Strage ferroviaria di Andria: “crimine di pace” contro l’umanità
di Vito Totire (*)
Sulla evitabilità della strage di Andria-Corato è stato già detto quasi tutto.
La adozione del sistema SCMT avrebbe evitato la strage. Ne ho sentito parlare la prima volta nei primi anni duemila quando i macchinisti delle ferrovie – peraltro bersagliati tragicamente dalle esposizioni ad amianto – ne parlavano come alternativa al sistema tristemente noto come “uomo morto”. Questo consisteva nell’obbligo, per il macchinista, di azionare in continuazione un pedale onde rassicurare il “sistema” circa la sua condizione di veglia e di attenzione. L’idea dell’azionamento coatto del pedale nasceva dalla scelta economicistica delle ferrovie di passare al macchinista unico, cioè un solo addetto alla guida del mezzo, per risparmiare. Il sistema “uomo morto” cadde fortunatamente in disgrazia in quanto ritenuto dai lavoratori – ma poi anche da medici e psicologi del lavoro, da ergonomi ed esperti – fonte di distress e nocivo per la salute psicofisica del macchinista, idoneo anzi a distrarlo dal suo compito principale: condurre il mezzo concentrandosi sulla strada (anche per la necessaria attenzione agli “imprevisti” fisici e umani). Fu in quel contesto che si iniziò a parlare di SCMT, un sistema di vigilanza alternativo al cosiddetto “uomo morto”, efficace anche nella malaugurata circostanza del colpo di sonno o del malore o peggio dell’infarto del macchinista (è successo anche questo, trattandosi di lavoro molto usurante ancorché oggi disconosciuto dalle istituzioni e da un iniquo sistema pensionistico).
Per chi, come me, ha seguito il dibattito giuridico negli ultimi decenni, era acquisito e fortemente condiviso quanto il magistrato Raffaele Guariniello e altri giudici italiani hanno sostenuto, coerentemente con il principio costituzionale del diritto alla salute: l’unico limite alle misure da adottare per la sicurezza è la fattibilità tecnica; se esiste una tecnologia (allarme, sistema bloccante, circuito chiuso, ecc.) questa deve essere adottata; l’entità degli oneri economici, spesso invocati per temporeggiare, non va considerata un ostacolo alla sua concreta e immediata adozione. Anche una organizzazione del lavoro non ergonomica deve essere rifiutata in quanto terreno di coltura favorevole all’accadimento di infortuni; pensiamo alla strage dell’autobus in Spagna che ha ucciso le studentesse; bisogna smetterla di considerare accettabile che un autista lavori guidando una intera notte, per poi attribuire il cosiddetto “incidente” al malore dell’autista; peraltro, per quella strage in Spagna, cominciano a evidenziarsi proposte risarcitorie offensive per le vittime e per chiunque abbia sofferto ad apprendere la tragica notizia.
Allora cosa non ha funzionato ad Andria? E’ venuta meno la coerenza rispetto alle norme della convivenza civile grazie anche alla voluta proliferazione di “enti di controllo” che non hanno verificato nulla e che anzi hanno poi fatto ricorso a mediazioni, compromessi e deroghe: per qualcuno evidentemente la vita dei cittadini pendolari su linee locali vale meno di “vite più importanti”.
Viceversa il quadro procedurale a tutela della prevenzione e della sicurezza è chiaro: la Usl dal 1978 ha tra i suoi doveri disegnare la mappa dei rischi presenti nei luoghi di lavoro e di vita (articolo 20 legge 833/1978): questa mappa è stata disegnata per l’area teatro della strage in Puglia?
Correttamente le Usl si occupano di prevenzione e riduzione del rischio autostradale; perché questo disinteressamento, a volte generalizzato, per le ferrovie? Ovviamente la domanda è retorica. Su questo abbiamo già avuto modo di tentare il dialogo con le istituzioni politiche nazionali, senza ottenere risposte. Se fosse stata disegnata la mappa del rischio, evitando sovrapposizioni, il rischio sarebbe stato individuato e la Usl avrebbe potuto anzi dovuto intervenire con prescrizioni da adottare immediatamente. Nessuno può ritenere legittimo che i due macchinisti morti, in quanto lavoratori, avessero meno diritti di altri che operano in comparti in cui la Usl ha pieni poteri di intervento. Il rispetto dei diritti dei lavoratori si sarebbe riverberato sul diritto degli utenti/passeggeri: la strage non si sarebbe verificata.
I lavoratori delle ferrovie lottando contro “l’uomo morto” hanno indotto l’applicazione di misure tecnologiche davvero efficienti ma purtroppo, come abbiamo visto, non estese a tutto il territorio nazionale e certamente meno rispettate dove più i lavoratori sono “deboli”.
Ora seguiremo le indagini e i processi, avanzando istanza di costituzione di parte civile. Lo faremo anche per la affermazione di questi princìpi, ma pure con alcune certezze: la prima è che questo lutto è troppo devastante per essere elaborato senza postumi; la seconda è l’amarezza di avere valide ragioni e argomentazioni ma di essere arrivati ad affrontare il problema, ancora una volta, purtroppo, solo “il giorno dopo”.
Né vogliamo produrre solo parole o solo proteste: ogni iniziativa autogestita a livello locale di solidarietà morale , materiale ed economica con le vittime ci trova disposti a metterci in sinergia con essa.
(*) Vito Totire è medico del lavoro ma anche “macchinista onorario” e fa parte del centro “Francesco Lorusso”, del circolo Chico Mendes e di AEA, l’Associazione esposti amianto e rischi per la salute.