Stop al panico
di Romano Mazzon
Quale panico? Non c’è panico? Un po’ di preoccupazione? Neanche? Assuefazione?
Ultimamente la difficile situazione dovuta alla crisi economica globale, che qualche problema mi stava creando, si è arricchita dell’implosione del Giappone, con una caduta della domanda dei mercati esteri verso l’Italia, e dell’implosione della Libia, con conseguenze sull’approvvigionamento energetico. Una nube radioattiva, ma innocua (quel che non strozza ingrossa) mi sta passando sulla Testa (ogni riferimento a Chicco è puramente casuale). Dopotutto non mi devo preoccupare per il futuro perché le ricerche dicono che intanto non avrò la pensione quindi sia che io sia in buona salute o meno è praticamente inutile farci dei progetti stile camper e viaggi. Non mi devo nemmeno preoccupare più di tanto di difendere i miei diritti perché ne sono rimasti davvero pochi e quindi è sufficiente un presidio ogni tanto senza troppo impegno.
Il panico crea una sorta di paralisi e chi ne viene colpito è incapace di reagire. Se poi si vive in una situazione da panico c’è la probabilità che, esattamente come l’animale in gabbia, prima o poi si rinunci a cercare una soluzione per uscirne, visti i ripetuti fallimenti. Prima o poi uno ci fa l’abitudine. Forse per questo molto spesso le “rivoluzioni” hanno come protagonisti i giovani: sono meno assuefatti. Quei giovani tunisini che dopo aver rovesciato Ben Ali sono andati alle frontiere ad accogliere i profughi dalla Libia, portando solidarietà attiva. Oppure quei giovani che a Gaza, tra bombardamenti umanitari e lotte tra poteri, provano a dire che cosa vogliono loro.
C’è un appello che gira in rete, un appello che sprona i precari a prendere in mano la propria condizione, a ricominciare a sognare e da una data, il 9 aprile, per scendere in piazza.