«Tax the rich»: campagna per ottenere 40 miliardi in più

redazione Diogene (*)

L’associazione Sbilanciamoci lancia la campagna Tax the Rich, 5 proposte concrete per ottenere 40 miliardi di euro in più di gettito fiscale. Uno studio organico di giustizia sociale mentre la politica parla in ordine sparso di extraprofitti sul gas, diseguaglianze, flat tax. Si tratta di 5 proposte per rendere il paese più giusto e ridurre le diseguaglianze.

1 TASSAZIONE DELLE RICCHEZZE MILIONARIE
L’imposta patrimoniale esiste in vari paesi europei: Spagna, Norvegia, Francia e Svizzera, ecc.

Anche in Italia esiste già una imposta patrimoniale. O meglio, esistono diverse micro imposte patrimoniali, alcune periodiche (come l’IMU) e altre una tantum (come l’imposta di registro) che portano alle casse dello Stato circa 40 miliardi euro.

Si tratta di razionalizzare in una unica imposta le diverse imposizioni fiscali (una situazione schizofrenica) e di fare in modo che questa sia applicata in modo progressivo, esentando dal suo pagamento i ceti medio- bassi: il 98% degli italiani che hanno un patrimonio inferiore al milione di euro.

Una parte dei ricavi dell’imposta patrimoniale deve essere destinato alla copertura degli oneri previdenziali e sociali (problema particolarmente serio per il futuro con milioni di lavoratori precari e con bassi salari, che rischiano di avere una pensione inferiore al livello di povertà), che non possono pesare unicamente sui redditi dei lavoratori e sugli imprenditori.

Il varo di una imposta patrimoniale sulla ricchezza familiare ha bisogno di alcuni requisiti fondamentali: un’anagrafe patrimoniale, la circolazione delle informazioni tra le diverse banche dati (redditi, catasto, depositi bancari e titoli, ecc., oggi impedita da interpretazioni bizantine delle norme sulla privacy), metodologie accurate (ISEE) per calcolare il patrimonio, da presentare annualmente insieme alla dichiarazione dei redditi. Manca la trasparenza: e quando l’allora ministro delle finanze Visco (nel 2008) provò correttamente a farlo con le dichiarazioni dei redditi rese pubbliche on line, cosa che accade in altri paesi europei, fu immediatamente bloccato.

L’esistenza di una imposta patrimoniale e di successione fa parte della più solida cultura liberale (da Jeremy Bentham a James Mill, da John Stuart Mill a Luigi Einaudi), soppiantata in questi anni dal dogmatismo neoliberista, che ha avuto un unico scopo nell’ultimo trentennio: far risparmiare i ricchi e i privilegiati, tagliare la spesa pubblica, sostituire i diritti con la compassione sociale.

Proponiamo una tassazione progressiva sulla ricchezza familiare (calcolata con l’ISEE) dallo 0,5% (per più di 1milione di patrimonio) al 2% (per chi ha patrimoni superiori ai 500milioni di euro) che potrebbero fare entrare 32,5 miliardi di euro nelle casse dello Stato, fatte salve le imposizioni fiscali una tantum derivanti dall’acquisizione e alienazione di proprietà e dal pagamento dell’IMU per le seconde e terze case, dell’imposta di bollo sul deposito titoli anche sotto il milione di euro di patrimonio.

2 TASSE SULLE RENDITE FINANZIARIE
Attualmente la tassa flat sulle rendite finanziarie (imposta sui redditi da capitali e plusvalenze) è del 26% e origina un gettito di 3,2 miliardi l’anno.

Esiste un problema generale che riguarda i redditi da capitale e da altre fonti: la loro attuale esclusione dall’imponibile IRPEF, con l’applicazione di un regime fiscale separato, che consente ai beneficiari un sostanziale risparmio rispetto a i redditi da lavoro. La nostra proposta va dunque nella progressiva inclusione (e assoggettamento alle medesime aliquote) di tutti i redditi nell’imponibile IRPEF.

Questa diversa imposizione fiscale ha fino ad oggi alimentato diseguaglianze e privilegi fiscali ai redditi da capitale, favorendo la concentrazione della ricchezza.

La nostra proposta è di cumulare i redditi da capitale a quelli da lavoro, assoggettando entrambi, pertanto, alla dichiarazione IRPEF. Se per tale riforma occorresse tempo di armonizzazione e sistemazione delle norme, in via transitoria, proponiamo di portare la tassazione flat dal 26 al 30%, con un aumento di gettito che sarebbe nell’immediato di 500milioni di euro (3,7miliardi di euro).

3 IMPOSTA DI SUCCESSIONE PROGRESSIVA
Le successioni milionarie quasi per nulla tassate sono uno dei principali ostacoli alla mobilità sociale. Le grandi eredità falsano i risultati in partenza: sono una delle principali cause delle diseguaglianze. I patrimoni ereditati sono alla fonte di una divaricazione crescente, abnorme, tra l’1% dei ricchi e il rimanente 99%. Ricordiamo che – in Italia – più dell’80% della ricchezza ereditata si concentra nel quinto più ricco (20%) della popolazione. Da una imposta di successione simbolica, come quella in Italia, i poveri, la classe lavoratrice e il ceto medio non traggono alcun vantaggio. Chi ci guadagna sono i più ricchi. Quello che viene passato come un vantaggio per tutti, lo è solo per pochissimi. Questo è contrario ai principi di solidarietà (art.3) e di progressività fiscale (art.53) della nostra Costituzione. In 30 anni il valore della ricchezza trasmessa per eredità è aumentato di circa il 90%, mentre il suo valore sulle entrate tributarie è passato da un già misero 0,15% allo 0,05%. I valori dell’asse ereditario, trasmessi, oscillano annualmente tra i 65 e i 70miliardi di euro.

Alcune obiezioni ad un’alta imposizione fiscale (e quella che qui proponiamo non è tale: chiediamo solo un adeguamento di una imposta scandalosamente bassa) sulle successioni si fondano sulla impossibilità degli eredi non benestanti di provvedere al loro pagamento. Non sembrano argomentazioni plausibili, considerando che a simili patrimoni corrispondono quasi sempre capacità adeguate di generazione di reddito e che sono previste diverse forme di esenzione per i casi limite. Ricordiamo, ad esempio, che per l’eredità delle attività di imprese dai genitori già la legge prevede una sostanziale esenzione qualora per almeno 5 anni gli eredi continuino a portare avanti l’attività imprenditoriale dei loro genitori. Vi sono, poi, altre esenzioni: nulla si paga al momento della successione per titoli, di stato, buoni postali, pensioni complementari, assicurazioni vita, veicoli e altri beni durevoli (che rappresentano la non piccola percentuale dell’8% dell’eredità ricevuta), ecc. Per il resto dei casi (da comprovare e documentare), sarebbe sufficiente una semplice rateizzazione su più anni del pagamento.

L’imposta di successione in Italia ha franchigie altissime (1milione di euro per ciascun erede in linea diretta – coniuge e figli) e aliquote bassissime del 4% (eredi in linea diretta), 6% (eredi di secondo grado) e 8% (altri) sopra la franchigia. Noi proponiamo un’imposta di successione progressiva sulle grandi ricchezze, innanzitutto portando la franchigia ad 1milione di euro, indipendentemente dal numero di eredi in linea diretta, e di raddoppiare le attuali aliquote di base: dal 4 all’8%, dal 6 al 12% e dall’8 al 16%.

Proponiamo altresì tre scaglioni per la successione che fissiamo a 10, 50 e 100 milioni di euro con aliquote crescenti per gli importi superiori ai 100milioni di euro (40% per gli eredi in linea diretta, 60% per fratelli e sorelle e il 75% per gli altri).

In questo modo si passerebbe dall’attuale gettito di 831milioni di euro (che arriva a 1,9 miliardi con le varie imposte di registro e sulle ipoteche) a circa 6,8 miliardi. In ogni caso la stragrande maggioranza delle successioni piccole e medie sarebbe così esente, ma non quella delle grandi ricchezze.

4 TASSAZIONE PROGRESSIVA DEI REDDITI
Secondo gli ultimi dati disponibili (dichiarazioni 2021 sul 2020: Agenzia delle Entrate), i redditi in Italia assommano a 865miliardi di cui 459 da lavoro dipendente/pensione. Il resto è dato da redditi di altro genere: redditi da proprietà fondiarie, da partecipazione, da attività economiche d’impresa, ecc. I contribuenti italiani sono circa 41,2milioni. Di questi, 675mila (1,64%) hanno redditi superiori ai 100mila euro, mentre il resto (40milioni e 525mila, il 98,36%) ha redditi inferiori ai 100mila euro.

Secondo il Rapporto INPS del 2019 per i redditi solo da lavoro i top earners (coloro che hanno un reddito cinque volte superiore alla mediana) sarebbero in Italia oltre 253mila, di cui più di 53mila professionisti, 23mila collaboratori (prevalentemente imprenditori o manager che percepiscono i loro emolumenti in questo modo), più di 126mila dipendenti privati, 47mila dipendenti pubblici.

Le aliquote negli ultimi 30 anni si sono incredibilmente schiacciate, a favore dei ricchi. Nel 1974 a chi guadagnava più di 500milioni di lire (circa 250mila euro) si applicava un’aliquota massima del 72% (la riforma tributaria del 1973: allora erano Presidente del Consiglio Mariano Rumor e ministro delle Finanze Emilio Colombo), oggi a chi guadagna 250mila euro, si applica un’aliquota massima del 43%. Le aliquote si sono schiacciate e ridotte (per i ricchi, ed è un fenomeno avvenuto in tutto il mondo), ma si sono

modificati radicalmente anche i meccanismi di produzione della ricchezza (patrimonio, rendite, attività finanziarie, ecc.), che spesso sfugge al fisco. Ed è qui che bisogna intervenire con le misure prospettate in altra parte del documento.

Non di meno è inaccettabile, iniqua, ingiusta la sostanziale erosione del principio costituzionale di progressività avvenuto in questi anni per i redditi.

Fino ad oggi sopra i 75mila euro di reddito si applica l’aliquota del 43%. La legge di bilancio 2022 e la successiva legge delega fiscale hanno riordinato l’IRPEF in 4 scaglioni (23% fino a 15mila euro, 25% tra 15 e 28mila euro, 35% tra 28 e 50mila euro, 43% sopra i 50mila euro).

Noi proponiamo tre scaglioni aggiuntivi (con aliquote più alte) per i redditi che superano di almeno 5 volte il reddito medio dichiarato in sede IRPEF. Lasciando il 43% tra 75 e 100mila, introducendo tra i 100 e i 200mila euro un’aliquota del 50%, tra i 200 e i 300mila del 55% e sopra i 300mila del 60%. In questo modo si originerebbe un gettito maggiore di 7,1 miliardi di euro.

Le risorse così prodotte sarebbero finalizzate alla riduzione delle tasse per i redditi inferiori ai 21mila euro.

5 TASSARE GLI SPECULATORI DELLA FINANZA
Il Governo Monti ha introdotto nel 2012 una misura denominata “tassa sulle transazioni finanziarie” (Ttf), che appare però lontanissima dalla proposta avanzata dalle reti europee e discussa tra 10 Paesi dell’Unione Europea sotto la procedura di cooperazione rafforzata. Nonché dalle idee del Premio Nobel James Tobin che per primo la teorizzò, ormai cinquanta anni fa (e per questo si parla spesso di Tobin Tax), allo scopo di frenare le attività speculative nel cambio delle valute all’indomani dell’abbandono degli accordi di Bretton Woods.

Proponiamo una radicale revisione della tassazione sulle transazioni finanziarie attualmente in vigore in Italia, allargandone il campo di applicazione.

La versione italiana vigente si applica solo ad alcune azioni e alcuni derivati sulle azioni e, nel caso azionario, solo ai saldi di fine giornata, non alle singole operazioni. Non si tassano gli strumenti più speculativi e non si disincentiva il regime di negoziazione ad alta frequenza, cioè il più dannoso. In termini di gettito, nella versione attuale la misura genera circa 500 milioni di euro l’anno. A giugno 2016 la Commissione Europea ha stimato che una Ttf che rispecchi l’avanzamento dei negoziati potrebbe generare per l’Italia un gettito di 4,2 miliardi di euro. Adottando tale stima della Commissione e sottraendole i circa 500 milioni dell’attuale Ttf nazionale che cesserebbe di essere applicata, si arriva a un extra gettito di 3,7 miliardi annui.

Ma, va ricordato, il valore di una “vera” Tobin Tax sarebbe meno nel gettito in sé e soprattutto nel disincentivo che genererebbe per le operazioni di speculazione pura, spesso compiute da pochi grandi operatori, per grandi masse di denaro e per frazioni di secondo, le quali hanno il solo effetto di arricchire pochissimi soggetti, spostare le attenzioni della finanza lontano dall’economia reale, creare instabilità nei mercati a danno delle imprese e degli Stati nazionali che devono finanziarsi per investimenti e attività produttive.

Appendice
La ricchezza patrimoniale degli italiani e la simulazione di aliquote progressive sopra il milione di euro

I dati sulla ripartizione della ricchezza patrimoniale degli italiani è ricavata dal Global Wealth Report (2022) curato ogni anno dai ricercatori di Credit Suisse. Si tratta della ricchezza media per adulto. Non sembrano essere disponibili dati sulla ricchezza familiare, se non quelli forniti dall’ultimo rapporto Banca d’Italia-Istat (2019) sulla ricchezza delle famiglie italiane: l’indagine però è effettuata su un campione limitato e non fornisce informazioni sulla ripartizione (come per Credit Suisse) della ricchezza tra i cittadini e sulla fascia di ricchezza (dell’1%) presa da noi in esame. Nonostante l’obiettivo sia quello di una tassazione della ricchezza familiare (da realizzare grazie all’anagrafe patrimoniale e all’ISEE), non siamo in grado di effettuare questa stima per mancanza di dati, stima che si declina qui sulla ricchezza individuale, con poche differenze sostanziali, secondo noi. Inoltre va ricordato che i valori di Credit Suisse sono in dollari, da noi trasposti e approssimati all’euro, con poche differenze di sostanza anche in questo caso. Per quanto riguarda le stime effettuate sono da intendersi sui valori mediani degli intervalli presi in esame.

Va ricordato che l’esenzione dell’imposta patrimoniale sotto il milione di euro conferma di fatto – sopra quella soglia – il pagamento dell’imposta sulla prima casa, mentre rimangono in vigore, sotto il milione di euro di patrimoni, alcune imposte esistenti come l’IMU (ricorrente) e l’imposta di registro (una tantum).

RIPRESO DA diogeneonline.info/

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ciuoti

Un commento

  • Ludovico Fenech

    Mi chiedo – del tutto retoricamente – quale compagine di governo di questo Paese potrebbe mai far proprie le buone proposte contenute in questo bell’articoplo ragionato e motivato !!!

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