Stradario di un vittoriano. Il Sud di George Gissing
di Pierluigi Pedretti
“Lasciate dire finalmente a qualcuno
che trascorse la propria vita scrivendo romanzi
che oggi è arrivato il momento di parlare di George Gissing.”
Virginia Woolf
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Risultato del suo peregrinare nel 1897 nel Mezzogiorno d’Italia, George Gissing (1857-1903) diede tre anni dopo alle stampe By the Ionian Sea, resoconto di viaggio che venne pubblicato in Italia solo nel 1957 nella traduzione di Margherita Guidacci.
Altre tre edizioni apparvero negli anni successivi, ma quella odierna, con nuova traduzione e cura di Mauro F. Minervino, rende giustizia a un testo quanto mai attuale. Diverse le novità che iniziano fin dal titolo dal copertina, dove il vecchio “Sulle rive dello Ionio” è tradotto con Verso il Mar Ionio. Un vittoriano al Sud (Exòrma edizioni, pp.335, euro 21), ben più adeguato al contenuto.
La nuova traduzione integrale è, poi, arricchita da disegni originali di Gissing, scovati negli archivi delle biblioteche britanniche dall’antropologo cosentino insieme a inediti di appunti e note di viaggio. Le lettere ai familiari spedite dai luoghi visitati dallo scrittore vittoriano rendono, infine, la lettura del libro molto più affascinante ed esaustiva.
Conclude il libro una lunga e interessantissima nota di Virginia Woolf (I romanzi di George Gissing).
Ovviamente ad orientarci nell’interpretazione non mancano – ad apertura e in chiusura – due illuminanti scritti di Minervino stesso.
Lo studioso calabrese vero specialista dello scrittore britannico aveva già scritto nel lontano 1993 nel suo Una vita desiderata.
George R. Gissing un vittoriano nel Sud: “Il viaggio di Gissing allude costantemente a una
personale ricerca di senso che rimette in causa il sottofondo dell’intérieur e apre la coscienza del protagonista al riconoscimento di un intrico di ragioni e di stati dell’essere altrimenti celati nella sofferta biografia dello scrittore.”
Potremmo anticipare tutto dicendo che in qualche modo per lo scrittore britannico, nella sua esplorazione “dell’essere”, valeva quello che per il suo alter ego calabrese è il Sud: l’emblema di una modernizzazione distruttiva e caotica, dove non c’è più posto per le mitologie letterarie del bello classico, ma solo spaesamento e sofferenza.
George Gissing fu uno scrittore la cui opera si incentrò sulla sua stessa vita, cioè quella di un uomo condannato alla precarietà esistenziale.
Egli era nato a Wakefield da una famiglia della classe media. Il nord dell’Inghilterra dove era cresciuto e dove aveva studiato, specialmente l’area di Manchester, era ad alto tasso industriale e i suoi personaggi risentiranno sempre di questa duplice influenza, personale e sociale.
I protagonisti dei suoi libri erano uomini e donne tormentati: la descrizioni delle loro condizioni erano spesso molto amare. L’Inghilterra vittoriana non era una terra felice, ma luogo di malessere mentale e sofferenza materiale.
A Londra dove si era trasferito intraprese la carriera di scrittore senza un vero successo di pubblico nonostante le decine di romanzi pubblicati negli anni successivi.
New Grub Street, Born in exile e The Odd Women sono considerate tra le sue opere migliori, scritte negli anni ’90 dell’Ottocento in piena età vittoriana.
Comunque sia questo decennio fu il migliore della sua produzione, tanto che grazie ai numerosi racconti scritti per la stampa britannica poté permettersi di abbandonare il lavoro di insegnante.
Divenne amico di scrittori del calibro di Henry James e Herbert George Wells.
Anche sul piano personale Gissing visse questa dicotomia tra aspettative di successo e realtà effettiva.
Tre mogli e pochi soldi: la prima, Marianne, una prostituta sposata per redimerla; la seconda, Edith, da cui ebbe due figli, rinchiusa in manicomio; la terza, Gabrielle, francese, presa in matrimonio da bigamo.
Nel 1897, affidati i figli alla sorella, Gissing decise di partire per l’Italia alla ricerca dell’agognata Magna Grecia, mentre crescevano i problemi di salute.
Attratto dal mondo classico Gissing aveva intrapreso il viaggio nell’Italia meridionale su ispirazione delle letture dei testi antichi ma anche de La Grande Grèce (1881) scritto dall’archeologo francese François Lenormant.
Il Mezzogiorno d’Italia che da tempo era sotto l’interesse dei viaggiatori del Grand Tour si rivelava a cavallo tra ‘800 e ‘900 una terra attrattiva.
Lo stesso Gissing fu a sua volta di ispirazione per i viaggi di Norman Douglas e per il suo Old Calabria (1915).
Certamente si era sedimentata un’idea pittoresca del Sud che tuttavia cozzava con una realtà in problematica trasformazione.
Partito per mare da Napoli alla volta della Calabria, Gissing si trovò subito di fronte una terra difficile da decodificare. Le pagine dell’approdo a Paola e il difficoltoso superamento della Catena Costiera per giungere a Cosenza sono straordinarie nel ritrarre caratteri e luoghi: “Ho chiesto al vetturino di fermare i cavalli per guardare e meravigliarmi di quel panorama. Volentieri sarei rimasto lì per ore.”
Lo scrittore non giudicò mai con l’aria dello snob, ma apparve sempre molto equilibrato nelle sue (dis)avventure di viaggio. Mostrava, anzi, solidarietà per quella plebe meridionale spesso maltrattata nei loro resoconti dai viaggiatori nordeuropei che lo avevano preceduto. Con un’attenzione particolare verso il mondo femminile.
E’ vero, l’accoglienza rappresentava spesso un’impresa, ma egli seppe apprezzare la pulizia (quando c’era), la buona cucina e il contegno degli abitanti ben diverso dai chiassosi napoletani.
Certo le delusioni non mancarono, ma le sorprese positive furono altrettante.
Sibari esisteva solo come stazione ferroviaria, del glorioso passato non c’era niente.
A Taranto andò meglio. Da Metaponto a Crotone le tracce della classicità emersero saltuariamente solo attraverso i ricordi dei pochi appassionati del luogo.
Soprattutto Gissing fu colpito dalla condizioni in cui i potenti e gli amministratori, che spesso erano un’unica persona, come nella città di Pitagora, tenevano la popolazione, affamata e oppressa.
Gissing si riprese fisicamente a Catanzaro – trovata splendida per aria salubre e accoglienza – dalla malaria buscata nella città di Pitagora (Ah.La perduta gloria!).
Nel ricordo di Cassiodoro si recò poi a Squillace, che trovò un luogo squallido. Il viaggio si concluse nel magnifico paesaggio di Reggio, non ancora distrutta dal terremoto.
In Gissing sono presenti due movimenti dialettici, strettamente intrecciati al tema del viaggio e della rivelazione del sé e degli altri: da una parte, il tormentato confronto tra “una vita da desiderare” e l’impossibilità di ottenerla; e dall’altra, il rapporto complesso tra un io soggettivo e un io comunitario.
Da questo confronto nasce una sorta di irrequietezza dell’animo che spinge l’autore alla costante ricerca di senso all’interno di un contesto civile e sociale tormentato.
Gissing ne è consapevole, eppure non cede, è convinto che vi sia un luogo immune dalle profonde trasformazioni che la società industriale sta causando agli albori del XX secolo: il Mezzogiorno d’Italia.
La maggior parte delle pagine sono dedicate alla Calabria e avendola percorsa con sguardo acuto può scriverne andando oltre l’immediato apparire delle miserie umane e strutturali. Egli guarda e scova la problematica bellezza nascosta tra le pieghe del brutto che avanza, dove le rovine, rispetto all’aura estetizzante del passato sono sempre più la perturbante incarnazione dei tempi nuovi, potente allegoria della difficoltà di stare al passo con il mondo industrializzato.
Più che a rammentarci romanticamente la caducità di ogni cosa, esse appaiono il simbolo del dramma delle terre meridionali, che appaiono lontanissime, più nel tempo che nello spazio, da ogni luogo d’Europa.
La Calabria, il nucleo centrale dell’antica Magna Grecia, diviene, allora, nelle pagine dell’autore paradigma della condizione umana e sociale dell’individuo, smarrito nei gorghi della incipiente modernità. Difficile restare immuni da questa lettura.
Quando si maneggia una materia viva e sentita come il Mezzogiorno, indignazione, rabbia, dolore, amarezza si mescolano in un magma incandescente eustionante, a volte venato di malinconia per un mondo idealizzato che non esiste e che difficilmente potrà divenire migliore di quel che è.
“E mentre volgevo lo sguardo per l’ultima volta verso il Mar Ionio, desiderai ancora che ciò che vedevo fosse lì per me. Avrei desiderato restare. Per vagare all’infinito nel crepuscolo di quel silenzio antico, dimentico dei miei giorni, del mondo così com’è, di ogni frastuono.”
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