Sosteniamo Ilaria
Campagna di solidarietà a sostegno delle spese legali
di Mario Di Vito (*)
Un conto da 100mila euro per la detenzione di Ilaria Salis
Avvocati, cauzioni, traduzioni, telefonate: parte una raccolta fondi
Stare ventitré ore su ventiquattro chiusa in una cella sovraffollata, e in condizioni igieniche precarie, ha un costo enorme. Da «grand hotel», per usare l’infelice parone del portavoce di Orbán, nel suo tentativo di negare l’innegabile, e cioè le tremende condizioni dell’apparato penitenziario ungherese. In un anno di detenzione, Ilaria Salis ha dovuto tirare fuori 35.000 euro. Gran parte di questa cifra è andata via per la parcella degli avvocati magiari e per quella del traduttore di cui si avvalgono i legali italiani, oltre che per tradurre i vari documenti. Poi ci sono le spese di mantenimento in carcere, soprattutto per le telefonate: 260 euro al mese. E non è finita: a quanto stimano gli avvocati italiani, il costo del processo di primo grado – prossima udienza fissata per il 28 marzo con l’audizione di alcuni testimoni – si aggirerà intorno ai 15.000 euro.
SULLO SFONDO c’è anche la questione dei domiciliari, che in Ungheria funzionano così: il richiedente deve presentare la propria richiesta con un’offerta di cauzione in allegato, poi il tribunale decide il da farsi. Anche qui dunque parliamo di costi stimati: si va dai 5 milioni ai 20 milioni di fiorini, cioè dai 13.000 ai 52.000 euro. Nell’eventualità in cui la richiesta di domiciliari a Budapest andasse a buon fine, i genitori di Ilaria Salis sarebbero obbligati a prendere in affitto un appartamento in Ungheria, con un ulteriore crescita dei costi della vicenda. Il totale, nei fatti, rischia di superare quota 100.000 euro. È così che il Comitato Ilaria Salis e le Brigate volontarie per l’emergenza (nate 4 anni fa per offrire assistenza durante il primo lockdown, con Ilaria che ne ha fatto parte tra Milano e la Brianza) hanno lanciato una raccolta fondi. «Sia che il governo italiano si decida finalmente a fare qualcosa di concreto per permetterle di seguire il processo dall’Italia, sia che sia costretta a rimanere in carcere a Budapest, è fondamentale che Ilaria possa difendersi al meglio, anche grazie al sostegno di chi non la conosce, ma vuole darle un aiuto concreto», spiegano gli organizzatori della raccolta fondi.
INTANTO, mentre escono sondaggi secondo i quali la maggioranza degli elettori di Lega e Fratelli d’Italia pensa che Salis andrebbe lasciata a marcire in Ungheria, il vicepremier Antonio Tajani insiste nell’attribuire al governo insospettabili meriti diplomatici. «La nostra ambasciata ha fatto tutto ciò che doveva per garantire il rispetto della dignità del detenuto. Abbiamo avuto risposte positive alle sollecitazioni da parte del governo, che non possono essere sollecitazioni dirette nei confronti della magistratura», ha detto ieri a margine di un evento di Forza Italia a Milano. «Io mi auguro che possano essere concessi gli arresti domiciliari – ha aggiunto – e che possano essere prima concessi in Ungheria e poi in Italia, se la famiglia e l’avvocato lo richiedono, ma già il fatto che si accelerino i tempi del procedimento penale fa ben sperare».
A DIRE LA VERITÀ, però, prima dell’uscita delle immagini di Ilaria Salis che fa il suo ingresso in tribunale con manette, schiavettoni e guinzaglio, il governo italiano non aveva mai mostrato il benché minimo interessamento per la vicenda. Quando ha cominciato a occuparsene, poi, lo ha fatto solo per sostenere che comunque non può intervenire sulla magistratura di Budapest, coraggiosamente definita «indipendente» e «sovrana». Di più, la premier Giorgia Meloni, nel bel mezzo dell’indignazione di tutta l’Europa per la scena delle catene, non solo ha deciso di accogliere Orbán nel gruppo europei dei conservatori che lei presiede, ma ha anche sminuito la vicenda sostenendo che l’usanza di presentare al giudice gli imputati al guinzaglio non sia un’abitudine della sola Ungheria.
(*) articolo ripreso dal quotidiano il manifesto