«Stitched Up»
Un nuovo rapporto rivela salari da fame in Europa e in Turchia, sfatando il mito di condizioni di lavoro migliori nel tessile europeo.
Comunicato della «Campagna Abiti puliti» (*)
La Clean Clothes Campaign pubblica un nuovo rapporto che rivela cosa si cela dietro catene di fornitura della moda di fascia alta e nella vita dei lavoratori turchi e dell’Europa Orientale che producono i loro vestiti. «Stitched Up! – salari da povertà per i lavoratori dell’abbigliamento in Europa orientale e in Turchia» è il risultato di approfondite ricerche che includono interviste con oltre 300 lavoratori tessili, in 10 Paesi nell’Europa dell’Est post-socialista e in Turchia. La regione è uno snodo cruciale di produzione per il consumo dell’Europa, dal momento che circa la metà dei capi di abbigliamento importati nell’area sono prodotti in questa area geografica.
Il rapporto mostra che i Paesi europei post-socialisti funzionano come bacino di lavoro a buon mercato per i marchi e i distributori occidentali della moda. Nonostante una lunga storia nella produzione di abbigliamento e una forza lavoro altamente qualificata, i ricercatori hanno scoperto che quasi tutti coloro che producono vestiti per i maggiori distributori europei (come Hugo Boss, Adidas, Zara, H&M e Benetton) sono pagati al di sotto della soglia di povertà, e molti devono contare sull’agricoltura di sussistenza o un secondo lavoro per riuscire a sopravvivere. Il rapporto rivela che il salario minimo legale copre appena tra il 14% (Bulgaria, Ucraina, Macedonia) e il 36% (Croazia) di un salario base dignitoso.
Christa Luginbühl, uno degli autori del rapporto, ha dichiarato: «Questa ricerca dimostra che in casa nostra i lavoratori tessili europei lavorano per lunghe ore per un salario che non soddisfa i bisogni fondamentali. Catene di fornitura complesse e opache non possono essere una scusa per negare alle persone il diritto fondamentale a un salario dignitoso. Mentre marchi come Zara e H&M godono di profitti in crescita anche durante la crisi, le condizioni di lavoro nei Paesi di produzione della regione sotto inchiesta si sono deteriorati, in particolare dopo il 2008/9».
I lavoratori nella regione sono anche ostacolati dall’incapacità dei sindacati di lottare per i loro diritti più elementari. Un sindacalista croato ha dichiarato che «i sindacati non hanno la possibilità di contrattare salari più elevati in quanto devono combattere costantemente pratiche illegali quali straordinari non retribuiti e contributi sociali o stipendi non pagati per lungo tempo». Bettina Musiolek, co-autrice del rapporto, sottolinea: «sappiamo che i lavoratori dell’abbigliamento in Asia sono sfruttati con bassi salari e cattive condizioni di lavoro, ma ciò che questo rapporto dimostra è che non ci sono Paesi eletti e virtuosi».
Ersilia Monti, della Campagna Abiti Puliti e curatrice della versione italiana commenta: «Il rapporto è di estremo interesse perché mette in luce le responsabilità dei grandi marchi italiani della moda e del lusso nel favorire e perpetrare condizioni di lavoro insostenibili per milioni di lavoratori nella nostra Europa, soprattutto donne. Oltre a Benetton, anche Max Mara, Versace, D&G e Prada devono parte dei loro profitti allo sfruttamento di salari ampiamente al di sotto di quelli di sussistenza e in taluni casi persino inferiori a quelli di Cina e Indonesia. Nella gran parte dei casi i salari percepiti non arrivano nemmeno al 30% di quello che viene stimato come il livello vivibile».
La Clean Clothes Campaign chiede di porre fine al mito che pagare cari i vestiti o farli produrre in Europa garantisca condizioni di lavoro dignitose. I marchi e distributori devono adottare misure chiare e mostrare un vero e proprio impegno all’interno della propria catena di fornitura al fine di garantire che tutti coloro che lavorano per loro, ovunque essi vivano, siano pagati con un salario dignitoso.
Gli attivisti della campagna, insieme con i sindacati e i lavoratori di tutta la regione, chiedono ai marchi di moda europei di assicurarsi che, come primo passo immediato, i lavoratori della regione indagata ricevano un salario netto di base pari almeno al 60% del salario medio nazionale. I prezzi d’acquisto devono essere calcolati su questa base e consentire tali aumenti salariali.
«Stitched Up» fa parte di una serie di rapporti della Ccc (Clean Clothes Campaign) che indagano la situazione dei lavoratori tessili in tutto il mondo e definiscono le misure che i marchi devono assumere per pagare un salario dignitoso. All’inizio di quest’anno la Ccc ha condotto un’ampia indagine fra le principali marche di abbigliamento che esamina le misure adottate per l’effettivo raggiungimento di un salario dignitoso nella catena di fornitura. I risultati sono stati pubblicati nel rapporto «Tailored Wages» . Sulla base di questo rapporto, la campagna lancia oggi un App per i cellulari in cui viene mostrato, in maniera semplice e accessibile, cosa stanno facendo più di 100 marchi internazionali per pagare un salario dignitoso.
Come dimostrano entrambi i rapporti, la strada da percorrere è ancora molto lunga. Le imprese devono agire subito e fare in modo che i lavoratori di abbigliamento impiegati nella loro catena di fornitura (sia in Asia o in Europa) ricevano un salario vivibile.
Informazioni di base
– Link «Stitched Up» in italiano
– Link alle schede-Paese in italiano
– Cosa 50 grandi marchi e distributori europei della moda stanno facendo in termini di attuazione del diritto a un salario vivibile, link: cleanclothes.org / livingwage / tailoredwages
Link all’App per cellulare:
1. App store: https://itunes.apple.com/app/id414746532
2. Android: https://play.google.com/store/apps/details?id=ch.taktil.fashioncheck.app
(*) Per contatti: Ersilia Monti (Coordinamento Nord Sud del Mondo e Campagna Abiti Puliti, curatrice della versione italiana): 333.2044346; oppure Francesco Verdolino: 339 8129813, francesco.verdolino@hotmail.it