Sicurezza sul lavoro : guerra ai delegati e agli attivisti

di Alexik  (da http://illavorodebilita.wordpress.com/)

Negli ultimi tempi si è intensificata la guerra contro gli operai  che lottano per la sicurezza sui luoghi di lavoro. E’ una guerra condotta con armi “convenzionali” – i provvedimenti disciplinari e i  licenziamenti – e “non convenzionali”- come le attività spionistiche e i livelli direzionali occulti.

L’arsenale delle armi convenzionali è stato da qualche mese rifornito dalla ex ministra Fornero, che indebolendo le tutele dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori sapeva di colpire la madre di tutti i diritti. E’ chiaro che quando viene meno la difesa dai licenziamenti arbitrari diventa impossibile rivendicare anche il salario, la dignità o la sicurezza.

Chi lo fa prima o poi viene sbattuto fuori, ed è quello che è successo recentemente a Giuseppe (Pino) Larobina , delegato USB e RLS alla Kuehne Nagel (ex Iveco) di Torino,  e a Marco Zanframundo, operaio all’Ilva di Taranto e dirigente USB.

Ma nella prassi repressiva di queste due aziende c’è di più: c’è l’assunzione in proprio di funzioni specifiche dei corpi repressivi dello Stato, Servizi compresi.

Pedinato e licenziato

La Kuehne Nagel nel  rilevare lo stabilimento Iveco di Torino deve aver acquisito anche un certo “stile”  Fiat  in tema di spionaggio dei propri dipendenti. Le odierne vicende ricordano molto, infatti, i tempi in cui proprio a Torino, agiva il così detto “Sifar” Fiat, una “intelligence” interna formata da ex poliziotti e carabinieri, usata dagli Agnelli per individuare, perseguitare ed espellere gli operai comunisti o più combattivi. La struttura occulta, che produsse 300 mila “schede personali” sui lavoratori del gruppo, operò dagli anni ’50 al 1971, anno in cui venne scoperta dal giovane Guariniello e smantellata.

Come alla Fiat degli anni ’50, il delegato USB e Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza alla Kuehne Nagel, Pino Larobina, prima del suo licenziamento avvenuto il 2 luglio scorso è stato pedinato da un’agenzia investigativa al soldo dell’azienda per  ben 35 giorni. E’ stato spiato mentre andava al sindacato, mentre accompagnava la madre all’ospedale, mentre andava a far la spesa o  passava la domenica con i suoi familiari (alla faccia della legge sulla privacy).

Il pedinamento è solo l’ultima di una lunga serie di provocazioni: provvedimenti disciplinari continui e pretestuosi, ricatti e lusinghe, imboscate e messe in scena (sempre smontate)  costruite appositamente per creare occasioni di licenziamento: in pratica una sorta di stalking.

La colpa di Pino, scelto dai suoi colleghi come delegato RSU e RLS per 19 anni di fila (a volte come primo degli eletti), è quella di non aver abbassato la testa, di non aver firmato accordi  truffa, di non essere stato zitto, di aver inviato denunce all’ASL e una lettera a Guariniello.

Non potendosi appigliare ad altro, proprio le denunce sulla mancanza di sicurezza sono state prese a pretesto dalla Kuehne Nagel per accusare Larobina di “aver cagionato grave nocumento all’immagine aziendale”.  Lo accusano, in sintesi, di aver svolto sul serio il suo ruolo di RLS, di essere un delegato vero, non un fantoccio che recita una parte.

La Kuehne Nagel, spalleggiata dall’Unione Industriali di Torino, non dimostra invero una particolare originalità, copiando  la stessa balla utilizzata qualche anno fa da  Trenitalia  nel tentativo di licenziare il RLS Dante De Angelis.  Le auguriamo che vada a finire allo stesso modo: con un reintegro di Pino a pieno titolo,  con i lavoratori rafforzati dall’esperienza di lotta  degli ultimi due mesi, e possibilmente con un Guariniello che, memore dell’esperienza del ’71, le demolisca definitivamente ogni velleità spionistica.

La Gladio di Patron Riva

E’ di questi giorni la notizia dell’arresto di cinque “dirigenti ombra” dell’Ilva di Taranto, accusati di far parte di una gerarchia occulta di fiduciari dei Riva, con poteri superiori a quelli della dirigenza formale della fabbrica.  Quest’ultima, a quanto pare, serviva solo a far da parafulmine, e poteva risultare sacrificabile nel caso all’attività criminosa dell’Ilva fossero seguiti strascichi giudiziari.

In ogni caso, la struttura parallela sarebbe rimasta in piedi, per dare continuità alla  produzione secondo il “modello Riva”.

La “dirigenza ombra”, creata ai tempi della privatizzazione, aveva fra i suoi compiti anche il controllo dei dipendenti e la repressione del dissenso interno. Alla luce di queste informazioni, la storia dell’Ilva degli ultimi 20 anni assume un aspetto ancora più sinistro. Le sofferenze subite dai lavoratori della Palazzina LAF e di tutti quelli che anche in seguito sono stati licenziati, emarginati e puniti per un sussulto di dignità;  la scia di morti e malati che l’Ilva ha lasciato, e continua a lasciare, in fabbrica e nel territorio, tutto questo era parte di un progetto organizzato, programmato, definito nei dettagli, occulto.

Ma torniamo alla cronaca. Lo scorso maggio l’USB di Taranto ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica in cui si denunciava la presenza di soggetti esterni all’organico aziendale ma con poteri effettivi nello stabilimento siderurgico.

Stranamente, da quel giorno, Marco Zanframundo, operaio del reparto MOF (movimento ferroviario) e dirigente dell’USB, ha cominciato a collezionare provvedimenti disciplinari a ripetizione (prima di allora, in 12 anni di servizio, non ne aveva mai avuti), fino al licenziamento del 6 settembre scorso.

Nell’ottobre 2012 Marco si era anche esposto in prima fila  nell’organizzazione di uno sciopero per la sicurezza, dopo la morte al MOF del collega Claudio Marsella.   Conformemente al sistema Ilva di premiazione / punizione del personale,sviluppato dalla “direzione ombra”,  il responsabile del Reparto MOF indagato per la morte di Marsella è stato recentemente promosso Capo Area,  Marco invece è stato licenziato.

I Riva però, sanno sempre superare se stessi.  L’ espulsione subita da Marco viene affiancata oggi da espulsioni collettive o di massa, come quella vissuta dagli operai del subappalto Emmerre, buttati fuori in 50  dopo che un loro collega è rimasto ferito  per il crollo di un ponteggio (l’infortunio ha causato anche la morte dell’operaio Ilva Ciro Moccia). O come quella, recentissima, dei 1.400 esuberi minacciati da Riva per  l’intero gruppo. Un ultimo sussulto ricattatorio di chi vede sgretolarsi il proprio sistema di potere.

Links:

Video intervista a Giuseppe Larobina

Intervista a Giuseppe Larobina a Radio Onda d’Urto

L’operaio licenziato dall’Ilva: “Cacciato perché ho denunciato il sistema”

Azioni concrete:

Per esprimere solidarietà a Giuseppe Larobina: solidarietapinolarobina@usb.it

Per sostenere le iniziative di lotta per il suo reintegro.

Per contribuire alla Cassa di Resistenza per i  Lavoratori dell’Ilva di  Taranto

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *