Testa Vuota
di Pabuda
dai tempi di Trinidad
ho ancora la musica delle steel band
ficcata nelle orecchie,
però nella testa ho più niente.
nei piedi io
ho memorizzati
i complicati passi di sempre
e – checché se ne dica –
ballo tuttora da dio.
sui polpastrelli m’è rimasto
tutto il liscio e il morbido
che ogni cavaliere durante la danza
sui fianchi della dama
normalmente cerca, trova e sente,
ma, come ti dicevo, nella zucca
m’è avanzato proprio un bel niente.
sul collo la sberla della fatica pei remi
ha lasciato una striatura bruciante,
forse per sempre.
ma nella sfera irregolare
che in equilibrio instabile
ci tengo appoggiata
mi sembra sia rimasto
un accidente di niente.
nello stomaco
una pressione come un calco
richiama, portata dopo portata,
gli eccessi dell’ultimo pranzo
e di quella gran bevuta.
all’inverso, nel cranio
manco un’impronta fossile
dei sapori, del gusto e della goduria
ritrovo.
negli occhi, nonostante tutto,
mi son rimasti
tre-quattro ritagli di cielo caraibico
e d’un pittore suicida di laggiù
i contorni del suo più grande dipinto,
ma nella testa mia qualcuno
s’è divertito a riprodurre
il vecchio esperimento
del vuoto spinto.
https://www.youtube.com/watch?v=ReNbZFKKX7c