Care socie e soci,
a causa dell’emergenza sanitaria anche i rapporti con i nostri docenti si sono fatti più rarefatti e distanziati, ma non meno speciali. Per questo motivo abbiamo deciso di proporvi qualche intervista con i nostri docenti in occasione della pubblicazione dei loro libri.
Dopo l’intervista a Giampiero Valoti, proseguiamo con Gabrio Vitali
“Sospeso Respiro” a cura di Gabrio Vitali
Editore: Moretti&Vitali
Anno: 2020
pp. 280
Il titolo “Sospeso respiro” vuole indicare quella condizione soffocante di apnea e di ansia che tutti abbiamo vissuto fisicamente e psicologicamente durante la pandemia del virus Covid19. Di come tale condizione si sia tradotta nel respiro, nel battito e nella lingua dei loro versi, danno qui testimonianza poeti, Alberto Bertoni, Paolo Fabrizio Iacuzzi, Giancarlo Sissa e Giacomo Trinci, proponendo ciascuno una silloge inedita di scritture o riscritture poetiche, composte in tempo di pandemia. A queste quattro raccolte di versi, fa seguito una riflessione di taglio antropologico di Mauro Ceruti, docente di Logica e Filosofia della Scienza presso lo IULM di Milano. Un percorso iconografico di riproduzioni pittoriche, raccontato e commentato da M. Cristina Rodeschini, direttrice dell’Accademia Carrara di Bergamo, impreziosisce di un contrappunto di immagini i diari dei quattro poeti. L’introduzione e i saggi di postfazione alle quattro sillogi, predisposti dal curatore, costruiscono la cornice narrativa e critica che unifica e dà coerenza all’intero racconto del libro.
Lei ha insegnato per molti anni in Italia e all’estero. Qual è la lezione più importante che ha imparato?
Sono convinto che un insegnante insegni sempre se stesso. Per questo i fallimenti sono personali prima che professionali. Devi sorvegliarti e aggiornarti continuamente. Essere umile e autorevole insieme. Soprattutto autentico. Se lo sei, lo saranno con te anche gli allievi. Se ti nascondi dietro il ruolo, anche loro lo faranno. E il loro ruolo di studenti è quello o di esserti sottomessi per forza, o di cercare di fotterti. In entrambi i casi non avranno un rapporto libero e formativo con la scuola. Invece, come ho scritto nel mio Odissei senza nostos, lo scopo vero dell’apprendimento scolastico non è tanto l’imparare questa o quella disciplina, ma soprattutto (attraverso l’apprendimento dell’una o dell’altra materia) il diventare cittadini autonomi e consapevoli, capaci di elaborare con libertà le proprie idee e di sostenerle. A questo lo studio della letteratura si presta moltissimo, oltre che a farti scoprire e imparare cose bellissime e importanti.
Per oltre 30 anni si è occupato di letteratura organizzando manifestazioni culturali che prevedevano l’incontro con scrittori e poeti. Le sembra che Bergamo sia una città recettiva? Cosa si potrebbe fare per migliorare il fermento culturale? (in tempi diversi dalla pandemia globale)
Ho avuto la fortuna di lavorare sempre con grande piacere traendo soddisfazione nella collaborazione con varie amministrazioni pubbliche in Italia come all’estero. Dipendeva molto dalle persone che incontravo nelle istituzioni. Alle manifestazioni che proponevo è sempre venuta parecchia gente e con continuità nei mesi e negli anni. Il messaggio che ho cercato di trasmettere è quello di cultura non come “distrazione”, ma come educazione alla civiltà. Scrivere è capacità non comune di raccontare e raccontarsi, quindi una letteratura è sempre il grande racconto epico che una civiltà ha fatto di se stessa. Delle proprie conquiste, delle proprie sconfitte, dei propri valori. Le parole dei grandi scrittori e poeti servono a farci indagare il funzionamento delle cose della vita e della storia e a farcene definire il senso e il valore, a fornirci nuove chiavi interpretative del mondo. Anziché semplificare, come gli slogan dei socials, dei media o della pubblicità, la letteratura abitua a un pensiero complesso sulla realtà e quindi ci interroga sulle cose della vita e sulle idee che ne abbiamo. E ci aiuta a estenderle e a cambiarle.
“Sospeso respiro” il titolo della silloge da lei curata. Il richiamo alla sintomatologia da Covid-19 o quantomeno all’angoscia nei confronti dell’incertezza è chiara. Ma quale legame c’è tra poesia e pandemia?
Innanzitutto, la poesia ha da sempre un ruolo di consolazione, di antidoto al dolore. Quello che il poeta dice ha un carattere corale e universale, che permette a chi legge di accoglierlo e condividerlo e alleviare così la solitudine o la disperazione che possiamo provare in alcuni momenti della nostra esistenza. La poesia è un luogo di resistenza umana al disorientamento e alla sconfitta, un luogo dove ritrovare l’umanità più vera e autentica, anche quando il mondo intorno ci pare privo di senso. La pandemia ci ha rivelato la condizione di fragilità in cui l’uomo contemporaneo vive, ci ha mostrato come l’umanità stia attraversando una vera crisi evolutiva del rapporto fra la civiltà umana e il pianeta (le crisi economica, ambientale, sociale, politica, demografica, culturale e sanitaria sono solo epifenomeni di questa crisi più globale) per cui a meno di una riorganizzazione radicale di tale rapporto, si rischiano forme d’estinzione di specie e di ecosistemi e viene messa in discussione l’esistenza della vita umana sul pianeta o anche l’esistenza del pianeta come luogo in cui è possibile la vita. La poesia di pandemia ci dà lingua e pensiero per capire, anzi per “sentire”, a fondo tutto questo, partendo da noi, dalla nostra interiorità.
Occorre quindi domandarsi come riorganizzare la civiltà in modo che sia compatibile con il pianeta che ci ospita…
Certo, tuttavia le classi dirigenti sono miopi e impreparate o servono interessi che non spingono a perseguire questa strada; sono legate a modelli di pensiero lineari e ripetitivi. Mi pare di constatare con amarezza che a livello globale classi dirigenti che alimentino e muovano la coscienza delle persone verso questa riorganizzazione radicale non ce ne siano. Tranne alcuni grandi pensatori e papa Francesco, che io sappia. Per questo abbiamo bisogno di vedere cose che prima non vedevamo e imparare a raccontare un altro mondo e un’altra umanità. Occorre educarsi a nuovi linguaggi e a nuovi modi di pensare se stessi e la propria esperienza, individuale e collettiva, del mondo. In questo la poesia svolge un ruolo importante e insostituibile, restituendoti pensieri che non sapevi di avere o facendotene accogliere di nuovi. Per progettare un mondo nuovo occorre avere la lingua e le parole per pensarlo e per raccontarlo. Il linguaggio è il primo strumento, il più importante: nella parola greca “poesia” sono fuse l’idea del dire e l’idea del fare. La poesia è poi un antidoto al consumo di informazione immediata e preconfezionata che non stimola il pensiero e l’immaginazione. Grazie alla sua complessità e ricchezza linguistica essa invita invece a meditare, a interrogarsi, a elaborare idee e sensazioni, a “vederle”…, per poi costruire un pensiero autonomo.
Lorenzo Lotto, “Deposizione di Cristo nel sepolcro”, 1516 Accademia Carrara
Chi sono i quattro autori da lei scelti per la silloge? E come ha avuto origine l’idea di creare una raccolta di poesie?
Nel periodo in cui ho lavorato a Bergamo nei vari festival e manifestazioni culturali, ho avuto modo di conoscere moltissimi grandi poeti e poetesse italiani che ho invitato e presentato nell’una o nell’altra iniziativa; con molti di loro sono rimasto in contatto, e con alcuni, che sono venuti a Bergamo più spesso e con più continuità, siamo diventati molto amici. Durante la quarantena alcuni fra questi ultimi, e cioè Alberto Bertoni, Paolo Fabrizio Iacuzzi, Giancarlo Sissa e Giacomo Trinci, mi hanno inviato le poesie che scrivevano quasi quotidianamente in quelle settimane e presto mi sono reso conto che quello era del materiale prezioso che andava organizzato e proposto subito alla riflessione del pubblico, perché si trattava di riflessioni e sensazioni importanti e profonde su quello che stava accadendo. Il risultato è questa antologia di quattro raccolte poetiche, a ciascuna delle quali ho aggiunto un saggio che presenta la figura e illustra l’attività poetica dell’autore e ne commenta infine la silloge. Ogni “profilo poetico” è una tappa di un discorso più ampio sulla funzione sapienziale, formativa e civile della poesia e sull’antropologia della scrittura letteraria.
“Sospeso respiro” è un libro collettivo: ad affiancare le poesie e i profili poetici degli autori c’è infatti un percorso iconografico curato dalla direttrice dell’Accademia Carrara, Maria Cristina Rodeschini e una post-fazione dall’eloquente titolo “un groviglio inestricabile” a cura del docente Mario Ceruti. Come mai questa scelta?
Come ho detto, questo libro nasce da un rapporto d’intensa e lunga amicizia. E l’amicizia come la poesia permette di riconoscere l’altro, che arricchisce e completa la tua identità con qualità che prima non avevi o non conoscevi. È stato quindi naturale per me estendere la collaborazione ad altri cari amici. Cristina e Mauro sono stati miei compagni di classe al liceo e da allora siamo in amicizia forte. Lei, ha accettato di proporre la lettura di alcuni capolavori della Carrara, in tema pandemia, come contrappunto agli scritti del libro e, insieme, ha raccontato le sensazioni derivate dal ritrovarsi con un museo deserto. Lui, nel saggio conclusivo “Un groviglio inestricabile” ha analizzato i paradigmi e i modelli culturali, aperti alla complessità, di cui abbiamo bisogno per ripensare la civilizzazione umana del pianeta e per elaborarne una nuova antropologia, anzi una nuova ecologia. Abbiamo insomma tentato di rendere un lavoro di critica letteraria accessibile e accogliente da vari punti di vista e di allargarlo a un discorso più ampio di antropologia della scrittura letteraria e del suo valore “politico”, nel senso proprio di costruzione della “polis”.
In un articolo Lei definisce queste poesie un’“epica corale” che si fa carico di una dimensione collettiva piuttosto che di una intimista. Si tratta di una scelta controcorrente rispetto alla poesia contemporanea che tende a essere massimamente introspettiva e individuale. Rievocare una dimensione collettiva è anche una scelta politica?
Il ruolo della poesia in tempi come questi è anche quello di rieducare al linguaggio e alla consapevolezza necessari per comprendere (e agire nell’epoca che stiamo attraversando. Per questo abbiamo bisogno di una poesia epica, d’impianto corale. Fare poesia significa assumersi delle responsabilità nei confronti del mondo a mio avviso. Che i giovani facciano poesia lirica incentrata sul soggetto può anche andare bene perché sono in una fase di scoperta di se stessi. Detto questo attenzione: l’identità individuale si realizza sempre in quella collettiva. Non a caso questa centralità dell’“io” promossa dalla società individualistica e antropocentrica in cui viviamo ha prodotto una poesia lirico-soggettiva. nella quale il sentire individuale dell’io si fa filtro e metafora del sentire di tutti. Occorre però iniziare, in questi tempi di transizione, a porsi il problema del “noi”: e la poesia epica è proprio questo cantare il “noi”, cioè il sentire della coralità, attraverso la capacità del poeta di farsene voce. La poesia lirica di origine petrarchesca tende a “evadere dalla storia di tutti nell’io” per appartarsi e comprendersi; mentre la poesia epica di origine dantesca “invade l’io con la storia di tutti” per interrogarla e cercare risposte a sé e a tutti. Ecco, ci sono momenti storici in cui è necessaria una poesia di questo tipo. E questo è uno di quei momenti.
La dedica del libro è “A Bergamo, la città ferita”. Stiamo attraversando tempi di grande incertezza e preoccupazione per la nostra salute e per quella del pianeta che ci ospita. Un augurio e un consiglio che vorrebbe dare ai soci di Terza Università
Naturalmente consiglio di leggere tanta poesia! Non sentitevi intimiditi da grandi classici che possono apparire difficili o noiosi, provateci invece! Scoprirete mondi meravigliosi che vi aiuteranno a cambiare o a vivere meglio questo mondo. L’importante è continuare a leggere, bisogna ritagliarsi uno spazio quotidiano da dedicare alla lettura per nutrire la mente così come lo si dedica ai pasti, per nutrire il corpo. Di fatto non è meno essenziale per essere uomini e donne consapevoli.