiere a cielo aperto e la mano d’opera lavorava con solerzia e dignità perchè più nessuno diceva suo ciò che era di tutti. I poveri e i mendicanti si erano trasformati in datori di lavoro.
Infine, al canto in lingua antica dei bambini, caddero in ultimo le parole armate, false e tradite dai grandi manipolatori dell’informazione. Molte si nascondevano per la vergogna, altre promettevano di ravvedersi e alcune, infine, domandavano ai bambini ciò che avrebbero dovuto rappresentare. Fiumi di parole come fango che scorreva dai canali di scolo ed erano drenati in un grande abisso e poi ricoperte di terra. Su questa spuntarono in fretta fiori, erba e una foresta di alberi che portavano scritta una parola nuova da seminare altrove. Quanto ai bambini, terminata l’opera che durò circa una settimana, iniziarono finalmente a giocare.
Mauro Armanino, Niamey, Pasqua, 2022
il cuore armato dell’Italia batte anche in Yemen
L’informazione italiana e l’uccisione del blogger ucraino Valery Kuleshov – Toni Capuozzo
Mi sono chiesto come mai l’informazione italiana, tranne una sola testata, non abbia neppure dato notizia dell’uccisione del blogger ucraino Valery Kuleshov.
Ok, non era Assange.
Ok, non era anglosassone.
Ok, muoiono in tanti, innocenti.
Forse non era neppure nella lista nera di Kiev, Myrovorets (Il costruttore di pace, andate a vederla….).
Forse era un dettaglio stonato, nel coro.
Forse non era una fake news, era solo una ghost news.
Una notizia fantasma, che non fa notizia, non merita.
Gli fosse successo a Mosca, dove queste cose succedono, come successe ad Anna Politkovskaja, sarebbe morto con meno discrezione. Qualcuno se ne sarebbe accorto.
scrive Antonio Mazzeo
…Sigonella è l’occhio e l’orecchio USA e NATO nel conflitto russo-ucraino. Molto più, dunque, di una collaborazione italiana a favore di Zelenski e dell’establishment politico-militare di Kiev: si tratta di cobelligeranza, senza se e senza ma.
Cosa sta accadendo in Ucraina lo sapremo solo dopo aver ripristinato la democrazia in Italia – Vincenzo Costa
Non sappiamo niente di quello che sta succedendo in Ucraina. Se uno guarda la tv si trova davanti a un film in cui gli orchi sono desiderosi di uccidere bambini e stuprare donne.
Un giorno, quando la democrazia in Italia sarà ripristinata, quando avremo un presidente del consiglio che ha presentato un programma e ha ricevuto un mandato dagli elettori e non dalle banche, quando avremo un nuovo parlamento (e mattarella se ne faccia una ragione, si voterà prima o dopo), bisognerà chiedere una COMMISSIONE D’INCHIESTA che chiarisca che cosa è successo nel sistema mediatico italiano, nei tg, da dove sono saltati fuori certi giornalisti televisivi, chi sono, da chi prendono ordini.
Che chiarisca come sia stato possibile avere un apparato che fa impallidire i peggiori regimi totalitari, che indaghi la montagna di notizie false che vengono fatte circolare. Il silenzio totale su tutto ciò che incrina il film.
Silenzio totale sul fatto che il governo ucraino ha sospeso ogni libertà, messo a tacere ogni opposizione, che già prima aveva eliminato dalla vita politica forze politiche con un certo consenso in quel paese, che ogni oppositore viene appellato “spia russa”.
Spia russa è chiunque si opponga, chiunque dissenta. E il potere dei servizi segreti ucraini, tutti nelle mani di gente di provata fede nazista, è senza limiti. La gente sparisce come niente.
Chi si rifiuta di combattere viene sottoposto alla legge marziale. E questo getta un’ombra sulla narrazione secondo cui un popolo vuole combattere. C’è un governo, che prende ordini da Washington, che sta costringendo le persone a combattere, che emana decreti che obbliga anche chi è all’estero a tornare per combattere e morire.
Gli azov usano i civili come scudi umani. Questo è ormai evidente, tranne ai lettori del “Corriere”.
Di Gonzalo Lira, giornalista libero e con passaporto americano, non si ha notizia e molte voci paventano che sia stato arrestato, torturato e ucciso dai servizi ucraini.
Che cosa si nasconde nei sotterranei delle acciaierie di mariupol?
I soldati a fine battaglia si arrendono, con onore. Qui il governo ucraino ha detto di non arrendersi. Un gesto assurdo che la nostra stampa glorifica come eroismo. Non c’entra nulla. Ste merde di valori vengono utilizzati per coprire sempre i nodi delle questioni.
Che cosa c’è la sotto? Che cosa è in ballo?
Silenzio sui soldi, trasformati in valori.
Zelenski chiede soldi, soldi, soldi, e dimentica di dire dove sono finiti i soldi della UE degli anni passati. Sappiamo che l’ucraina, cioè l’attuale classe dirigente che lotta per la libertà, era la più corrotta al mondo. E ora un fiume di denaro sta affluendo in Ucraina. Dove andrà a finire? In quali tasche? Non vorrei che passando da lì finisse direttamente nei conti esteri degli oligarchi ucraini.
Soldi che stiamo togliendo alle persone, alla vita, alla formazione, alla sanità, a tagliare tasse. E non sappiamo dove andranno a finire.
La guerra è una tragedia per i popoli.
Ma è un affare per i soliti bastardi. E in questo caso gli affari sono enormi. All’apparato militare industriale è utile che continui, a lungo.
scrive Toni Capuozzo
Armi bambini e guerra in Ucraina – Doriana Goracci
Siamo abituate a vedere i bambini, magari dalla pelle olivastra se non nera, prendersi in testa le bombe, certo non quelle alla crema, abituate a vedere bambini senza un arto o due, siamo abituati a vedere bambini morti a terra, magari anche scalzi magari anche magri e le foto sono censurate da Facebook. Sono scandalose le foto, fanno male…Beh sono stata male io a incontrarmi con certe foto, per caso, per caso nella maniera più assoluta…
scrive Ida Dominijanni
Questa attesa del massacro finale di Mariupol è insopportabile e decreta la morte della pietà, del buon senso e della politica. Mentre militari e – a quanto pare – civili stanno lì sotto ad aspettare di essere rasi al suolo, i “leader dell’Occidente” – due nomi, leader e Occidente, che non corrispondono più a nessuna cosa – si parlano in videoconferenza, senza neanche scomodarsi a prendere un aereo, e si dicono fra loro, senza neanche scomodarsi a parlare alle rispettive opinioni pubbliche, che “Putin non può vincere questa guerra”, versione edulcorata che significa che deve perderla ed essere destituito con le buone o con le cattive. Ora il problema non è più ripetere quello che i pochi non accecati dalla vertigine di questa dannata guerra andiamo dicendo fin dall’inizio: che la posizione dell’Occidente, dietro la retorica della solidarietà con Kiev, è piena di cinismo per le vittime designate e fa fare una guerra per procura immorale agli ucraini. Il problema è pretendere – pretendere – che ci dicano come si immaginano il mondo una volta che Putin fosse, se mai lo sarà, sconfitto e destituito. Mettiamo pure che sia un obiettivo giustamente punitivo per la sua ybris e la sua invasione illegittima di un paese sovrano confinante: e dopo? I “leader occidentali” come si immaginano il mondo, dopo? Cosa pensano di fare di quella striscetta di terra che va da San Pietroburgo alla Siberia? Pensano di metterci un governo fantoccio? Di venderla alla Cina? O pensano, a proposito di ybris, che la Federazione russa “si democratizzerà” naturalmente, come naturalmente si doveva democratizzare l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia? Dobbiamo uscire, anche noi pacifisti, dalla vertigine della guerra, e pretendere risposte a queste domande. Se i nostri “leader” non sanno fare politica, dobbiamo farla almeno noi. Interrogarli, pretendere risposte, e destituirli se, com’è evidente, non sono in grado di darne.
dalla pagina fb di Doriana Goracci
No alla guerra: per una politica transnazionale di pace – connessioniprecarie
…Vediamo quelli che dicono di essere in prima linea per la transizione verde, privilegiare l’espansione della NATO e le prospettive di futuri investimenti occidentali rispetto alla pace. Vediamo coloro che stanno sostenendo investimenti militari altamente inquinanti celebrare la loro festa omicida e mettere in pericolo non solo il popolo ucraino, ma anche il futuro di tutti noi. È anche colpa loro se la guerra è scoppiata.
La politica delle sanzioni e la guerra economica sono meno violente ma colpiranno soprattutto quei lavoratori, quei migranti, donne e uomini che stanno già lottando per sopravvivere alla pandemia e alla crisi. L’invasione dell’Ucraina non trova appoggio in Russia e in moltissimi si oppongono alla prospettiva di essere in qualche modo responsabili delle azioni del governo di Putin, la resistenza al suo regime autocratico cresce e il numero dei prigionieri politici dissidenti in carcere è in aumento. L’invasione russa sta portando distruzione in Ucraina, ma non c’è un modo democratico di fare la guerra. Quello che vediamo è un tentativo di ridisegnare le relazioni globali in un momento in cui le dinamiche transnazionali e i movimenti delle persone stanno già scuotendo alle radici un sistema geopolitico marcio.
Siamo al fianco di tutte le persone che in Ucraina stanno subendo la guerra. Siamo con tutti coloro che in Russia si oppongono al regime di Putin, sosteniamo chiunque si opponga alla guerra e chiediamo che tutte le ritorsioni militari ed economiche si fermino immediatamente da entrambe le parti. Dobbiamo fermare questo massacro armato e dobbiamo impedire che un’ulteriore crisi colpisca ancora lavoratori, migranti, donne e uomini che già combattono tutti i giorni per la loro sopravvivenza. Mentre i nazionalisti portano avanti le loro azioni in nome di identità ed interessi che ci dividono e ci opprimono, e i democratici alimentano ulteriormente il conflitto in nome di valori che promuovono la presa del capitale sulla vita di tutti e tutte, noi spingiamo per una politica transnazionale in cui lavoratori, migranti, donne e uomini si schierino per la pace e contro questa guerra devastante.
scrive Vincenzo Costa
Fermare la strage
Dall’Ucraina continuano ad arrivare immagini terribili. Dopo bucha ora Mariupol. Cadaveri senza fine sparsi su un viale. I russi dicono che si tratta di una strage compiuta dai nazisti della Azov. Io, in attesa di una commissione indipendente ONU, sospendo il giudizio, come ho fatto su bucha. Ma un cosa è certa: dobbiamo fermare questa strage.
Alcune cose iniziano ad essere chiare:
1) l’invio di armi sta acuendo il conflitto. I valori saranno pure salvi, ma le persone muoiono.
2) i nazisti della azov chiedono un lasciapassare per i civili, e a chi non è un accanito lettore del Corriere una domanda si impone: che cosa ci facevano dei civili dentro le acciaierie? L’unica risposta possibile è che venissero usati come scudi umani dai filosofi neokantiani della azov.
3) la guerra si sta estendendo, e ci sono voci, che spero siano fake news, secondo cui i missili che hanno affondato l’ammiraglia siano partiti da una base nato in Romania;
4) è ormai acclarata la presenza massiccia di “mercenari” europei a fianco delle forze ucraine (chi di noi non è cresciuto nei salotti sa bene che cosa questo significa, cioè dispiegare forze sul campo senza mostrine)
5) è ormai acclarata la presenza di ufficiali nato al comando e con funzione di direzione dell’esercito ucraino, per cui la NATO è dentro sino al collo.
6) il ministro della difesa cinese ha chiarito che prosegue la coordinazione con la Russia. Ovvio, è chiaro a tutti che Russia e Cina vivono o cadono insieme. Insieme sono inattaccabili, perché complementari (numero di combattenti + deterrenza nucleare, ancora debole in Cina).
7) se gli usa fomentano disordine nel mondo euroasiatico prevedibilmente gli altri faranno lo stesso altrove (viviamo in un villaggio globale)
8)le spese Militari stanno aumentando vertiginosamente, e sono risorse sottratte a istruzione, sanità, welfare, lotta alla povertà in Africa
9) chi dice di non prendere più gas dalla Russia delira, e Confindustria tedesca congiuntamente ai sindacati tedeschi ha chiarito che questo significa distruggere il sistema industriale tedesco (e quello italiano ovviamente), avere milioni di disoccupati, meno entrate fiscali, minori servizi.
10) a chi si sbraca per i valori ricordo che queste sanzioni provocheranno miglia e miglia di morti per fame causata dall’aumento del prezzo del grano in molti paesi africani e asiatici, e faranno esplodere fragili equilibri in tutto il mondo, perché quando arriva la fame si perde il buon senso e anche la pietà.
Non è più tempo di essere concilianti. Siamo all’inizio del crollo di un’epoca, tutte le ciprie degli anni passati cadranno, i volti si iniziano a vedere.
Non è destra e sinistra. Abbiamo bisogno di un fronte di persone ragionevoli.
I pazzi hanno giornali, tv, potere, ma lo scollamento tra loro e il paese è totale. Amano i valori, un valore al giorno a seconda delle circostanze, e odiano gli uomini. Bisogna fermarli, bisogna fermare questa carneficina in Ucraina e nel mondo
meno tre, meno due, meno uno… fuoco! – Enrico Euli
La Terza guerra mondiale è iniziata.
Non è stata ancora formalmente dichiarata, ma ci siamo già dentro fino al collo.
La Russia ora attaccherà e distruggerà con ancora più foga e spietatezza, per salvare la faccia dopo l’umiliazione subìta con l’affondamento dell’incrociatore Moskva (colpito, pare, da un missile Nato).
Già ieri i militari ucraini imploravano il Papa di intervenire a salvarli a Mariupol.
Ma se il Papa, come dicono, è la massima autorità morale, perché non gli hanno obbedito quando chiedeva che la guerra non avesse inizio e non proseguisse? Ora è troppo tardi.
Non mi pare che la Russia stia andando in default ed il 9 maggio celebrerà la sua vittoria in Ucraina: sterminata la popolazione di Mariupol ed eliminata la resistenza dei militi dell’Azov, avrà infatti acquisito tutto il sud-est.
L’Occidente potrà sopportarlo ed accettarlo? Certamente no.
E’ evidente da quel che già sta accadendo:
Finlandia e Svezia sono pronte ad entrare nella Nato e a completare l’accerchiamento militare anche sul Baltico e sul Barents.
Arrivano segnali esplosivi dal Medio Oriente: la polizia israeliana entra nella Spianata delle moschee, palestinesi e israeliani si uccidono tra loro e ripartono razzi da Gaza.
La Cia inizia a paventare l’utilizzo del nucleare tattico da parte di Putin: è la nuova profezia che si autoavvera.
L’Italia e l’Europa stanno avviando rapporti con paesi -certo non più decenti né più affidabili del regime russo- per poter rinunciare al gas e rompere i rapporti economici con Mosca.
Gli Usa, la Gran Bretagna e l’Unione Europea proseguono a riarmare gli ucraini, esplicitando sempre più che questi ultimi stanno conducendo una guerra per procura, avviata al fine di indebolire e sconfiggere la Russia e non -come dichiarato inizialmente- per difendere la nazione ucraina. Salgono le probabilità quindi che la Russia e l’Occidente entrino direttamente in guerra tra loro.
In prospettiva, la Cina e gli Stati Uniti si stanno preparando -con questa guerra- ad affrontarsi militarmente: tra Ucraina e Taiwan, si stanno ponendo le basi perchè questo avvenga. Quel che resterà dell’Europa si troverà totalmente schiacciata tra i due blocchi in lotta per il predominio del mondo: si troverà a breve devastata dalla crisi economica e dall’economia di guerra, mentre gli Stati Uniti -pur fallendo ancora una volta sul piano politico-militare- non vedranno colpita -almeno inizialmente- la loro economia (che anzi sarà foraggiata con gli ulteriori commerci di gas e armi).
Gli ucraini sono solo l’antipasto della loro cenetta.
Gli europei, da bravi commensali invitati in attesa bramosa dei dividendi di guerra, si trasformeranno a breve in squisite pietanze su cui avventarsi.
Nel menu statunitense la Russia sarà il primo, e noi il secondo.
Andiamo verso l’escalation bellica – Rafael Poch
Stiamo assistendo, in Ucraina, al ripetersi della situazione vissuta nella Guerra d’Inverno dell’URSS contro la Finlandia, quella tra il novembre 1939 e il marzo 1940. Il fallimento della “guerra lampo”, che i russi si dice contemplassero come prima fase della loro invasione, sta avendo come chiara conseguenza un incoraggiamento dell’interventismo militare occidentale nel conflitto.
Il precedente finlandese
Invece del previsto crollo, della fraternizzazione con gli invasori e della diserzione di massa nell’esercito regolare ucraino, invece della fuga del governo nell’Ucraina occidentale di fronte all’avanzata delle truppe russe verso Kiev e della poca resistenza nell’est e nel sud del Paese, Mosca si è trovata con un altro scenario che l’ha costretta a cambiare piano e ad aumentare la pressione militare.
Come adesso in Ucraina, Mosca puntava sulla distanza anche in quella Guerra d’Inverno. Leningrado, oggi San Pietroburgo, si trovava allora a circa 40 chilometri dal confine con la Finlandia. La Finlandia, come la Polonia, era riuscita a sfilarsi dall’Impero russo con il crollo dello zarismo e la posizione dell’antica capitale imperiale era geograficamente troppo compromessa ed esposta all’invasione. Con la guerra si cercava così di espandere la zona di sicurezza, cosa che ora i leader russi citano in riferimento all’Ucraina e che, per secoli, è stata una delle ragioni fondamentali dell’espansionismo difensivo russo in un paese dagli spazi enormi senza barriere né limiti geografici.
Anche allora, contro la Finlandia, le cose andarono male – o “come al solito”, secondo il detto russo, reso popolare dall’ex primo ministro Viktor Chernomyrdin negli anni Novanta – e quella che avrebbe dovuto essere una “breve guerra vittoriosa” contro un piccolo avversario finì per vedere un enorme tributo di centinaia di migliaia di vittime russe. L’attacco fu pianificato in modo pessimo, senza tener conto dello scenario in cui si svolgeva, del clima e dei problemi logistici di base. I prigionieri sovietici si lamentavano della mancanza di materiali e di munizioni. Molti anni dopo, Nikita Khrushchev descrisse quella sconfitta dei finlandesi come “pericolosa”, proprio perché “l’evidenza che l’URSS fosse un gigante con i piedi d’argilla avrebbe incoraggiato i nostri nemici”, disse. Quindici mesi dopo la firma della pace con la Finlandia, la Germania invase l’URSS.
Far sanguinare l’orso
Oggi gli Stati Uniti, la Nato e l’Unione Europea, che all’inizio della campagna avevano assicurato che non sarebbero intervenuti, si sentono incoraggiati. Non sono solo gli occhi e le orecchie tecnologici dell’esercito ucraino, cosa che gli permette di colpire con precisione, limitare la superiorità aerea dell’avversario e uccidere i suoi generali, ma aumentano la fornitura di armi con la manifesta intenzione di far sanguinare l’orso nella trappola in cui si è cacciato da solo.
Due miliardi e mezzo di dollari dall’inizio del conflitto, solo da parte degli Stati Uniti, che si aggiungono agli invii precedenti all’invasione e all’intenso addestramento dei quadri dell’esercito e dei servizi segreti ucraini da parte della CIA iniziato nel 2015, subito dopo il cambio di regime a Kiev.
In Europa c’è la convinzione che “questo conflitto sarà vinto sul campo di battaglia”. Sono parole di Josep Borrell (Alto rappresentante della UE per gli affari esteri e la sicurezza, ndr) pronunciate dopo aver comunicato l’impiego di altri 500 milioni di euro del Fondo europeo a Sostegno della Pace per fornire più armi agli ucraini. La NATO ha aggiunto 40mila uomini sul suo fronte orientale, stabilirà più basi militari permanenti nell’Europa dell’Est e fornirà missili terra-aria per abbattere aerei russi e lanciare missili contro le navi nel Mar Nero. Dalla Slovacchia sono arrivate batterie antimissilistiche S-300 di fabbricazione russa, quelle che i russi affermano di aver già distrutto a Dniepropetrovsk (Dnipro). Il più insensato membro del club eurpeo, vale a dire i polacchi, insiste per effettuare un intervento militare di terra nell’Ucraina occidentale, anche se senza la bandiera della NATO. Washington non invierà truppe in Ucraina (i quadri della SAS britannica e quelli della Delta Force statunitensi sono lì “dall’inizio della guerra”, afferma il corrispondente di Le Figaro Georges Malbrunot) ma è disposta a sostenere i paesi della NATO se uno di loro decidesse, dichiara l’ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, Linda Thomas-Greenfield.
La pressione informativa
Nel promuovere questa escalation, il ruolo del complesso dei media è fondamentale. I crimini dei soldati, che nelle guerre dell’Occidente sono considerati eccezioni nei pochi casi in cui vengono rivelati, vengono considerati la norma e debitamente amplificati, perfino nei casi in cui non vi siano evidenti prove indipendenti della loro credibilità. Purtroppo, alcuni di essi sono stati dimostrati e ci riportano a scene già note come quelle vissute nella città cecena di Shamashkí nell’aprile 1995.
“Adesso tutti i russi sono nostri nemici”, “Carri armati per l’offensiva”, titola il Frankfurter Allgemeine Zeitung, il principale quotidiano tedesco. “Un intervento militare della NATO non deve più essere un tabù“, afferma Die Welt. Appena un mese dopo l’inizio dell’invasione russa, il negoziato è completamente scomparso dall’orizzonte occidentale: “Il nostro obiettivo è che la Russia non vinca questa guerra”, afferma il cancelliere Olaf Scholz. “Questo è ciò che sta dietro il nostro invio di armi, i nostri aiuti finanziari e umanitari, le sanzioni e l’accoglienza dei rifugiati”, spiega.
Il presidente Biden, che potrebbe avere nei bassi livelli di popolarità e nell’inflazione, per le quali indica la responsabilità dei “russi”, un motivo politico a favore di una guerra all’estero, è soggetto a influenze di vario e opposto genere. Dal Pentagono e dalla CIA gli viene consigliato di essere cauto, dal complesso dei media e dal Dipartimento di Stato è invece invitato a impegnarsi di più. Nelle sue dichiarazioni, Biden parla già di un conflitto di anni a venire “tra democrazia e autocrazia, libertà e repressione” e in un discorso gli è già sfuggita la volontà di cambiare il regime di Mosca affermando che Putin (“criminale di guerra” e autore di “genocidio”) “non può continuare a comandare” lì. La maggioranza degli statunitensi sostiene nei sondaggi l’istituzione di una “no-fly zone” se la guerra continua, nonostante il fatto che i militari avvertano che ciò comporterebbe di abbattere gli aerei russi e che i russi abbattano i loro, nonché la necessità di attaccare le difese antiaeree sul territorio russo. Nel suo editoriale del 10 aprile, L’Observer sosteneva l’intervento militare diretto nell’Ucraina occidentale, quello che vogliono i polacchi, con la fornitura di carri armati e aerei e il distaccamento di forze navali nel Mar Nero per scoraggiare qualsiasi tentativo di prendere Odessa. “I rischi sono evidenti, ma l’unica alternativa è una carneficina infinita. Se l’Occidente è seriamente intenzionato a fermare la guerra, misure così forti possono essere l’unico modo”.
Preparativi di guerra contro la Cina
A Washington il dilemma “o contro la Russia o contro la Cina” che aveva creato tante divisioni nell’establishment durante la presidenza di Donald Trump è stato definitivamente risolto: contro entrambi. “Il modo migliore per andare contro la Cina è sconfiggere la Russia”, afferma un noto analista locale, esprimendo il nuovo consenso.
Nell’ultima riunione dei ministri degli Esteri, l’8 aprile a Bruxelles, la Nato ha indicato chiaramente i preparativi per la guerra contro la Cina che si rifletteranno nell’annunciato “nuovo concetto strategico” che dovrà essere approvato al vertice del prossimo giugno a Madrid. Per la prima volta nella loro storia, i ministri degli Esteri di Corea del Sud e Giappone hanno partecipato a un conclave NATO di quel livello a Bruxelles, c’erano anche quelli di Australia e Nuova Zelanda. Il Giappone si è unito alle sanzioni contro la Russia e ha disfatto in pochi giorni tutti i progressi nelle complicate relazioni bilaterali con la Russia faticosamente realizzati sotto mandato di Shinzo Abe. L’Aukus (Australia, Inghilterra e Stati Uniti) ha annunciato lo sviluppo di nuovi missili ipersonici per lo scenario asiatico.
I cinesi prendono buona nota di tutto questo. “Gli Stati Uniti sentono che la forza dei loro alleati nel Pacifico occidentale non è sufficiente e vogliono coinvolgere l’intera Nato nel loro progetto indo-pacifico“, presuppone il quotidiano cinese Global Times .
I risultati della prima fase dell’invasione, così ambigui per Mosca e così disastrosi per l’immagine internazionale della Russia in Occidente, hanno accresciuto l’aspettativa di un secondo disastro russo nella battaglia per il Donbass che ora si annuncia e in cui i russi sperano di accerchiare e annientare il più grande e combattivo corpo d’armata ucraino. Sarà necessario vedere se le armi e le risorse occidentali, così come lo sforzo ucraino, riusciranno a rovesciare nuovamente il proposito russo.
A Mosca la battuta d’arresto della prima fase ha generato un misto di malumore, contrarietà e iattanza tra i propagandisti della guerra che compaiono in televisione. La conseguenza è l’inquietante indurimento del discorso, contro l’Ucraina, contro la nazione ucraina e contro gli ucraini in generale. C’è poi anche l’emigrazione: 100mila giovani russi, in gran parte specialisti qualificati, hanno lasciato il Paese a marzo e le cifre, per aprile, dovrebbero essere simili.
Possiamo chiederci fino a che punto si spingerà questa follia in Russia, senza perdere di vista quella demenza ben più generale che sta spingendo inequivocabilmente il mondo verso una grande guerra.
Fonte e versione in lingua originale: cxtx, contexto y acción
Traduzione per Comune-info: marco calabria
Le impronte digitali americane in Ucraina. Così gli Usa hanno messo le mani sul Paese – Fabio Mini
… Cercare le tracce del coinvolgimento diretto degli Stati Uniti in questa guerra che viene presentata come una questioncina tra Russia e Ucraina e al massimo tra Ue o Nato e Russia è meno difficile di quanto possa sembrare. Gli Usa sono in Ucraina dal 1991 e non se ne sono mai andati. All’atto della disintegrazione dell’Urss, l’Ucraina si trovò con il terzo più potente arsenale nucleare al mondo, dopo Stati Uniti e Russia. Ben 176 missili intercontinentali con 1240 testate nucleari. Diverse dozzine di bombardieri nucleari strategici con 600 missili e bombe a gravità e 3000 ordigni nucleari tattici. Stati Uniti e Russia concordarono una riduzione degli armamenti nucleari e nell’idea che l’Ucraina sarebbe stata comunque nella sfera d’influenza della Russia, decisero di eliminare tutti gli armamenti nucleari esistenti in Ucraina. Dal 1992 l’Ucraina sfruttò la sensibilità occidentale alla questione nucleare e fino al 1994 l’Ucraina continuò a temporeggiare e mercanteggiare sulla propria adesione al trattato di non-proliferazione e sulla ratifica degli Start. Lo smantellamento di ogni silo missilistico costava 1 milione di dollari (di allora) e gli Stati Uniti stanziarono 399,2 milioni per pagare la Bechtel Corp. che prese l’appalto dei lavori. La denuclearizzazione si completò, almeno sulla carta, nel ’96, ma solo nel 2000 i bombardieri strategici furono ceduti alla Russia in cambio dell’abbuono dei debiti accumulati con le forniture di gas. L’Ucraina ha ereditato circa il 30% dell’industria militare sovietica, che comprendeva il 50-60% di tutte le imprese ucraine, impiegando il 40% della sua popolazione attiva. L’esercito ucraino commerciava armi convenzionali e firmava contratti con imprese commerciali. I primi contratti sulle consegne di armi all’Iran, firmati a metà ’92, causarono una reazione negativa in Occidente (specie negli Usa). Da allora l’Ucraina non ha cessato di produrre armamenti e di cederli anche sul mercato nero a vari Paesi, sempre sotto l’occhio vigile di Usa, Russia e relativi trafficanti e oligarchi.
A partire dalla Rivoluzione arancione del 2004, gli Stati Uniti intervengono in Ucraina per destabilizzarne i rapporti con la Russia. I vari tentativi si concretizzano dieci anni dopo con gli incidenti di Maidan. L’ingerenza è plateale ed è la telefonata di Victoria Nuland – che “l’Ue si fotta!” – a rivelare che non si tratta di semplice monitoraggio degli eventi, ma di regia politica e operativa. Dal 2014 al ’22, con sanzioni e interventi di assistenza militare Usa e Nato, viene ristrutturato l’esercito, vengono armate e addestrate le milizie paramilitari e installati laboratori di ricerca biologica a cura di compagnie statunitensi. In un tentativo grottesco di spacciare per fake news la questione dei laboratori, il Vox Check Team scrive: “Biolaboratori segreti americani in Ucraina? Un mito della propaganda russa. Non ci sono prove che ci siano… Tuttavia c’è una cooperazione tra istituzioni ucraine e americane. Dal 2005 gli Stati Uniti hanno aiutato a modernizzare i laboratori ucraini, a condurre ricerche e a migliorare la cultura della sicurezza per prevenire focolai di pericolose malattie infettive attraverso il programma di riduzione della minaccia biologica. Durante l’intero periodo di cooperazione, gli Stati Uniti hanno investito circa 200 milioni di dollari per lo sviluppo di 46 laboratori e istituzioni mediche in Ucraina. Queste istituzioni non sono coinvolte nello sviluppo di armi chimiche o biologiche”…
Volontari polacchi: “Trattati come criminali se aiutiamo migranti non ucraini” – Alessandra Fabbretti – Agenzia DIRE
Denunce da Bialystok: “Da gennaio sempre più rischi e arresti”.
“Chi aiuta le persone al confine ucraino è trattato come un eroe. In tv vediamo militari e guardie di frontiera dare una mano, prendere in braccio i bambini ucraini, ma la situazione cambia drasticamente quando si tratta di aiutare i migranti al confine con la Bielorussia. L’intera regione di Podlachia sta subendo enormi pressioni: i militari sono ovunque, fermano la gente e controllano le auto, a volte arrestano”. Lena parla con l’agenzia Dire fuori dal tribunale distrettuale di Bialystok, la principale città della Polonia nord-orientale. Chiede di non essere citata né fotografata “per non avere problemi” ma i suoi timori non le hanno impedito di unirsi al sit-in organizzato nella mattinata di ieri di fronte il tribunale: gente espone cartelli per ricordare che non si dovrebbe emigrare nella paura e chiede che sia rilasciata una attivista fermata qualche giorno fa dalla polizia di frontiera poiché fermata mentre trasportava dei migranti in difficoltà, e che quindi ora deve difendersi dall’accusa di “traffico di migranti”.
Mentre parliamo, a un tratto una ragazza sui vent’anni esce sorridente dall’edificio e la folla la acclama: il giudice non ha confermato la custodia cautelare. Ma la giovane come molti altri qui non ha voglia di parlare coi giornalisti e si allontana in fretta. In questa regione dal settembre scorso sono arrivati centinaia di migranti dal confine bielorusso e le autorità polacche, oltre a chiudere quel tratto di confine, hanno imposto una zona di sicurezza profonda 3 chilometri, una linea rossa visibile anche su Google Maps. Un modo, ha assicurato il governo del premier Mateusz Morawiecki, per garantire la sicurezza. Ma secondo i volontari serve a impedire che i profughi – provenienti da Paesi come Siria, Yemen, Afgjanistan o Iraq, tra cui anche donne, malati e bambini – ricevano aiuto, e che giornalisti e osservatori documentino che gli agenti impediscono alle persone di entrare in Europa e di uscire persino dalla zona compresa tra i fili spinati.
Difficile verificare le accuse di respingimenti verso la frontiera bielorussa. Da mesi la gente si nasconde nei boschi, anche con neonati e persone con disabilità gravi, e chiede ai volontari cibo, acqua, medicine. Almeno 24 le morti ufficialmente confermate in quest’area tra le barriere di filo spinato dall’autunno scorso. E da gennaio, “la situazione per chi aiuta è nettamente peggiorata” avverte Kasia, altra volontaria che chiede l’anonimato. “Prima rischiavamo al massimo una multa di 500 sloti – circa 100 euro, in un paese dove il salario medio ammonta a 600 – ora gli arresti avvengono più spesso per aver violato la zona rossa o perché trovano in auto sacchetti di cibo, coperte o powerbank, tutte cose che ti rendono un sospettato perché è ciò che di solito portiamo alle famiglie bloccate nei boschi. Il governo ha capito di non poterci fermare e le forze di sicurezza si sono riorganizzate: danno la caccia sia ai migranti che a noi. Anche i respingimenti sono più frequenti”.
Una pratica, questa, vietata dal diritto internazionale, come riconosciuto anche da una sentenza di un tribunale polacco del 25 marzo accolta con entusiasmo dai volontari. Kasia prosegue: “Se il tuo nome è inserito nella lista degli attivisti puoi essere pedinato e registrano la tua targa. Chi arriva da fuori questa regione riceve un’attenzione particolare. Giorni fa senza motivo, a un posto di blocco mi hanno obbligata a tornare a casa passando per un’altra strada, allungando di decine di chilometri”.
Nonostante le restrizioni scattate a settembre, l’emergenza migratoria da queste parti ha innescato da subito una potente macchina di solidarietà. Lo dimostrano Andrej e Agata, altri nomi di fantasia. Ci troviamo molti chilometri più a nord di Byalistok, in un’area immersa tra i boschi prossima alla ‘zona rossa’ al confine. La coppia dall’autunno scorso non solo cerca di fare arrivare aiuti ai profughi in rete con gli altri volontari ‘dell’ultima ora’, ma quando può li accoglie nella sua grande casa. Alle pareti, foto di famiglia e disegni dei bambini, indizi di una normalità che, dicono sorridendo, “non tornerà più”. Qui, divieto assoluto di foto e riprese: “Dobbiamo restare un approdo sicuro per queste persone”, spiega Agata alla Dire. “Non possiamo fidarci neanche dei vicini, ci potrebbero denunciare”.
Ad essere criminalizzato non è il volontariato in sé ma tutte quelle azioni che potrebbero comportare una contropartita in denaro, insomma ‘un commercio profit’: accogliere migranti in casa, così come dare passaggi in auto o distribuire cibo può ricadere in questa definizione e quindi bastare per essere incriminati per traffico di esseri umani, reato che può costare fino a otto anni di carcere. Ma, si domanda la donna, “come si fa a non rispondere agli sos? Fino a due giorni fa c’era la neve e la notte poteva fare -10°C”, continua Agata indicando le foreste che si vedono fuori della finestra, mentre mostra un libretto del corano poggiato su uno dei letti allestiti per i profughi di passaggio. “L’ho comprato dopo aver capito che a questi ragazzi avrebbe fatto piacere pregare”.
Almeno una ventina sono passati da qui, tra i 14 e i 45 anni, provenienti da Siria, Iraq, Yemen, Congo e Sudan. Agata conferma che ora stanno bene, sono riusciti a raggiungere Varsavia oppure la Germania e l’Italia potendo fare richiesta d’asilo senza rischiare di essere respinti oltre il confine bielorusso, una sorte che spesso tocca più volte ai migranti prima di riuscire a superare la red zone.
“Sento che non facciamo nulla di male- dice ancora Agata- ma nonostante ciò vivo nel panico. È bellissima la solidarietà che i polacchi stanno dimostrando verso gli ucraini, ma qui, fare ciò che i polacchi stanno facendo per loro, significa infrangere la legge”. A oggi quasi due milioni e mezzo di ucraini hanno varcato la frontiera polacca, ottenendo la protezione umanitaria temporanea garantita dalla direttiva Ue del 2001 che consente di avere accesso a un domicilio, e quindi a un lavoro, alla sanità e alla scuola. Dopo 21 anni dalla sua istituzione, è la prima volta che il Consiglio attiva questo meccanismo di protezione per i profughi in fuga da guerre e persecuzioni.
“Qui al confine bielorusso i profughi sono poche centinaia e non si fa niente per accoglierli” osserva ancora alla Dire Wojtek Radwanski, fotoreporter che accetta con sua moglie di condividere la propria identità. È anche volontario di Klub inteligencji katolickiej (Kik), associazione cattolica che a dicembre ha subito una perquisizione nella propria sede poiché il suo aiuto ai migranti aveva “destato sospetti”. Più di recente, una volontaria dell’associazione è finita agli arresti sempre nei pressi dell’area rossa e attende oggi la decisione sulla detenzione cautelare di tre mesi chiesta dal procuratore.
“Abbiamo saputo di una famiglia afghana che è stata respinta indietro in Bielorussia- continua il fotografo, che sullo smartphone ha incollato l’adesivo di una raccolta fondi per l’emergenza Ucraina- mentre un’altra è stata accolta senza problemi perché arrivava dall’Ucraina. Tutto questo è surreale. La moglie Maria Radwanska, manager per una azienda e coordinatrice del Kik, aggiunge: “Voi giornalisti dovete raccontare quanto è diverso il trattamento riservato ai migranti non ucraini“.
Marius Kurnyta, 35 anni, è un altro volontario di Bialystok fermato a fine marzo mentre cercava di raggiungere una famiglia tra cui c’era una bambina di 40 giorni – poi accolta dagli agenti di frontiera e trasferita in un centro per migranti. Essendosi rifiutato di pagare la multa per aver infranto la zona rossa, la sua causa passerà al giudice che potrebbe imporre una sanzione più salata ma lui, che lavora nell’edilizia, ha due figli e da settembre dorme poche ore a notte, non pagherà: “Sarebbe ammettere che queste leggi sono giuste”, spiega, e aggiunge: “Ciò che fa più male è essere perseguitati, ci impediscono in tutti i modi di raggiungere i migranti. Anche coi profughi ucraini l’aiuto viene dal cuore. Ma da queste parti assume i toni dell’odio e della propaganda”.
Kurnyta chiama in causa anche le responsabilità delle autorità bielorusse, accusate da Varsavia e Bruxelles di spingere i migranti alle frontiere europee come arma di una ‘guerra ibrida’ contro l’Ue: “Quella famiglia che stavo cercando di aiutare era stata portata in una trappola- dice- perché si trovava in una zona compresa tra un fiume, una palude e la frontiera polacca. Anche volendo non avrebbe potuto tornare indietro”. Con lo scoppio della guerra in Ucraina, Minsk ha chiuso un campo profughi poco distante dalla Polonia, obbligando le persone a scegliere tra i rimpatri verso Paesi ritenuti non sicuri o tentare la sorte in Polonia. Chi accetta la seconda strada “subisce violenze- afferma l’uomo- ho lo smartphone pieno di foto che i migranti mi mandano, con immagini di lividi e ferite, perché i militari bielorussi li spingono verso il confine picchiandoli. Gli rompono anche i telefoni”. E in Bielorussia non esiste più una società civile che possa mobilitarsi per assistere questa gente.
“Lì addirittura le ong e i volontari sono sistematicamente criminalizzati” denuncia Marta Gorczynska del Comitato Helsinki per i diritti umani della Polonia (Hfhr). “Siamo anche infastiditi dal comportamento delle istituzioni europee che, non agendo rispetto a quello che accade alla frontiera polacco-bielorussa, di fatto lo accettano nonostante tutto avvenga in palese violazione delle leggi. Ci aspettiamo che l’Ue protegga le persone, tutte”.
Vincere! …e vinceremo? – Enrico Euli
Gli Usa, anche quando perdono (vedi Cuba, Vietnam, Iraq, Siria, Afghanistan…), non perdono mai.
E, se non hanno vinto, certamente ‘vinceranno’.
E, se qualcun altro vince al loro posto, la sua vittoria non va mai riconosciuta.
Devono essere, infatti, sempre gli unici a vincere.
Perchè, semplicemente, non sanno perdere.
A perdere devono, per statuto, essere sempre e comunque ‘gli altri’, anche quando questi vincessero.
Non la prendono mai sportivamente.
É già accaduto ripetutamente nella storia e sta riaccadendo oggi in Ucraina.
Putin sta per vincere la sua guerra.
La situazione si va facendo pericolosissima per tutti proprio perché gli Usa stanno ancora una volta perdendo, ma non possono accettarlo, nè riconoscerlo.
Continuano a pompare i poveri ucraini, consegnandogli armi e promettendogli vittoria.
Nel frattempo, sono loro a morire a decine di migliaia; ma -se obbediranno ai loro ordini, promettono i loro alleati statunitensi- vinceranno.
Il futuro di un’illusione, di una bugia che però ha già le gambe corte…
scrive Arnaldo Scarpa
Buongiorno a tutte e tutti! Ieri, in qualità di portavoce del Comitato Riconversione Rwm e Co-Presidente della Rete Warfree, ero tra gli organizzatori della Giornata della Terra 2022 a Iglesias. L’evento, intitolato “Costruiamo insieme Comunità Future” si sarebbe dovuto svolgere nella piazza principale (Piazza Sella) ma, a causa del tempo umido e incerto, è stato spostato nella bella Sala intitolata a Remo Branca presso il Palazzo Municipale, cortesemente messa a disposizione dall’Amministrazione Comunale. Molto buona e varia la partecipazione, con la presenza di splendidi bambini della scuola primaria, preparati con cura dalle loro maestre e accompagnati dai genitori. Numerose associazioni hanno voluto condividere con gli organizzatori l’occasione della presentazione del libro di Pasquale Pugliese, “Disarmare il virus della violenza” e, dopo la sua presentazione, sono intervenute, ognuna dal proprio punto di vista. Ringraziamo particolarmente i giovani di Fridays for Future e Sardinia Aresti ma naturalmente anche tutti gli altri. Fin dal ritrovo in Piazza Sella erano presenti alcuni funzionari di polizia. Non mancano mai alle nostre iniziative e, attenti come sono, immagino che negli anni abbiano pure imparato chi siamo e con quale testarda convinzione applichiamo i nostri princìpi nonviolenti in un mondo strutturalmente violento. La cosa assurda, inaudita per un convegno culturale regolarmente autorizzato, è che alla fine si siano messi ad identificare i numerosi presenti creando non poco ritardo, disagi e irritazioni. Dove mai si era vista una cosa del genere? Quale tipo di considerazioni abbiano portato gli agenti ad adoperare questo trattamento verso persone e organizzazioni note per il loro impegno pacifista rimane un incognita ma è certo che, come organizzatori dell’evento, non mancheremo di inviare una protesta formale a chi di dovere.
La Natolia – Michele Zizzari
A mio avviso, l’Italia è stata per troppo tempo un agglomerato scomposto e arlecchinesco di signorie, colonie e sotto regni satelliti – servitori di uno, due e anche più padroni – sempre l’un contro l’altro armati, ora da questo e ora da quel grande Regno o Potenza d’Europa cui genuflessi si chiedeva protezione a seconda delle circostanze e di quel che sembrava convenire al momento: Austria, Inghilterra, Francia, Vaticano o Spagna, abbasta ca se magna…
Come del resto le Regioni di adesso, diventate quasi dei mini-stati a caccia di una propria (e divisoria) micro sovranità, oltreché aziende in cinica competizione – come ad esempio nell’accaparramento dei fondi e degli stanziamenti pubblici e nella fornitura di infrastrutture, scuole, ospedali, servizi sociali e sanitari. Una competizione geopolitica ed economica su scala nazionale, dove vincono le più forti, e cioè quelle che sanno fare meglio gli affari e le bazze.
Poi, dalla (e nonostante la) Liberazione, l’Italia è restato un paese a sovranità limitata (anzi ultra limitata) e a tempo determinato, a seconda delle convenienze geopolitiche ed economiche altrui. Da allora infatti i nostri governi sono sempre dovuti passare al vaglio del Pentagono, della Nato e delle Amministrazioni USA, che ne hanno anche bloccato – a suon di bombe, attentati, minacce di golpe e trame oscure – la crescita democratica e l’avanzata delle sinistre (manco a dirlo, in chiave antirussa).
A dir questo – fortuna – sono in ottima compagnia, perché lo affermava (nei suoi Scritti corsari e non solo) anche un certo Pier Paolo Pasolini, di cui si commemorano i cent’anni dalla nascita un po’ dappertutto, ma di cui si dimentica il pensiero.
Temo che per la propaganda guerrafondaia e di governo sulla questione ucraina risulterebbe anch’egli un filo-Putin destinato ad essere bullizzato e insultato sui media da opinionisti e giornalisti embedded e di mediocre statura.
Eppure, per la posizione strategica che ha nel Mediterraneo e in Europa e per le sue peculiarissime caratteristiche (geofisiche, storiche, culturali, d’ingegno umano, eccetera) l’Italia avrebbe potuto candidarsi come il Paese leader di tutta l’area mediterranea (e non solo) e svolgere un ruolo di equilibrio, di buone relazioni e di pace tra Nord e Sud e tra Est ed Ovest. Purtroppo, non se n’è avuto il coraggio, l’intelligenza, la visione… perché sempre governati da caste, forze politiche, gruppi di potere ed élite economiche con la vocazione del servo. Di fatto siamo il Paese nel mondo con più basi Nato, ben 120. Alcune delle quali, munite di testate nucleari – che ci hanno contaminato e avvelenato mari, terre e falde acquifere senza nulla pagare – sono operativamente indipendenti dalla volontà del nostro Parlamento e del nostro popolo.
Da decenni continuiamo – senza dirlo, senza riconoscerlo e inventando ossimori e definizioni acrobatiche alla Putin – a partecipare a guerre mosse dagli USA e dalla Nato, anche contro il parere dell’ONU.
E lo stesso abbiamo deciso di fare adesso in Ucraina, e ancora una volta senza sentire cosa ne pensino gli italiani, che in realtà e in maggioranza sembrano addirittura contrari.
Giunti a questo punto… suggerirei di cambiare il nome dell’Italia in “Nato-lia”.
Se non altro apparirebbe come un appellativo meno ipocrita e più coerente alla nostra lunga storia di sudditanza.
Tratta sessuale dall’Ucraina, primo arresto in Spagna. Allerta sulle reti pedofile transnazionali – Alessio Di Florio
…La situazione del conflitto armato consente alle persone che lasciano l’Ucraina di farlo in alcune occasioni senza presentare alcun tipo di identificazione ufficiale che non è nemmeno richiesta quando si attraversa il confine di nessuno dei paesi dell’area Schengen. Da qui la facilità con cui l’arrestato ha potuto lasciare il Paese e attraversare tutta l’Europa con due minori con cui non è imparentato o autorizzato a viaggiare.
Destinazione principale: Germania
Le reti della tratta sono in agguato ai confini dell’Ucraina, in particolare di Polonia e Ungheria, per catturare donne e ragazze che finiranno nei bordelli di tutta Europa, in particolare quelli dei Paesi Bassi e, soprattutto, della Germania dove reati di tratta di persone per le finalità dello sfruttamento sessuale sono aumentate di oltre il 25% dal 2017, secondo i dati dell’Ufficio federale di investigazione criminale (BKA), e il Paese è al primo posto in Europa per reati di tratta di persone a scopo di sfruttamento sessuale per via della sua modello di “regolarizzazione” della prostituzione.
Tuttavia, a volte le reti di traffico non compaiono fino a quando le donne e le ragazze rifugiate non arrivano a destinazione quando questa destinazione è la Germania. Nelle stesse stazioni dei treni e degli autobus dove migliaia di donne ucraine arrivano senza nulla, ogni giorno, i protettori aspettano che le “offriscano lavoro” in uno dei macro bordelli tedeschi. Va ricordato che in Germania la prostituzione è considerata un’attività lavorativa, il che ha reso il Paese bavarese un centro mondiale per lo sfruttamento sessuale delle donne di tutto il mondo.
La Germania ha registrato l’arrivo di 200.000 ucraini e 10.000 arrivano a Berlino ogni giorno. Ora la polizia tedesca ha avvertito che le donne rifugiate ucraine sono nel mirino delle mafie della prostituzione.
L’altra forma di trattamento
C’è un altro profilo di criminali che potrebbero commettere il reato di tratta di esseri umani, che sono tutti coloro che avrebbero contratto l’acquisto di un bambino attraverso un contratto sostitutivo, e che in situazione di guerra si sono recati in Ucraina. In più occasioni, al loro arrivo, le parti contraenti hanno riscontrato che le madri erano fuggite dal Paese per rifugiarsi dalla guerra e lo hanno fatto con i figli che avrebbero dovuto essere oggetto del contratto, e sono state costrette a consegnare quelle bambini che godrebbero dello status di rifugiati di guerra, al di fuori del territorio ucraino .
Il numero di questi casi sta diventando così significativo che la stessa società ucraina di macro maternità surrogata BioTexCom ha avvertito in una dichiarazione pubblica che questi contratti sono validi solo sul territorio ucraino e che chiunque effettui un parto o riceva uno di quei bambini nel territorio di uno qualsiasi dei paesi limitrofi dove questa pratica non è consentita, commetterebbero un reato di tratta.
La Germania ha registrato l’arrivo di 200.000 ucraini e 10.000 arrivano a Berlino ogni giorno. Ora la polizia tedesca ha avvertito che le donne rifugiate ucraine sono nel mirino delle mafie della prostituzione.
Mi nonno ai nonni de quelli der battaglione #Azov je sparava, mica je regalava le armi
ecco l’eroe dell’Occidente:
Qualcuno potrebbe tradurre cosa dice Zelensky nel video?
grazie