Sopravvivere a Matteo Salvini
Dossier dedicato ai migranti vittime del ministro dell’INFERNO, a coloro che credono nel motto “Nostra patria è il mondo intero” e a chi ha dimenticato che una volta anche noi italiani eravamo costretti ad emigrare. “Libertà di movimento, libertà senza confini” dice uno slogan del movimento antirazzista.
Questi migranti non li avete mai visti
di Antonello Mangano (*)
“e mi danno un documento, io lavoro e pago le tasse. Qual è il problema per lo Stato italiano?”. Un ragazzo del Ghana ha una domanda che gli brucia dentro, ma nessuno riesce a rispondergli. Siamo tra i migranti prigionieri del ghetto di San Ferdinando, nei pressi di Rosarno. Lavoratori in attesa di un documento che non arriva mai. Senza quel pezzo di carta non possono andare da nessuna parte. Non capiscono il senso di questo limbo.
Troppi migranti, in questo Paese, sono rappresentati come vittime senza volontà o come criminali pronti a farci del male. I sociologi la chiamano “agency del migrante”. La capacità di agire, negata ancor prima dei loro diritti.
Cosa dire, per fare un altro esempio, di Soumaila Sacko? Il 2 giugno 2018 quattro colpi di fucile lo centravano alla testa mentre – insieme a due connazionali – stava raccogliendo lamiere nella campagna calabrese, in una fabbrica abbandonata.
Non erano migranti – vittime, africani passivi e rassegnati, ma attivisti dell’Usb, il sindacato che da tempo è presente sia a Rosarno che a Foggia e prova a chiedere diritti per tutti i lavoratori, compresi i braccianti delle campagne.
Stesso discorso per le donne arabe. Nel nostro immaginario sono sinonimo di sottomissione. Invece a Modena erano in testa ai blocchi dell’azienda Italpizza, una ditta che rifornisce Coop, con tanto di certificazione etica, ma che invece – secondo le lavoratrici e i lavoratori – fa ricorso alla lavoro a chiamata, violando diritti essenziali.
Altre donne arabe, questa volta in Spagna, si sono ribellate al doppio sfruttamento – lavorativo e sessuale – in una zona di serre del tutto analoga (dal punto di vista strutturale e degli abusi) a quelle siciliane. Hanno denunciato, hanno dato origine a un movimento di solidarietà in tutto il paese, hanno dimostrato che ribellarsi è possibile.
Ancora un’altra donna marocchina, Aisha, ha denunciato lo stato italiano dopo le violenze subite dalla figlia nel corso di una rivolta nel centro di Lampedusa. Anche questa una storia sconosciuta, ma indicativa dell’orrore in cui siamo precipitati.
Donne arabe ribelli, africani sindacalizzati. Uomini e donne reali, molto lontani dai luoghi comuni
Le migrazioni non sono solo sbarchi e situazioni disperate. C’è chi arriva con un visto, come i sudamericani. Chi viaggia in aereo, come tanti asiatici. Chi scende alla stazione dei pullman, come la maggior parte dei rumeni. Tanti, contrariamente ai luoghi comuni, lavorano fianco a fianco con gli italiani: indiani nelle cucine dei ristoranti; rumeni e peruviani nelle cliniche private; cinesi nei banconi dei bar; bulgari e albanesi nei cantieri; ivoriani nelle imprese di pulizie. Per non parlare dei rider. Giovani disoccupati di tutte le nazionalità accomunati dal bisogno di guadagnare e schiavizzati dal caporale digitale.
L’Italia è da tempo un incrocio di storie e di persone, nonostante le politiche di apartheid che da decenni persegue.
La propaganda di stampo leghista ha abbassato la soglia della dignità: rivendichiamo il soccorso in mare come fosse normale arrivare in Europa su un barcone che attraversa il Mediterraneo.
Bisognerebbe parlare di visti e non di sbarchi. Di lavoro e non di accoglienza. È il lavoro che integra. Sono i diritti che accolgono, è la loro assenza a respingere. Dividere italiani e stranieri ricorda la storiella del padrone che mangia tutta la torta e poi dice all’italiano: attento, l’immigrato sta mangiando le tue briciole.
Il criterio dovrebbe essere quello della giustizia, non il “noi” contro “loro”. Il partito che oggi esalta l’identità nazionale è lo stesso che voleva dividere la penisola in tre parti.
Infine, perché si parte? Perché non c’è giustizia. Cos’è la giustizia? Il diritto a un lavoro, a crescere dignitosamente i figli, a immaginare per loro un futuro. Se non puoi farlo dove sei nato, parti. Non è complicato da capire. Basta guardarsi intorno. È quello che stanno facendo – in massa – gli italiani.
(*) articolo tratto da Terre libere
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Lettera a Salvini di un’immigrata africana (*)
«Ho visto la sua faccia ieri al telegiornale. Dipinta dei colori della rabbia. La sua voce ,poi, aveva il sapore amarissimo del fiele. Ha detto che per noi che siamo qui nella vostra terra è finita la pacchia. Ci ha accusati di vivere nel lusso, rubando il pane alla gente del suo paese. Ancora una volta ho provato i morsi atroci della paura…
Chi sono? Non le dirò il mio nome. I nomi, per lei, contano poco. Niente. Sono una di quelli che lei chiama con disprezzo “clandestini”.
Vengo da un paese, la Nigeria, dove ben pochi fanno la pacchia e sono tutti amici vostri. Lo dico subito. Non sono una vittima del terrorismo di Boko Haram. Nella mia regione, il Delta del Niger non sono arrivati. Sono una profuga economica, come dite voi, una di quelle persone che non hanno alcun diritto di venire in Italia e in Europa.
Lo conosce il Delta del Niger? Non credo. Eppure ogni volta che lei sale in macchina può farlo grazie a noi. Una parte della benzina che usa viene da lì.
Io vivevo alla periferia di Port Harkourt, la capitale dello Stato del Delta del Niger. Una delle capitali petrolifere del mondo. Vivevo con mia madre e i miei fratelli in una baracca e alla sera per avere un po’ di luce usavamo le candele. Noi come la grande maggioranza di chi vive lì.
È dura vivere dalle mie parti. Molto dura. Un inferno se sei una ragazza. Ed io ero una ragazza. Tutto è a pagamento. Tutto. Se non hai soldi non vai a scuola e non puoi curarti. Gli ospedali e le scuole pubbliche non funzionano. E persino lì, comunque, se vuoi far finta di studiare o di curarti, devi pagare. E come fai a pagare se di lavoro non ce ne è? La fame, la miseria, la disperazione e l’assenza di futuro, sono nostre compagne quotidiane.
La vedo già storcere il muso. È pronto a dire che non sono fatti suoi, vero?
Sono fatti suoi, invece.
Il mio paese, la regione in cui vivo, dovrebbe essere ricchissima visto che siamo tra i maggiori produttori di petrolio al mondo. E invece no. Quel petrolio arricchisce poche famiglie di politici corrotti, riempie le vostre banche del frutto delle loro ruberie, mantiene in vita le vostre economie e le vostre aziende.
Il mio paese è stato preda di più colpi di stato. Al potere sono sempre andati, caso strano, personaggi obbedienti ai voleri delle grandi compagnie petrolifere del suo mondo, anche del suo paese. Avete potuto, così, pagare un prezzo bassissimo per il tanto che portavate via. E quello che portavate via era la nostra vita.
Lo avete fatto con protervia e ferocia. La vostra civiltà e i vostri diritti umani hanno inquinato e distrutto la vita nel Delta del Niger e impiccato i nostri uomini migliori. Si ricorda Ken Saro Wiwa? Era un giovane poeta che chiedeva giustizia per noi. Lo avete fatto penzolare da una forca…
Le vostre aziende, in lotta tra loro, hanno alimentato la corruzione più estrema. Avete comprato ministri e funzionari pubblici pur di prendervi una fetta della nostra ricchezza.
L’Eni, l’Agip, quelle di certo le conosce. Sono accusate di aver versato cifre da paura in questo sporco gioco. Con quei soldi noi avremmo potuto avere scuole e ospedali. A casa, la sera, non avrei avuto bisogno di una candela…
Sarei rimasta lì, a casa mia, nella mia terra.
Avrei fatto a meno della pacchia di attraversare un deserto. Di essere derubata dai soldati di ogni frontiera e dai trafficanti. Di essere violentata tante volte durante il viaggio. Avrei volentieri fatto a meno delle prigioni libiche, delle notti passate in piedi perché non c’era posto per dormire, dell’acqua sporca e del pane secco che ti davano, degli stupri continui cui mi hanno costretta, delle urla strazianti di chi veniva torturato.
Avrei fatto a meno della vostra ospitalità. Nel suo paese tante ragazze come me hanno come solo destino la prostituzione. Lo sapete. E non fate niente contro la nostra schiavitù anzi la usate per placare la vostra bestialità. Io sono riuscita a sfuggire a questo orrore, ma sono stata schiava nei vostri campi. Ho raccolto i vostri pomodori, le vostre mele, i vostri aranci in cambio di pochi spiccioli e tante umiliazioni.
Ancora una volta, la pacchia l’avete fatta voi. Sulla nostra pelle. Sulle nostre vite. Sui nostri poveri sogni di una vita appena migliore.
Vedo che non ho mai pronunciato il suo nome. Me ne scuso, ma mi mette paura. Quella per l’ingiustizia di chi sa far la faccia dura contro i deboli, ma sa sorridere sempre ai potenti.
Vuole che torniamo a casa? Parli ai suoi potenti, a quelli degli altri paesi che occupano di fatto casa mia in una guerra velenosa e mai dichiarata. Se ha un po’ di dignità e di coraggio, la faccia brutta la faccia a loro».
(*) tratto da Raiawadunia.com
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