Strane Americhe: padri “pellegrini”, nativi, “case di ospitalità” e Fbi
Una “scor-data” per Doroty Day e una per Samoset
Non fate i furbi chiamandola “santa”
di DANIELA PIA
Il 18 marzo 1897 nacque Dorothy Day: era uno degli anni in cui le suffragette (o suffragiste per eliminare quel “diminutivo” poco affettuoso) si spendevano nella loro battaglia per i diritti civili.
Sin da giovane l’esistenza di Dorothy Day fu contrassegnata da grandi ideali per i quali era certa valesse la pena spendersi: i diritti delle donne, dei lavoratori, dei più deboli e senza voce. Agì sempre senza paura, pronta a manifestare non per violare le leggi (come le fu rimproverato) ma perché si facessero leggi a tutela dei diseredati e delle donne. Nel 1917 subì anche l’arresto durante una manifestazione di femministe e finì in carcere.
La sua formazione proseguì in ogni campo. Al King’s County Hospital seguì i corsi di infermiera. S’innamorò di Lionel Moise ma nel 1920 sposò Barkeley Tobey con il quale viaggiò in Inghilterra, in Francia e in Italia .
Tornata negli Usa andó a vivere su Staten Island, isola frequentata da intellettuali, artisti ed anarchici. Lì conobbe Forster Batterham e dalla loro relazione nel 1926 nacque Tamar, la figlia tanto attesa.
Erano gli anni in cui l’America era attraversata dalla grande depressione: si poteva osservare la disperazione a ogni angolo. Dorothy Day ne fece argomento di numerosi articoli, denunciando l’abbandono e la miseria che i suoi occhi incontravano. Ma non si limitò a scrivere.
Nel dicembre 1932, mentre partecipava a una manifestazione di disoccupati, a Washington, sentì il bisogno di pregare e chiese a Dio che le indicasse una strada per aiutare i bisognosi.
Tornata a New York incontrò Peter Maurin, intellettuale, spirito libero e militante di un cristianesimo radicale. Fu da quell’incontro che nacque il «Catholic Worker», il giornale che diede origine anche a un movimento politico. In quel cenacolo si sviluppó l’idea di fondare le «case di ospitalità» nei quartieri poveri di New York attraverso le quali, lei e Maurin, riuscirono a «dar da mangiare agli affamati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini».
Nonostante il grande impegno profuso per l’affermarsi di una imprescindibile giustizia sociale, Dorothy e Peter non furono subito capiti, nemmeno dai cattolici.
Nel giugno 1955, durante una esercitazione organizzata dal governo per una simulazione in vista di un possibile attacco nucleare, un gruppo sparuto di 26 persone rifiutò di prendervi parte e Dorothy fu tra loro. In segno di protesta contro le logiche di guerra rimasero seduti a City Hall Parck dove vennero arrestati per finire nuovamente in carcere.
«Non ci eserciteremo alla paura. Non abbiamo fede in Dio se dipendiamo dalla bomba atomica»: Dorothy Day spiegò la sua disobbedienza civile come un atto di penitenza per l’uso delle armi nucleari che gli Usa avevano fatto sulle città giapponesi.
Nel suo percorso umano si amalgamarono elementi anticonformisti, anarchici, socialisti e di una profonda spiritualità. Da un certo punto in poi la fede divenne l’ancora cui poggiarono tutte le sue scelte. Così spiegava: «ciò che facciamo all’ultimo dei nostri fratelli e delle nostre sorelle – che sia rifocillarli, incarcerarli o bombardarli – lo facciamo direttamente a Cristo».
Visse secondo quelle convinzioni per tutta la vita. Per questo suo rifiuto del conformismo fu definita «antiamericana, una stupida insignificante femmina». In quegli Usa segnati dal “Red Scare” – il terrore dei rossi – fu accusata di essere segretamente comunista e il suo nome venne inserito da Edgar Hoover, il direttore dell Fbi, nelle liste di proscrizione , fra coloro che dovevano essere arrestati nel caso di un’emergenza nazionale.
La tardiva riabilitazione fra i cattolici ha il suo culmine nel 1967, a Roma, quando Dorothy Day partecipò all’International Congress of the Laity davanti a Paolo VI che ne riconobbe l’alto valore umano e di testimonianza. Nel 1972, per il suo settantacinquesimo compleanno, la rivista dei Gesuiti «America» le dedicò un lungo servizio riconoscendo in lei la donna capace di aver onorato al meglio «l’aspirazione e l’azione della comunità cattolica americana durante gli ultimi quaranta anni».
Anche l’università di Notre Dame la insignì con Laetare Medal (antico e prestigioso premio cattolico assegnato alla persona o al gruppo «il cui genio ha nobilitato le arti e le scienze, illustrato gli ideali della Chiesa e arricchito l’eredità dell’umanità») per il conforto portato agli afflitti durante tutta la sua vita.
Qualcuno la definì santa ma Dorothy Day rifuggì da simili definizioni: «non chiamatemi santa. Non voglio essere allontanata così facilmente». Ma la sua fede – pur non stereotipata – rimase salda: «Se ho realizzato qualche cosa nella mia vita è perché non mi sono mai vergognata di parlare di Dio».
Si spense a 83 anni il 29 novembre 1980: sulla sua tomba è raffigurato un cesto di pane con pesci e la scritta «Deo gratias».
«»
Il 16 marzo 1621 (era un venerdì anche allora)…
ripreso da encyclopedia.thefreedictionary.com (*)
SAMOSET (1590 circa-1653) fu il primo nativo americano a recarsi – spontaneamente e con allegra baldanza e loquacità e totale mancanza di secondi fini – a fare amicizia coi Padri pellegrini di Plymouth, il 16 marzo 1621 (era un venerdì anche allora). «Venerdì 16 […] si presentò un selvaggio, il che destò allarme. Costui si fece innanzi tutto solo, assai arditamente, passando accanto alle case, fino al rendezvous, dove lo fermammo, non tollerando di farlo entrare, ciò ch’egli fuor di dubbio avrebbe fatto, per la sua arditezza. Ci salutò in inglese, e ci diede il benvenuto, ché un poco d’inglese aveva appreso soggiornando fra gl’Inglesi venuti a pescare a Monchiggon, e la più parte dei capitani conosceva per nome, e dei negri e dei padroni che giungevano per solito. Era egli uomo di libera favella, sol che avesse modo di manifestar l’animo suo e di piacevol portamento. Lo interrogammo su molte cose: era il primo selvaggio col quale avessimo commercio. Disse che non era di queste parti, ma di Morattiggon, e uno dei sagamore, o signori, di que’ luoghi [membro della tribù Wampanoag, che all’epoca abitava il territorio dell’attuale Maine] … […]. Discorse del paese tutto, e di ciascuna provincia, e dei suoi sagamore, e del numero de’ suoi uomini, e forze. Levatosi che fu un poco di vento, gli gettammo a dosso un gabbano da cavaliere, dappoiché era ignudo affatto, con nient’altro che una pelle a cingergli i lombi, ornata d’una frangia lunga una spanna, o poco più; aveva arco e due frecce, una aguzza e l’altra spuntata. Era alto e diritto, di chioma nera, lunga di dietro e corta davanti, e in viso affatto glabro; domandò della birra, ma invece gli demmo acquavite e gallette e burro e formaggio e bodino e un pezzo d’anatra, cose tutte ch’egli ben gradì, essendovisi accostumato fra gl’Inglesi. Ci diè contezza che il luogo ove ora abitiamo è nomato Patuxet, e che un quattr’anni or sono tutti gli abitanti suoi perirono d’una straordinaria pestilenza, e non vi rimane uomo né donna né infante, ché difatti nessuno abbiam trovato, laonde non havvi persona veruna ad oppugnar la nostra possessione, né a reclamarla. Tutto il pomeriggio passammo in conversazione con esso; alla sera avremmo ben voluto toglierci di quella briga, ma egli non voleva andarsene. […] Il dì seguente fece ritorno presso i Massasoit, donde diceva d’esser venuto, i quali sono i nostri confinanti prossimi. Sono essi in forze di sessanta uomini, com’egli ci disse. Altrettanto vicini sono i Nauset, a sud ovest di quelli, e forti di cento uomini […]. Sono costoro infiammati molto e adirati contro gl’Inglesi, e un otto mesi or sono hanno ammazzato tre Inglesi, e due altri a stento son fuggiti di corsa a Monchiggon […]. Codeste genti sono adombrate contro gl’Inglesi, a cagione d’un tale Hunt, padrone d’una nave, il quale ha ingannato il popolo, e ne ha catturati, sotto specie di far mercato con essi, venti uomini da questo luogo medesimo dove abitiamo, e sette dei Nauset, e li ha portati via, e venduti per schiavi, da quello sciagurato che è (a venti sterline a testa), che non si cura di quali misfatti commetta pel suo profitto. Il dì di sabato al mattino abbiamo congedato il selvaggio, e donatogli un coltello, un bracciale, e un anello; egli ha promesso, di lì a una o due notti, di far ritorno, e di menar seco uno de’ Massasoit, nostri vicini [tornò difatti due giorni dopo insieme al capo Squanto, che parlava un inglese molto migliore] […]».
(*) FONTE: encyclopedia.thefreedictionary.com/Samoset – Edward Winslow & William Bradford, Mourt’s Relation: A Journal of the Pilgrims at Plymouth, 1622, part I, Caleb Johnson editor, The Plymouth Colony Archive Project, www.histarch.uiuc.edu/plymouth/mourt1.html; v. anche: Nathaniel Philbrick, Mayflower. A Story of Courage, Community, and War, New York 2006. Grazie a Roberta “Ihcnor” per la segnalazione, per l’accorta traduzione, per le sottolineature e per i sottintesi… del tipo: “chissà come l’avrebbe raccontata Samoset”. L’IMMAGINE è ripresa da Wikipedia inglese. [db]
MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.
Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.