Siamo morti da prima del Covid però…
… non ce ne siamo accorti?
76esima puntata dell’«Angelo custode» ovvero le riflessioni di ANGELO MADDALENA per il lunedì della bottega
Uscire dal tunnel in cui siamo entrati molto prima del 2020: non è facile ma è un dovere
Qualche giorno fa un amico ultrasessantenne mi ha invitato ad assistere alle prove di canto all’aperto, in un parco di Perugia. Lui e altri 6 suoi coetanei preparavano due canti di partigiani da eseguire il 25 aprile. Tutti con la mascherina, lui mi è venuto incontro dicendomi se potevo metterla perché, mi ha detto, “siamo anziani”. Io me la sono messa. Qualcuno di loro lo avevo già incontrato e mi ha riconosciuto. Gli altri mi hanno salutato e poi hanno iniziato a cantare. La canzone parla di un partigiano perugino. A un certo punto il mio amico ha starnutito e quella che sembrava essere la “capa” del coro lo ha rimproverato, perché non lo ha fatto dentro la mascherina. Lui ha detto che voleva evitare di impregnare la mascherina. Era a distanza di sicurezza dagli altri. Io ho pensato che eravamo all’aperto … e lui ha anche starnutito sul braccio cioè sul suo cappotto. Hanno iniziato a cantare, tutti con la mascherina ovviamente. Ho detto che se l’avessi saputo avrei portato la chitarra. La “capa” del coro mi ha detto che lei ce l’ha ma non la porta perché “potrebbero farci la multa” (nel parco molto grande c’erano comunque non più di 20 persone a gruppi di due e molti da soli con il cane). La capa del coro aveva registrato sul suo smartphone la base della canzone e usavano quella. Stare in casa per troppo tempo oppure uscire e rimanere sempre nel proprio quartiere o nelle vicinanze se accade per disposizioni esterne e di autorità costituita può provocare una disabitudine al viaggio, all’incontro, alla scoperta. Anche vedere persone per bere un thè insieme a casa, di pomeriggio può essere una buona valvola di sfogo e di incontro. Basta poco. Eppure anche io ultimamente mi ritrovo “vittima” di certe abitudini che si vanno radicando in molti. Pochi giorni fa ho invitato una nuova inquilina a bere un thè. Devo dire che Perugia è una città dove per farti entrare a casa devi essere da molto tempo amico se non parente: ho sentito il detto “il perugino ti saluta solo se mangiate insieme almeno una volta”. Di questi tempi si esce poco e figuriamoci se ti fanno entrare a casa, però una professoressa mia vicina di casa da ormai quasi un anno mi fa entrare a casa sua anche per quattro chiacchiere e qualche pasticcino (sotto Natale!). Ultimamente mi sono accorto di essere spesso nervoso. Per rilassarmi ho ripreso a usare gli acquerelli e pensare alla convivialità dei piccoli momenti di incontro fra vicini. E’ chiaro che parliamo di un “cambiamento di civiltà” ogni volta che pensiamo e facciamo certi gesti: a me può sembrare normale ma so che molti non riescono a ritagliarsi uno spazio minimo neanche per prepararsi un thè ogni pomeriggio o non pensano a condividerlo. Mia nonna ogni pomeriggio andava a casa di una vicina a chiacchierare ma quello è un mondo perduto: non solo per l’usanza rituale “passata di moda” ma anche perché manca il tempo interiore per leggere una poesia o un testo di filosofia, quindi per mettere in moto il pensiero logico, in modo articolato e impegnativo. Leggere è rivoluzionario. Nel 2004 Pietro Barcellona diceva che la tragedia dell’uomo di oggi oltre all’assenza dell’esperienza (Benjamin) è la perdita del tempo interiore per leggere una poesia. Io l’ho scritto nella canzone «Un mondo assente» – nel cd A piedi e in canto (allegato al libro «A piedi in un mondo sospeso»). Da qualche giorno sento dire ad alcuni (nati negli anni ‘70 o dopo) che le riaperture del 26 aprile sono “pericolose”, “un regalo a Salvini”. Chi lo dice è “di sinistra”. Una di queste mi sembrava una ragazza sveglia e spigliata, poi ha detto: «Adesso finirà come la Sardegna che da bianca è diventata zona rossa». Poi l’ho vista accendersi di una devozione luminosa per Zerocalcare. Invece ho incontrato una signora che si è detta contenta delle riaperture: «finalmente liberi», però lo ha detto senza vero entusiasmo. La questione è complessa. A parte tutta la cultura “di sinistra” degli ultimi decenni che ha prodotto giovani anchilosati e paralizzati culturalmente e psicologicamente (sta venendo fuori in modo lampante nell’ultimo anno, ma per chi osservava i fondali da prima non è una novità) stiamo continuando a “uccidere uomini e donne già morti”. Due aspetti voglio evidenziare. Uno mi era già noto perchè faccio indagine dal 2006 (ho iniziato con il libro «Amico treno non ti pago») e un’altro sta venendo fuori come conseguenza profonda e paralizzante dell’ultimo anno di assedio psico-mediatico. Dal 2006 ho ragionato sulle nuove povertà: quelle di autonomia e di creatività che si ingenerano quando la dipendenza dalla tecnologia, dal mercato e dalle istituzioni superano una certa soglia. Nuove povertà che portano alla perdita della capacità di gestire le ansie interiori (Ivan Illich ha scritto molto al riguardo). Un esempio fra tutti: il viaggio in treno e negli autobus, con il biglietto oppure senza, per motivi diversi ovvero dimenticanza, scelta politica, impossibilità di pagare il biglietto (del treno più che dell’autobus). Ho scoperto un paradosso: calano le persone che usano un mezzo pubblico (il treno nella fattispecie) e man mano che diminuisce la forza psicologica nell’affrontare un viaggio senza biglietto (anche per motivi involontari e oggettivi: non c’è il tempo per farlo, le biglietterie funzionano poco e male) aumentano la criminalizzazione e il terrorismo psicologico contro “i portoghesi”. Senza approfondire l’aspetto psicopolitico (rimando a «La buona educazione degli oppressi» di Wolf Bukovski: 2018, Edizioni Alegre) viene da pensare: questo si chiama “uccidere uomini morti”, perché già le persone non usano più i treni come una volta. Tutti o quasi girano con il biglietto e se non ce l’hanno si fanno mille scrupoli fino al rifiuto di salire sul treno anche se glielo dice un capotreno (mi è capitato e ho riportato la testimonianza) ma allora a che pro aumentare le multe e il terrorismo psicologico? Semplice: è una strategia per abolire il trasporto pubblico a favore dell’industria del trasporto su gomma, privato, automobile, petrolio e calcestruzzo. Viene da pensare: perché non la attuavano prima questa repressione feroce, quando tanta gente viaggiava sui treni e spesso senza biglietto o contraffacendo i biglietti? Altra risposta semplice: la distruzione è stata graduale cioè prima si scoraggia e si allontana la gente da un valore d’uso e poi si fa tabula rasa. So che è assurdo, spietato, miope e detestabile ma questo è il sistema in cui viviamo a partire dagli anni ‘80 (era già avviato da prima ovviamente): nulla succede a caso o senza una preparazione di un terreno. Adesso Draghi dice che si potrà viaggiare tra regioni ma con una specie di pass, cioè un certificato che hai avuto il coronavirus, o hai fatto il vaccino o un tampone. A parte l’assurdità “tecnica”, è chiaro che l’Istituzione tende a imbrigliare. Siamo noi che dobbiamo sbrugliarinnilla, come si dice dalle mie parti. Se già in testa pensiamo che “finirà come la Sardegna” stiamo andando oltre l’imbrigliamento istituzionale: dovremmo avere più rispetto per la nostra intelligenza, come per l’esigenza e il dovere morale di dare un contributo alla propria comunità. Viaggiando nell’ultimo mese ho avuto conferma che per Pasqua molta gente è rimasta casa non per il rischio di contagio ma perché disinformata (e pigra) o spaventata da multe fantomatiche. La questione è delicata, perchè eravamo messi male con la capacità di spostarci e di viaggiare nei mezzi pubblici – e in generale di leggere la realtà – ma adesso cresce la paralisi, come ho cantato in «Un mondo assente» . Ancora una volta ci può salvare il buonsenso, il coraggio di osare con la fiducia in noi stessi e negli altri. Altrimenti prendiamo atto che siamo morti … e non ce n’eravamo accorti. Si tratta di rimparare a vivere, pensare, sognare non in modo passivo ma essenziale e creativo. Ho letto un piccolo articolo sulla rivista Internazionale in cui quasi si tende a colpevolizzare chi vive da solo perché contribuisce ad aumentare il consumo in modo poco sostenibile. Ridicola questa analisi perché se tanti abitassero da soli ma vivessero senza un’automobile privata (usando piedi, bicicletta e mezzi pubblici) e facendo pressione perché i mezzi pubblici siano di più, efficienti e accessibili… allora molti danni alla nostra vita diminuirebbero. Reimparare a vivere, ecco la svolta
Le immagini – scelte dalla “bottega” – sono di Jacek Yerka.
QUESTO APPUNTAMENTO
Mi piace il torrente – di idee, contraddizioni, pensieri, persone, incontri di viaggio, dubbi, autopromozioni, storie, provocazioni – che attraversa gli scritti di Angelo Maddalena. Così gli ho proposto un “lunedì… dell’Angelo” per aprire la settimana bottegarda. Siccome una congiura famiglia-anagrafe-fato gli ha imposto il nome di Angelo mi piace pensare che in qualche modo possa fare l’angelo custode della nuova (laica) settimana. Perciò ci rivediamo qui – scsp: salvo catastrofi sempre possibili – fra 168 ore circa che poi sarebbero 7 giorni. [db]