Somalia, silenzio ipocrita
Trascrizione di parte del programma radiofonico di approfondimento giornalistico “Tell me more”, trasmesso da National Public Radio il 3 gennaio. Traduzione e adattamento di Maria G. Di Rienzo.
MICHEL MARTIN (conduttore): In Somalia, siccità e carestia hanno ormai ucciso migliaia di persone e ne hanno forzate assai di più nei campi profughi. Questa tragica vicenda è almeno coperta dai media internazionali: molto meno conosciuta è invece l’estensione delle aggressioni sessuali che una situazione caotica senza leggi sta favorendo. Sebbene sia difficile confermare il numero degli episodi di violenza, i rapporti indicano che vi è stato un drammatico incremento di stupri di donne e bambine somale. Al di là delle ingiurie fisiche, come potete immaginare, le conseguenze psicologiche e sociali per le vittime possono essere devastanti. Per saperne di più, abbiamo interpellato Jeffrey Gettleman, responsabile dell’Ufficio per l’ Africa dell’Est del New York Times. Di recente, Gettleman ha scritto di questo ed è ora al telefono con noi da Nairobi, in Kenya. Jeffrey, ci fa piacere averti di nuovo con noi, buon anno.
JEFFREY GETTLEMAN: Buon anno anche a tutti voi.
MARTIN: Prima di iniziare, ovviamente, ricordiamo che questa è una storia che tratta di violenza sessuale contro le donne, perciò è disturbante e può non essere adatta all’ascolto di tutti. Jeffrey, parlavamo proprio di questo, prima. Immagino che sia difficile sconcertarti a questo punto, dopo così tanti anni da corrispondente, ma tu mi dicevi che in effetti hai trovato sconcertante questa storia, per la sua vastità.
GETTLEMAN: Sì, e sono anche assai frustrato dal fatto che non si faccia granché al proposito. Ho scritto di abusi dei diritti umani e di atrocità dal Sudan, dal Congo e dal Kenya, e dalla Somalia, ma di solito c’è una reazione. Ciò che è veramente disturbante, in questa storia, è che ci sono migliaia di donne che sono state vittimizzate in modi orripilanti. Ragazze seppellite nel terreno e lapidate a morte. Ragazze stuprate di fronte ai fratelli più piccoli. Queste cose stanno accadendo, capisci, attraverso tutta la Somalia del sud e non c’è nessuno che lavora per fermarle, e per aiutare le donne a riprendersi dalle violenze subite.
MARTIN: Cosa sappiamo effettivamente delle persone che attaccano le donne? Qual è il motivo dell’aumento di queste aggressioni sadiche?
GETTLEMAN: Ci sono alcune cose… la prima è la carestia. La carestia ha causato una massiccia migrazione in Somalia. Stiamo parlando di centinaia di migliaia di persone senza cibo che hanno abbandonato i loro villaggi e hanno attraversato montagne per cercare aiuto in Kenya o Etiopia, oppure sono finite nei campi profughi interni al Paese. Spesso il numero di donne, nei gruppi di profughi, è sproporzionatamente alto. Gli uomini restano indietro a guardia delle piccole proprietà delle famiglie, o sono coinvolti direttamente nei conflitti, e questo è quel che accade in Somalia. Per cui, la maggioranza delle persone che arrivano ai campi profughi sono donne, donne sole, spesso donne giovani. E chiunque abbia un’arma si sente in diritto di abusare di loro, come abbiamo visto. Poi, c’è soprattutto la questione del gruppo islamico Shabaab. Costoro controllano vaste zone della Somalia del sud. Dicono che stanno tentando di implementare una forma “severa” dell’islamismo wahabita. Hanno proibito la musica occidentale, gli abiti occidentali, stanno dando problemi alle donne che indossano reggiseni. E hanno dato inizio a questa faccenda dei “matrimoni temporanei”, in cui chiedono alle famiglie di consegnare loro ragazzine affinché diventino le “mogli” dei loro combattenti o comandanti, ma in sostanza si tratta di stupro. Le ragazze sono trattate in modo orribile per un paio di settimane e poi scaricate. Le persone con cui ho parlato dicevano che ci sono centinaia, se non forse migliaia, di casi del genere.
MARTIN: Quando di recente sei stato a Mogadiscio, capitale della Somalia, hai parlato con una ragazza la cui amica ha fatto resistenza a un matrimonio forzato di questo tipo con un comandante di Al-Shabaab. Vorresti condividere la storia? Sottolineo di nuovo che si tratta di cose difficili da ascoltare.
GETTLEMAN: Sì. E’ una storia terribile. La ragazza che ho incontrato a Mogadiscio ha 17 anni. Aveva quest’amica del cuore con cui passava molto tempo, crescevano entrambe fuori dalla capitale e condividevano i loro sogni per il futuro. Una mattina, la ragazza con cui ho parlato uscì di casa e vide che una gran folla si era radunata nel villaggio: la sua amica era seppellita nel terreno sino al collo e i militanti di Shabaab dicevano che era un’adultera, una criminale e cose del genere, per le quali non c’era alcun riscontro. Comunque, la lapidarono tirandole in testa sassi della dimensione di una palla da softball, uno dopo l’altro, sino ad ucciderla. Ma quel che la ragazza aveva fatto in realtà era stato il rifiutare di essere consegnata ad un comandante Shabaab, e per questo è stata lapidata a morte.
MARTIN: E poi, mi dicevi, si vendicarono anche sull’amica…
GETTLEMAN: A lei dissero: “La prossima sei tu”. Qualche mese dopo tornarono in cinque e fecero a turno a stuprarla nella sua capanna, con un sacco di bambini attorno, capisci, che la sentivano urlare. Il problema è che i militanti di Shabaab hanno davvero imposto un regno del terrore nelle aree che controllano e la gente è troppo spaventata per contrastarli.
MARTIN: All’inizio della nostra conversazione dicevi che trovavi frustrante che nessuno si stia accorgendo di quel che accade. Quando hai intervistato quel che esiste ancora del governo somalo, quali sono state le loro risposte?
GETTLEMAN: Il governo somalo sembra essere in uno stato di negazione psicologica. Ci sono denunce di stupri commessi anche dai loro soldati. C’è questa situazione in cui tutte queste donne arrivano in campi profughi sovraffollati e senza legge, e là ci sono le milizie del governo, milizie mercenarie, milizie Shabaab: e tutti, da quello che mi è stato detto, sono colpevoli di violenze sessuali. La cosa sorprendente è che numerosi ufficiali delle Nazioni Unite, che hanno informazioni su questo problema, non hanno voluto parlare con me adducendo come ragioni che si tratta di un “tema sensibile” e che temevano di porsi come antagonisti verso gli Shabaab o di dar loro una ragione per non lavorare con le agenzie NU. Quando finalmente ne ho trovati un paio disposti a parlare con me, avevano un sacco di informazioni, avevano ricevuto le stesse denunce che io conoscevo. Insomma, quel che sta accadendo non è un segreto.
MARTIN: Detesto metterti nella posizione di far predizioni, ma voglio chiedertelo: cosa pensi succederà nei prossimi mesi, ora che hai esposto la situazione? C’è qualcosa che la comunità internazionale può fare?
GETTLEMAN: Certamente. E’ un’ottima domanda. Ho già ricevuto messaggi da persone che lavorano per le Nazioni Unite e vogliono essere maggiormente coinvolte nella questione, per cui penso che ci sarà un po’ più di impegno in futuro. Ci sono alcune piccole organizzazioni che stanno aiutando le donne. Una si chiama “Sister Somalia”, il loro sito è www.SisterSomalia.org. Provvedono fondi ad un’organizzazione sorella a Mogadiscio che fornisce alle donne vittime di violenza cure mediche e consulenza, e stanno tentando di approntare dei rifugi in cui le donne possano essere al sicuro. E penso che sarà d’aiuto il fatto che più gente ne parla, che più il tempo passa e più il silenzio viene infranto. Ma detto questo, bisogna dire che la Somalia è un posto molto pericoloso anche per le operazioni umanitarie, e che si tratti di cibo, di cure mediche o di istruzione ci sono enormi restrizioni.
MARTIN: Jeffrey, grazie mille per essere stato con noi. Spero che ci terrai informati sugli sviluppi di questa importante vicenda.
GETTLEMAN: Sempre lieto di essere d’aiuto.