Spinelli, parole, Gramsci e stress
di Daniela Pia
«Praticamente Leopardi viveva, cioè si sentiva perché la sua famiglia era stretta di soldi, e poi si spostava a Firenze a Roma cioè praticamente cercava di fuggire da quel posto ristretto e stressante fino a Napoli». ALT.
Eppure lo avevo specificato a inizio anno, la letteratura non è la pappardella sulla vita e le opere di un autore, ridotta ai minimi termini, recitata con tono incolore e intercalata da venti «cioè» e dieci «praticamente». Ho cercato di spiegare l’importanza dei testi, quasi recitandoli, trascinando un vissuto lontano per avvicinarlo a questo presente tecnologico, e spesso arido, fatto di sms abbreviati. «Ho fallito?» mi chiedo.
Allora oggi durante l’interrogazione li ho fatti esibire, questi garzoncelli scherzosi, li ho valutati magnanimamente e poi ci ho riprovato. Intanto ho chiamato fuori dall’aula uno di loro e ho chiesto: «quanti spinelli ti sei fumato? Non riuscivi a staccare la lingua dal palato».
Ha strabuzzato gli occhi e mi ha confessato: «uno».
«Non ci credo» ho risposto.
«Va bene due».
«Perché?» ho chiesto.
«Perché se no non ce la faccio, mi stresso troppo».
«Quindi è questa la soluzione? Affrontare lo stress intontito?».
Ha abbassato gli occhi e si è sorbito la ramanzina, fatta da educatore e da madre, e siamo tornati dentro.
Mi sono alzata in piedi e ho ricominciato: mettete via i cellulari (che nel frattempo erano ricomparsi) e prestatemi un attimo di attenzione. Vi avevo già spiegato che sapere il numero di scarpe di Manzoni, i viaggi avanti e indietro per l’Italia, o le quisquilie e le pinzillacchere, non è lo scopo della letteratura. La letteratura è la voce dell’anima – ho cercato di ricordare loro – racconta gli uomini nel loro essere fragili e forti allo stesso tempo. La letteratura è il pane con cui si nutre la parte più profonda di noi e lo fa con parole capaci di colpire e affondare nelle emozioni; quelle che coviamo latenti e non riusciamo a esprimere. Mi porto dentro come una grande lezione le parole di un padre davanti al corpo esanime del figlio quando gli ha detto: «non ho fatto in tempo a dirti tutte le cose che dovevo dirti» perché mi hanno fatto capire quanto ci censuriamo e quanto è grande la difficoltà che viviamo nell’esprimere le emozioni. Così se non cogliamo l’attimo quando si presenta, perché non abbiamo le parole, non sempre si ripresenta. Ecco ragazzi – ho continuato – la letteratura e la poesia in particolare ci aiutano a trovare le parole per dirlo, per esprimere amore, amicizia, sentimenti gioiosi così come disperazione, sgomento o impegno civile, insomma tutto quel ventaglio che, a volte, non sappiamo dispiegare proprio perché ci mancano le parole per dirlo. La letteratura è la torta fragrante che spinge a cercare gli ingredienti perché vuoi scoprire come riprodurla. Gli ingredienti sono le parole: tante, diverse, strane, musicali e affilate. Le parole escono da dentro una vita e si ricongiungono con altre vite che cogliamo nella loro espressione più alta. Come quella di Antonio Gramsci cui la nostra scuola è intitolata. Sarà stato stressato Gramsci in carcere? Cosa gli rimaneva dentro quella cella così angusta quando il fascismo lo aveva privato di tutto fuorché della sua dignità di uomo e filosofo? Le parole per dirlo. E’ per esercitare questa sua urgenza comunicativa che il 27 marzo del 1927 rivolse un’istanza al tribunale militare di Milano «per poter avere permanentemente nella sua cella la penna, l’inchiostro e un centinaio di fogli di carta per scrivere dei lavori di carattere letterario»; autorizzazione che gli venne negata. Solo nel 1929 ricevette il permesso e l’occorrente per scrivere, per un’ora al giorno, con il secondino che consegnava e ritirava il tutto puntualmente. In questi suoi scritti, a proposito dello studio, Gramsci affermò che «Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza». Studiare quindi è un modo per investire nella propria persona, lavorare su se stessi per creare le parole che esprimano gli uomini e le donne che saremo. Questo è il senso della letteratura, donare voce a chi siamo, a chi siamo stati e a chi diventeremo. In questo contesto si comprende quanto sia necessario l’invito «Istruitevi perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza» e per esprimere l’intelligenza abbiamo bisogno delle parole.