«Tears of Gaza»
di Gian Luigi Deiana
gaza non ha più lacrime
so che da settimane girano testimonianze atroci su quanto avviene ogni giorno nella città di gaza e nella “striscia”, e so anche cosa sta succedendo davvero; ma ormai ho pressochè esaurito la mia attenzione informativa: quanto ne ho finora ricevuto mi basta e mi avanza, fino al rigetto;
io sono al colmo: due sere fa ho fatto cento chilometri per poter vedere un documentario norvegese sul bombardamento di gaza del 2009; il film si intitola “tears of gaza” e fu diffuso da oslo nel 2010; sono passati tredici anni e non solo io non l’avevo finora mai visto: ma nemmeno i miei familiari, nemmeno i miei amici e nemmeno nessuno… : eppure, è solo un documento filmato su quanto avvenne, ed oggi avviene mille volte peggio;
so bene che in fin dei conti val pure una immagine di quindici secondi su un qualunque telegiornale: infatti con quindici secondi di gaza puoi serenamente restare nelle tue coccole di vita quotidiana, e poi andare a dormire e il giorno dopo tornare come prima;
a me quella visione mi ha messo però in croce: niente di fantasmagorico, sono le cose di gente fatta a pezzi che tutti noi possiamo vedere a stralci ogni giorno in tv: gente a pezzi, che ci è disponibile a stralci;
ma? il calvario di quel documento filmico, tears of gaza, mi è durato centoventi minuti; e nel farsi di quell’angoscia confesso che non vedevo l’ora che finisse e che potessi tornare a casa come sempre nella mia notte; ma non finiva, come cessava un pianto ritornava il rombo degli aeroplani… circa sessanta minuti di calvario e sessanta minuti di bambini: perchè il loro è il calvario;
dopodichè io non sono riuscito a scendere dalla mia croce; non posso, non voglio, e non devo;
credo di essere entrato in un tunnel: se vi sono tunnel a gaza, io rivendico il mio; non ha niente di ferro e niente di cemento grasso: è solo una povera anima disarmata, come quella di tutti; vuole vedere appena una luce, e uno squarcio di cielo senza demoni;
ieri al mio paese c’è stato un concerto di natale, con tutte le cose curate e per quanto ne so musicalmente perfette; ma c’era insieme anche l’esordio del coro dei bambini; ormai siamo in pochi qui, e vedere bambini cantare è una gioia indicibile; ma io, io li sentivo dalla mia croce, e ho sofferto molto nella mia inevitabile retrovisione;
percepire le voci di festa dei nostri piccoli come la colonna sonora della disperazione dei piccoli di laggiù; e quindi percepire il pianto senza più lacrime di quelli di laggiù come la colonna sonora della gioia dei nostri; ecco cosa ti inchioda alla tua croce, e benchè intollerabile ti diventa necessario per pesare il senso del tuo giorno; per non appassire per sempre, e per non diventare morti viventi, poco a poco;
io li vedevo e li guardavo; e poi li ho osservati mentre giocavano, nella nostra chiassosa cena paesana dopo avere allietato la chiesa; è bello guardare amorevolmente i bambini; io non so perchè non sia dato loro alcun potere sul mondo, ma forse è meglio così: i bambini sono incompatibili col potere, non possono scendere a quel livello di vergogna; è per questa incompatibilità tra i bambini e il potere che tutte le volte l’umanità è risorta dalle sue catastrofi suicide;
ho difficoltà a decifrare questa guerra; tutte le guerre sono decifrabili almeno perchè si può fissare un inizio e una fine, a meno che non si prescriva che non vi è un vero e proprio nemico, o almeno un ingombro, nè un inizio nè una fine, ma solo un niente da cancellare; la palestina è ridotta al rango di questo: non un nemico, e nemmeno un ingombro, solo un niente da cancellare; quindi, non è nemmeno una guerra, e non ha senso immaginare una pace; ovvero: poichè si dà a vedere che non vi sia stato inizio, logicamente non vi sarà una fine, eccetto la cancellazione: la soluzione finale;
è avanzata una striscia sulla lavagna, ancora chiamata con una specie di nome, si dice infatti striscia di gaza; chi ancora non è fatto a pezzi del resto vi sopravvive strisciando: uomini e topi, bambini piccoli e vecchie madri, piccoli asini e ambulanze… tutto ciò che si muove deve saper strisciare tra le macerie senza fine, solo il mare conserva una specie di orizzonte;
e poi la striscia sopravvive da decenni grazie ai tunnel: non specificamente per fare terrore o strategie di guerra, ma semplicemente per portare medicine o per garantire vie di emergenza: lo sanno tutti; tutto il mondo sa che da decenni almeno due milioni di esseri umani sono sopravissuti grazie a un reticolo sotterraneo in cui la condizione di vita del soprassuolo è costituita da migliaia di giovani che vivono come vivono i rettili; dio: di chi è questo dio?
io non voglio scendere dalla mia croce; in realtà non mi fa sanguinare e non mette infezioni e nemmeno aceto in bocca; io giù da essa me la passo bene, anzi benissimo, vado a spasso come mi pare; solo che è proprio qui, in questa specie di star bene, è qui la mia colpa; se vuoi, può essere anche la tua; insieme, almeno come i ladroni, possiamo meritare un umile posto a questo immenso calvario;
non ho idea del come nel costume ebraico vi sia un legame spirituale con i propri morti; in realtà non ne ho l’idea nemmeno per quanto riguarda il costume palestinese; ho solo visto che i corpi delle bambine, per come vengono tirati fuori dalle pietre dei palazzi distrutti, hanno chiome di capelli tanto grandi da poter fungere da loro ultimo lenzuolo, con tutta la polvere dei calcinacci e della vergogna umana addosso;
e tutti sappiamo la necessità di una pietra dove immaginare la presenza di quanto rimane di un padre, o una madre, o un figlio o una figlia: ma talvolta davvero non è rimasta pietra su pietra, ai margini della città dove si moltiplicano i cimiteri nella sabbia; e così l’ immagine che non scorderò mai più e di cui sono grato senza fine ai documentaristi norvegesi delle lacrime di gaza, è quella di una madre che, in mancanza persino di una pietra, anche solo una piccola pietra, piange suo figlio su un blocchetto di calcestruzzo, di quelli 20-20-40, spaccato in due
QUI ecco il film visto da Gian Luigi, regia della norvegese Vibeke Løkkeberg