Su «Amalgrammer» di Guergana Radeva
«Il mondo è diventato un anagramma di se stesso e non ci resta che stare al passo con i tempi». Possiamo giocare a decifrarlo o riderne, come accade in molte pagine di «Amalgrammer», il nuovo romanzo (era ora) di Guergana Radeva la quale ama presentarsi così: «ingegnere per svista, girovaga per indole, cantastorie per passione, da qualche anno ha messo radici in Maremma».
«Amalgrammer» (182 pagine, 15 euri) è pubblicato da Akkuaria, editore catanese, con le splendide illustrazioni di Massimiliano Ruffino. Si definisce «romanzo fantasy» ma potrebbe andar bene anche «favola nera con eros e risate», «fantastico, tutto il campionario» oppure «dannata gomma ria sera» (*) .
Si inizia in un motel del Fiction World che c’era o forse no; a ogni modo dalle parti del film «Psycho». I titoli dei capitoli sono brevi riassunti che possono darvi l’idea del percorso (alla Moebius nel senso di nastro). A esempio: «della Brilla Addormentata, del Gatto che temeva i fantasmi e di Hb, il cavallo dai denti accavallati». Oppure: «di Cindy e dell’avvento dei termosifoni, del vibratore d’argento vivo e delle braghe macchiate del Principe». E verso la fine, intrallazzando un minimo con la fantascienza e con la fisica più felina: «del teletrasporto, di atomi, nucleoni e quark, di Joyce e della lontra di Schrodinger».
Non so voi ma se leggo Citavano mentre di parla di Chiesa in un libro intitolato «Anagrammer» io traduco istintivamente «Vaticano». Se però poco dopo inciampo in un maestoso «Solo architettoniche fili in leonesse paracadutavate» o in «Adattavate schifano villino» devo effettivamente chiedere aiuto all’autrice per traslare in più sentiti «Padre nostro che sei nei cieli sia fatta la tua volontà» e «Che sia fatta la volontà divina». Sempre sperando che la Maga Guergana abbia dato un super-sonnifero al folletto dei refusi.
Ecco alcuni/e fra le persone o personaggi qui parodiati, saccheggiati, reinterpretati, usati come pezzi per trapianti e comunque sempre con i nomi storpiati (spesso in modo geniale): padre Brown, il Gatto con gli stivali, Genoveffa (la sorellastra di Cenerentola), i 7 nani, Terminator-2, Pinocchio, Superman, Sherlock Holmes e suo fratello, Barbablù, Pippi Calzelunghe, la Bella e la Bestia, padre Karras (avete presente «L’esorcista»?), Alice, il Principe azzurro, Freddy Krueger, Spock (non il medico, quello di «Star Trek») con il contorno di fate, streghe, diavoli, goblin, gremlin, zombie. E il jin (per capirsi «il genio» della lampada di Aladino) che serve gin mentre Medusaegetta si occupa della raccolta differenziata. Non conoscevo il Buraq, «mistico quadrupede dell’Islam dal corpo di cavallo, testa di donna, ali e coda da pavone». Si impara sempre, perfino dai (o sui) simil-pavoni.
Mi è parso di sentire un urlo: «Che roba è?».
Rispondo sommessamente: Douglas Adams – citato in apertura – mescolato con la migliore Angela Carter e Tim Burton, però corretto da un pizzico di Bunuel. O forse semplicemente lei: Guergana Radeva è inimitabile. Se non la conoscete, qui in blog trovate sue poesie e racconti ma vi rimando soprattutto alla mia recensione del suo romanzo precedente: cfr Amalgrab, lo specchio nero delle brame (8 luglio 2008).
Per godere del libro occorrono solo pazzia qb (quanto basta) e una buona dentatura (per risate e sorrisi in quantità). Infatti nello scriverlo Guergana… Rideva.
Annuncio qui solennemente («urbi et corvi», tanto per restare all’attualità vaticana) che inserirò fra le mie (ec-)citazioni preferite i brevi brani sulla Cocca Colla che rileva l’Acqua Santa e sulla Luna sconfitta dalle silhouettes ma anche il piccione incazzato con i cellulari e le 5 particolareggiate righe su come si consuma «il classico amplesso fra due adulti consenzienti in uno spazio assai ristretto». Più un’altra quindicina di frasi giocherellone o forse 666, ma questo numero ha cattiva fama.
Dell’autrice si potrebbe anche dire che «nuda arava regge» ma se poi vi mettete in testa che è un anagramma?
(*) se non avete decifrato la frase ecco la soluzione: «storia da anagrammare»; mi sa che «Scarabeo» o «Paroliamo» poco vi aggradano.