THANK YOU BOB MARLEY

di Crupi Gaetano (*)


Introduzione

Esattamente trentun anni fa, primavera 1990, una autorevole rivista musicale francese

che si occupa di jazz, rock, blues, soul e quant’altro dedicava un’ampia retrospettiva al

decennio musicale appena concluso, estrapolando nomi, suoni, tendenze musicali

vecchie e nuove che lo avevano caratterizzato, concludendo con uno sguardo profondo

rivolto alla cosiddetta “World Music”.

Erano gli anni in cui questo termine si stava affermando un po’ ovunque.

Per esempio, l’etichetta discografica di Peter Gabriel, chiamata Real World (mai nome fu così appropriato, mondo reale), fondata nel 1989, sfornava uno dietro l’altro titoli, suoni e artisti provenienti da ogni angolo del pianeta e indubbiamente, nel tempo, tutto ciò avrebbe portato nuova vitalità, nuova energia, nuova linfa nei salotti della musica “occidentale”, della musica “bianca”.

Si iniziava a sentire in giro nomi di strumenti musicali sconosciuti alla maggioranza di noi, nuove definizioni musicali, produttori, musicisti, paesi, suoni che “apparivano” strani alle nostre orecchie.

Così come sicuramente alle nostre orecchie “suonò” molto strano, quando comparve nei negozi di dischi nel marzo 1984, quel capolavoro di Fabrizio De André (e Mauro Pagani) intitolato Creuza de Ma, cantato interamente in dialetto genovese e suonato con strumenti appartenenti alla tradizione popolare mediterranea, nordafricana, balcanica e mediorientale (gaida macedone, bouzouki, oud, shanai, saz, giusto per fare qualche nome), definito poi da un altro “Signor Artista” quale è David Byrne come uno dei dischi più importanti della scena internazionale di quel decennio.

Tornando alla retrospettiva sopracitata, essa terminava con un bel ritratto in bianco/nero di Bob Marley, una foto già pubblicata più volte su vari giornali di musica.

La didascalia della foto molto semplicemente recitava: “Bob Marley, l’artista che più di ogni altro ha influenzato la scena musicale mondiale. L’artista di cui si avverte di più, in assoluto, la mancanza”.

L’artista era morto nove anni prima, 11 Maggio 1981, in un ospedale di Miami, in Florida, vinto da un tumore che aveva iniziato a manifestarsi qualche anno prima.

In queste pagine, per ricordarlo nel quarantesimo anniversario della sua scomparsa, potrete leggere un po’ della storia della sua vita, dei suoi dischi, di cos’era il reggae in quegli anni, della cultura Rastafari; aneddoti e storie, che ancora oggi, ricordano l’immagine di questo piccolo grande uomo, con i suoi dreadlocks raggianti, che cantava canzoni di lotta, di libertà, di sofferenza, di gioia, di amore, di vita.

Ancora oggi un riferimento musicale, politico, culturale, sociale, le cui canzoni hanno recitato un messaggio appassionato di giustizia universale; e ancora oggi, dopo 40 anni, “L’artista di cui si avverte di più, in assoluto, la mancanza”.

Un pensiero e un grazie a tutti coloro, “freedom fighters”, che lottano ogni giorno in ogni angolo del pianeta per una causa di libertà, di pace e di giustizia; perchè il reggae che “leggerete” nelle pagine seguenti, musicalmente parlando, è anche questo!


Rise up fallen fighters Alzatevi combattenti caduti
Rise and take your stance again Alzatevi e riprendete la vostra posizione
‘Tis he who fights and run away È lui che combatte e fugge
Live to fight another day Vive per combattere un altro giorno

(The Heaten – LP Exodus 1977)

 

Questo scritto è dedicato alla memoria di Alessio e Luca, entrambi “malati” di Roots Reggae,

entrambi non più tra noi.

Buona lettura a tutte e a tutti,

1) JAMAICA, AFRICA, MUSICA

La storia di questa piccola isola situata nel mezzo dei Caraibi è indissolubilmente legata all’Africa.

Sono le vicende storiche, economiche, politiche a determinare questo legame, da quando Cristoforo Colombo toccò il suolo jamaicano nel 1494 e solamente dopo 15 anni, nel 1509, arrivarono sull’isola i primi colonizzatori dalla Spagna; poi nel 1517 arriveranno dalle coste africane occidentali le prime navi cariche di schiavi. E da lì la storia dell’isola cambierà totalmente, per sempre.

I nativi indigeni si chiamavano Arawak, pacifici contadini dediti alla coltivazione del cotone e della manioca. Ma quando arriveranno i colonizzatori spagnoli conosceranno la violenza, i maltrattamenti, e non in ultimo le malattie (per loro spesso mortali) portate dai colonizzatori spagnoli. E a quel punto per sopperire il declino della manodopera locale serviranno gli schiavi …. Da quel momento cambierà per sempre anche la storia dell’Africa e del popolo nero, da un punto di vista culturale, sociale, politico, fino ai giorni nostri.

E purtroppo nell’immaginario collettivo la percezione dell’Africa e dei suoi figli avrà un’impronta prevalentemente negativa, ancora oggi.

Dopo i colonizzatori spagnoli nel 1655 arriveranno quelli britannici, che qualche decennio dopo dovranno fare i conti con i maroons, ossia quegli schiavi fuggiaschi rifugiatisi sulle colline jamaicane che terranno in scacco, attuando una specie di guerriglia “rurale” per decine e decine di anni, i soldati inglesi.

Gli schiavi erano necessari per il lavoro nelle piantagioni di canna da zucchero; piantagioni che resero l’isola, soprattutto nel diciottesimo secolo, la colonia più redditizia dell’impero britannico, a scapito però dell’enorme sacrificio di vite umane, quelle degli schiavi.

Da una parte c’era una ristretta élite (di nazionalità britannica) che si arricchiva, e dall’altra parte un’enorme massa di persone, ridotte in schiavitù, sfruttate fino alla morte.

Si calcola che in Jamaica, nell’arco di 150 anni, arrivarono circa 5 milioni di africani, tradotti nell’isola in schiavitù, e di questi ne sopravvissero circa 250.000 alle malattie, allo sfruttamento del lavoro, alla vita vissuta in condizioni letteralmente disumane.

Per sopravvivere e resistere a tutto ciò gli schiavi cercavano di tener vivo il legame con le proprie origini, con la loro terra natia. Soprattutto nelle serate, dopo le lunghe giornate lavorative, attraverso canti e danze accompagnate dai suoni dei tamburi (ed usando un idioma linguistico sconosciuto al “padrone” bianco) tenevano vivo questo legame, rifacendosi alle loro credenze spirituali e religiose…. ecco la musica antenata del reggae.

Nel ventesimo secolo, dopo oltre 400 anni, i loro discendenti, attraverso il reggae, canteranno e ricorderanno al mondo la loro storia, la loro sofferenza, la loro sete di giustizia, rivendicando le proprie origini culturali e spirituali legate a “Mother Africa”; il rastafarianesimo sarà alla base di tutto ciò.

2) RASTA – IL MOVIMENTO SPIRITUALE E LE SUE RADICI

Tratto da: Rasta Marley le radici del reggae – Lorenzo Mazzoni – Stampa alternativa Viterbo 2009

Da dove viene il termine Rastafar-I ? Chi sono i fondatori di questo movimento culturale, i precursori di questa filosofia di vita ? Quali gli ideali e i testi di riferimento ?

Il 23 luglio 1892 nasce in Etiopia, presso Ejersa Gora, Tafari Makonnen, destinato a diventare Imperatore d’Etiopia, nel 1930 con il nome di Hailè Selassiè.

Secondo la tradizione, è il duecentoventicinquesimo discendente del biblico Re di Israele Salomone, e di Makeda, Regina di Saba, ovvero dell’Etiopia antica.

Per i Rastafari rappresenta il ritorno di Gesù Cristo in veste regale, come predetto nella Bibbia. Una ventina d’anni dopo, tra il 1913 ed il 1917, Robert Athlyi Rogers dell’isola di Anguilla redige la Holy Piby, uno dei testi fondamentali del Tafarismo, assieme al Kebra Nagast, scritto in ge’ez, antico idioma etiope, e tradotto in inglese solo nel 1922 da Sir E. A. Wallis Budge. La dottrina tramandata in questi testi inizia ad essere diffusa illegalmente sulle montagne jamaicane, specialmente grazie alla predicazione del reverendo Charles Goodrige.

Nel 1895 il guaritore Alexander Bedward fonda in Jamaica la Baptist Free Church, e inizia a predicare l’avvicinamento del giorno della redenzione del popolo nero, assieme all’avvento del Dio d’Etiopia.

Nel 1896 la guerriglia abissina respinge l’esercito italiano ad Adua […]; una vittoria simbolo dell’opposizione allo sfruttamento occidentale. L’Etiopia è l’unico Stato africanosopravvissuto alle conquiste coloniali; si affermano i concetti di Etiopianismo e Panafricanismo.

Il 17 agosto 1887 nasce in Jamaica, nei pressi di St. Ann’s Bay, Marcus Mosiah Garvey, futuro leader del movimento di Emancipazione Nera (Unia). Per i Rastafari incarna il profeta Giovanni, poiché predice l’imminente ritorno del Cristo sulla terra, e la sua incoronazione come Re d’Etiopia. Dopo un periodo di studi negli Stati Uniti, Garvey torna in Jamaica nel 1914 per fondare l’Unia (Universal Negro Improvement Association), prima associazione internazionale per il progresso e la coesione di tutti i neri del mondo, che rapidamente raggiunge cinque milioni di iscritti in quarantatre Paesi.

I suoi messaggi sono diffusi attraverso il giornale “Negro World”, scritto in modo semplice per facilitarne la comprensione anche ai meno istruiti, con lo scopo di risvegliare l’orgoglio di razza nelle masse di ex schiavi, e l’aspirazione ad un’Africa unita, indipendente, e soprattutto “Agli Africani! ”, simboleggiata dall’Etiopia.

Tafari, che in questi anni riceverà il titolo di Principe (Ras), […] promulga nel 1923 una legge contro la schiavitù e ventisei milioni di etiopi smettono di essere proprietà dei nobili per divenire liberi cittadini. Nello stesso anno visita l’Europa, e l’Etiopia è ammessa nella Società delle Nazioni Unite.

A Garvey, che nel 1926 si è nuovamente trasferito negli Usa per evitare le autorità inglesi in Jamaica e poter così organizzare la Black Star Line (prima compagnia navale costituita specificamente per il “ritorno in patria”), è attribuita la profezia secondo la quale “un Re nero verrà incoronato in Africa, poiché il giorno della liberazione è vicino”.

Il fondatore dell’Unia si impegna a istituzionalizzare una nuova dottrina civile nera, volta, secondo le sue stesse parole, a “stabilire una confraternita della razza, una nazione di riferimento, proteggere tutti i neri, promuovere uno scrupoloso credo spirituale tra le tribù native dell’Africa”, e a sistemare il materiale religioso di riferimento, scrivendo le Lesson Guides per la Scuola di filosofia Africana, e contribuendo a creare un’istituzione religiosa autonoma, la African Orthodox Church: la sua azione viene però bloccata dal governo americano, che lo accusa ingiustificatamente di frode imprigionandolo in Georgia e quindi costringendolo a tornare in Jamaica.

Nel 1930 […] alla morte dell’Imperatrice Zoeditù, Ras Tafari Makonnen è incoronato Negus Negesti (“Re dei Re”) di Etiopia col nome di Hailè Selassiè I e col titolo di “Leone Conquistatore della Tribù di Giuda, Potere della Santa Trinità, Signore dei Signori, Eletto da Dio Re dei Re d’Etiopia”.

Grazie a Sua Altezza Imperiale il Negus, nascerà nei Caraibi il culto Rastafari, i cui fondamenti sono di ispirazione mista, con basi ideologiche legate all’UNIA, alla Chiesa Ortodossa Etiope e alla Chiesa Battista, a culti e tradizioni africani, alla storia della schiavitù, e altro ancora. Nello stesso anno i quattro grandi predicatori etiopisti Joseph Nathaniel Hibbert, Henry Archibald Dunkley, Robert Hinds e Leonard Percival Howell iniziano, indipendentemente l’uno dall’altro, ad affermare che nella persona di Ras Tafari è ritornato il vero Messia.

Le truppe italiane invadono nel 1935 l’Etiopia (colonia da affiancare all’Eritrea e alla Somalia Italiana) iniziando la barbarica occupazione fascista: in seguito a questo evento Howell fonda, sui monti jamaicani di Pinnacle, presso Kingston, la prima comunità propriamente Rastafari, chiamata Ethiopian Salvation Society, col fine di soccorrere la resistenza antifascista etiope. Howell, già imputato di insubordinazione al governo coloniale, è appena uscito dal carcere; la comunità viene realizzata grazie ai fondi ricavati dalla stampa e vendita di oltre cinquemila copie di fotografie rappresentanti Selassiè I, una propaganda che costerà in seguito al predicatore, condannato per sedizione, altri anni di lavori forzati. Gli adepti (oltre mille seicento) seguono le regole tracciate dal leader sull’ispirazione della dottrina del Vecchio Testamento. Le regole prevedono di non alterare la propria fisionomia, e di lasciarsi crescere i capelli in ciocche leonine poi dette dreadlocks (da dread, “spavento”, “spaventoso”, e lock, “treccia”), acconciatura ispirata ai guerriglieri Mau Mau del Land and Freedom Army, in Kenya; e prevedono inoltre la meditazione legata all’uso della “ganja” (the Wisdom Weed, “erba della saggezza”, chiamata così perché cresciuta sulla tomba del Re Salomone detto il Saggio), e l’astinenza da carne, alcool e qualsiasi sostanza o azione non I-tal (ossia pura e vitale).

Nel 1935 Garvey si trasferisce dalla Jamaica a Londra, ove morirà cinque anni dopo, per proseguire la sua attività di propaganda, mentre dal 1937 si insedia a New York la Federazione Mondiale Etiope (Ewf), nata con lo scopo di raccogliere aiuti internazionali per la lotta di Selassiè contro Mussolini, e impegnata a diffondere numerosi giornali panafricanisti, specialmente in area caraibica.

Nonostante gli impegni dell’Unia e della Ewf, un secolo dopo l’emancipazione dalla schiavitù, la paga giornaliera dei neri per il lavoro nelle piantagioni corrisponde in Jamaica alla stessa cifra pagata nel 1838: appena uno scellino. I neri sono privi anche della possibilità di votare. Tutto questo, insieme all’assenza di acqua corrente, spingerà molti degli abitanti dei ghetti ad autodefinirsi sufferah (suffereres, sofferenti ndr), ovvero persone sotto il livello minimo di sostentamento. Nel medesimo anno è inoltre sancita sull’isola (come in molti altri Paesi) l’illegalità di detenzione di ganja, per il cui uso è prevista l’incarcerazione; inoltre, grazie a leggi di eredità schiavista, la pena per chi porta i dreadlocks va fino a diciotto mesi di carcere.

Nel 1941 […] in Jamaica la polizia distrugge la comunità di Pinnacle, rinchiudendo il leader Howell in manicomio praticamente fino alla morte. Chi riesce a sfuggire all’arresto si rifugia presso Shanty Town, il ghetto di emarginati di Kingston (noto anche come Black-O-Wall).

Nel 1958 viene organizzata presso Shanty Town dal predicatore jamaicano Prince Emanuel la Rastafarian Universal Convention. Il raduno, definito l’evento più sconvolgente dell’isola dai tempi del terremoto del 1692, viene detto Nyabingi, nome tratto dal valoroso movimento guerrigliero anticoloniale dell’Uganda.

Da allora sono chiamati così tutti i raduni in cui i confratelli Rasta praticano meditazioni collettive al ritmo dei tamburi Burru, pregano e discutono anche per giorni interi. Agli slums di Kingston si avvicina anche il percussionista Tafari più popolare dell’isola, Count Ossie, proprio per predicare il messaggio di Jah (Dio) e tenere lezioni pubbliche di musica. Il suo genio artistico contribuirà alla nascita di molte delle avanguardie musicali successive, tra cui il genere Reggae, legato al Tafarismo e alla protesta politica.

Il 1958 per i popoli caraibici è anche l’anno di maggiore emigrazione, sia verso gli Usa o l’Inghilterra sia, più raramente, verso l’Africa. Il Nyabingi di Prince Emanuel nel 1961 presenta al primo ministro jamaicano Norman Manley una raccolta di richieste da parte dei Rasta, tra le quali l’organizzazione di viaggi di “rimpatrio” in Africa, la cessazione delle persecuzioni della polizia, la libertà di espressione, la costruzione di case a basso costo con acqua, luce e fognature, nonché di strutture pubbliche per la sanità e l’educazione.

Nonostante la civiltà e la reiterazione di queste proposte, esse verranno sempre ignorate dal governo locale. Contemporaneamente iniziano a nascere anche nel “regno di Babilonia” (ovvero nell’Occidente di Usa ed Europa, Babilonia citata nella bibbia si rifà al concetto di malvagia civiltà NDR ) alcune comunità militanti Rastafari. Nello stesso anno il quartiere di Black-O-Wall, sede della comunità Rasta più numerosa della Jamaica, è raso al suolo dai bulldozer della polizia, e nelle vicinanze nasce un’immensa bidonville.

Il 21 aprile 1966 Hailè Selassiè I visita la Jamaica accolto da una folla esultante di oltre centomila persone, incontrando personalmente il leader spirituale Prince Emanuel, rappresentante dei Rastafari e dei Nyabingi jamaicani, nonché un giovane Rasta, Mortimer Planno, guida spirituale di Marley. Da allora il numero di adepti Tafari sull’isola sarà sempre crescente, raggiungendo in pochi anni il 60% della popolazione maschile adulta. La presa di coscienza di massa dei jamaicani è incoraggiata anche dall’azione politica del leader socialista e professore di storia Walter Rodney, autore del libro “How Europe undervelopped Africa” (come l’Europa ha sottosviluppato l’Africa).

Pochi anni dopo, nel 1974, in Etiopia l’esercito attua un colpo di stato. Confinato nel Palazzo del Giubileo dalle continue rivolte militari il Negus passa a miglior vita nel 1975 all’età di ottantadue anni. Per i Rasta, che non credono nella morte, nulla cambia.

L’evento è considerato una semplice trasformazione: Jah fatto Uomo ritorna Spirito per essere ancora più presente in mezzo al suo popolo.

Negli stessi mesi, mentre gli Stati Uniti appoggiano il Sudafrica nell’invasione dell’Angola, si installa in Jamaica l’Ethiopian Zion Coptic Church, un’associazione capitalista e reazionaria formata dai maggiori proprietari terrieri dell’isola, finanziata dalla Cia ma camuffata da gruppo militante Rasta.

[…] Dagli anni Ottanta ad oggi si delineano in Jamaica due tendenze fondamentali del movimento Rasta: quella prettamente spirituale dell’ordine Bobo Ashanti, volta all’edificazione di una Chiesa Tafari, di comunità ortodosse e Nyabingi sulle montagne;quella più politica, in lotta con le strutture socioeconomiche assolutiste del Babylon shit-stem (system NDR), rappresentata dal Rastafari Movement Association.

È il periodo in cui il movimento Rasta, sopravvissuto a oltre cinquant’anni di intolleranza religiosa e sociale, con discriminazioni e vessazioni di ogni tipo, inizia a storicizzarsi, dimostrando di essere un fenomeno socioculturale rilevante a livello mondiale.

3) MARLEY: 1945 – 1981

LA SUA MUSICA

Bob Marley nasce il 6 Febbraio del 1945 in un piccolo villaggio rurale chiamato Nine Mile, immerso nelle verde e lussureggianti colline ad un ora di macchina dal paese di St. Ann Bay, sulla costa settentrionale della Jamaica.

Un villaggio rurale, come tanti, i cui terreni coltivati una volta appartenevano agli stessi proprietari delle piantagioni di canna da zucchero presenti lungo la costa, che ad un certo punto avevano consentito agli schiavi di dedicarsi alla loro coltivazione, in quelle regioni montuose prive dei grandi interessi economici che invece la canna da zucchero procurava lungo la costa.

Ovviamente i proprietari terrieri erano di pelle bianca; gli schiavi invece erano tutti di colore, tutti originari del continente africano.

La madre di Bob, originaria di Nine Mile, era di pelle nera, mentre il padre, bianco, era un capitano dell’esercito britannico che ricopriva il ruolo di funzionario dell’amministrazione locale, dato che ai quei tempi l’isola era una colonia inglese.

Il padre sarà totalmente assente nell’infanzia di Bob, al contrario del nonno materno, Omeriah Malcom, persona molto stimata e conosciuta nel villaggio di Nine Mile. Sarà lui ad occuparsi di Bob quando qualche anno dopo la madre si trasferì in capitale a Kingston presso un parente per lavorare. Nel frattempo nei primi anni di scuola Bob conosce, diventandone subito amico, Bunny Wailer con il quale poi contribuirà a dar vita ai Wailers negli anni ‘60.

Successivamente raggiunge la madre a Kingston, abitando a Trench Town, uno dei ghetti più popolosi della capitale. E’ qui che il ragazzino Bob crescerà, in un ambiente certo molto diverso dalla quiete e dalla tranquillità tipica di un villaggio sperduto nelle colline jamaicane ….

E qui, negli anni seguenti avrà i primi contatti con la musica, con quelle serate musicali che ogni tanto venivano organizzate nei dintorni di Trench Town, dove i variSound System intrattenevano in grandi spazi all’aperto le numerose persone che accorrevano per ballare, per conoscere altri coetanei, per sfoggiare i loro migliori abiti e per ascoltare il rhythm ‘n’ blues che in quel periodo arrivava dagli Stati Uniti.

II Sound System é una sorta di discoteca ambulante, provvista di giradischi, microfono, amplificatori e casse con le quali già dai primi anni 50 si organizzavano nei quartieri di Kingston serate danzanti molto coinvolgenti per il pubblico, arrivando a vere e proprie “battaglie” musicali tra i vari Sound System; vinceva chi riusciva ad eccitare e a scaldare di più il pubblico presente.

Indubbiamente il Sound System è stato ed è tuttora un elemento fondamentale della cultura musicale jamaicana, sia in patria che all’estero, a New York come a Londra dove già allora era presente una forte comunità di immigrati jamaicani.

Oltre alla musica Bob conosce anche la durezza della vita quale può essere quella nel ghetto di Trench Town, ma incontrerà anche tanta solidarietà e senso di comunità tra gli abitanti del ghetto. Una vita dura, dove per sbarcare il lunario ci si inventa o ci si adatta ai lavori più informali; inoltre l’istruzione scolastica non è certo efficiente come quella delle scuole più famose o private presenti nelle zone più agiate della capitale. Il divario di opportunità riservate alla maggioranza della popolazione, di pelle nera, rispetto a quell’esigua minoranza di pelle bianca è impressionante, essendo l’isola ancora una colonia inglese.

E’ usuale incontrare a Trench Town la figura del Rude Boy, assimilabile a quella di un “capetto” di una gang di strada …. Marley si confronterà più volte con questi personaggi,

inoltre avendo un padre dalla pelle bianca dovrà subire più volte offese e soverchierie da parte di questi personaggi; gli stessi che poi si “incontreranno” nei soggetti delle canzoni dei Wailers.

Al termine degli studi, inizia a lavorare come saldatore in una officina, ma è la musica la sua attrazione principale e il suo sogno è quello di poter diventare un giorno un cantante. Oltretutto si ritrova spesso con l’amico Bunny Wailer, nel cortile di casa, ad improvvisare canzoni e a suonare musica con grezzi strumenti praticamente costruiti in casa.

A breve avrà luogo anche l’incontro con un altro ragazzo di Trench Town, un certo Winston Hubert McIntosh, aka Peter Tosh.

Nell’approccio al mondo musicale é fondamentale l’incontro di Marley con un artista già affermato nell’isola, Joe Higgs, il quale, consapevole dell’importanza educativa e sociale che poteva avere la musica nei giovani abitanti del ghetto di Trench Town (dove abitavano la maggior parte dei “futuri” artisti reggae) era solito intrattenersi con loro insegnando le tecniche musicali, armoniche e l’utilizzo della voce per poter comporre delle canzoni.

Insomma, una piccola scuola informale di musica nel proprio cortile di casa, tanto che a Joe Higgs gli sarà affibbiato il soprannome di “Father of Reggae Music”.

3.1) Le prime canzoni prodotte da Leslie Kong

Le prime “tracce” musicali di Marley risalgono agli inizi del 1962 con la pubblicazione di due singoli, Judge not (lato b – Do you still love me ?) e One cup of coffee (lato b -Terror), tra il mese di Febbraio e Aprile di quell’anno.

Brani entrambi prodotti da Leslie Kong (uno dei principali produttori diallora, fondatore della etichetta Beverley’s che avrebbe poi pubblicato artisti del calibro di Jimmy Cliff, Desmond Dekker e i Maytals) registrati presso l’unico studio di registrazione attivo sull’isola ai quei tempi, i Federal Studios di Kingston.

Questo studio ha visto, nella sua storia, tutta l’evoluzione della musica jamaicana, dal mento al calypso, dallo ska al rocksteady …. il reggae sarebbe arrivato dopo.

E’ pensiero diffuso che il suo fondatore, Ken Khouri possa essere considerato il “pioniere” per eccellenza della musica jamaicana; le prime registrazioni di band locali sono risalenti al 1947 dove si utilizzarono i primi macchinari di registrazione mai apparsi sull’isola, acquistati poco prima in Florida da Khouri in occasione di un suo viaggio negli States.

Senza di lui, senza la sua lungimiranza ed il suo costante impegno l’industria musicale jamaicana non sarebbe diventata quella che è oggigiorno.

Successivamente, a partire dall’estate del 1964, per Marley iniziarono le pubblicazioni delle varie canzoni con il nome “The Wailers”, il cui originario quintetto era composto da Bob Marley, Peter Tosh, Bunny Wailer, Junior Braithwaite e Beverley Kelso.

3.2) Il periodo di Studio One

Sarà poi Joe Higgs a presentare i giovani Wailers al produttore musicale Clement Coxsone” Dodd, fondatore del mitico Studio One, e proprietario del “Downbeat Sound System”.

Spesso nelle serate dei Sound System venivano presentati in anteprima anche i nuovi 45 giri, visto che come nel caso di Clement Dodd il proprietario di un Sound System era proprietario anche di un’etichetta musicale.

Ciò accade anche per alcune canzoni dei Wailers; indubbiamente, per un artista, questo era un modo per farsi conoscere sempre più al pubblico che accorreva numeroso alle serate promosse dai Sound System.

Rispettando il copione, molto diffuso allora nell’ambiente musicale di Kingston, anche Marley si ritrova nelle “solite” storie di diritti mai pagati, canzoni pubblicate o ripubblicate successivamente con altre etichette senza vedersi riconosciuti i diritti d’autore, addirittura diritti d’autore inesistenti nel senso che l’artista veniva pagato dal produttore qualche manciata di dollari jamaicani al momento dell’incisione della canzone, e poi …. nient’altro.

Nel 1965 Studio One pubblica il primo album, semplicemente intitolato The Wailing Wailers, continuando poi a stampare in quegli anni un numero imprecisato di 45 giri che presentano nuove canzoni, alternate a “cover” di vecchi hit degli anni ‘50 di R&B americano.

Non dimentichiamo che il principale veicolo di diffusione della musica nell’isola era la radio, e, dato che si captavano benissimo le modulazioni di frequenza delle stazioni radio della Florida, era quella la musica che in quegli anni i jamaicani ascoltavano.

Molti di quei 45 giri li ritroviamo oggi su varie compilation pubblicate in CD (in particolare dall’etichetta americana Heartbeat) negli anni 90 e primi anni 2000, altre saranno riprese dallo stesso Marley negli album più famosi, quelli pubblicati dall’etichetta ISLAND negli anni 70; basti pensare a One Love (brano contenente alcune parti della canzone People get ready di Curtis Mayfield di cui Marley era un gran estimatore) incisa dai Wailers nel luglio 1965 con forti arrangiamenti ska, e ripubblicata nel 1977 nell’album Exodus, questa volta in “versione” reggae, diventato nel tempo uno dei brani più famosi dell’artista jamaicano.

All’inizio del 1966 Junior Braithwaite e Beverley Kelso lasceranno il gruppo, e nel frattempo in qualche nuovo brano inciso dai Wailers, come corista, fa la sua apparizione Rita Anderson (che poi a breve diventerà la moglie di Bob) la quale aveva già un suo gruppo chiamato The Soulettes. Rita era una cantante “fissa” presso Studio One, nel senso che cantava e collaborava con altri artisti per incidere un brano piuttosto che un altro. Così come erano presenti a Studio One il fior fiore di musicisti jamaicani (basso, chitarra, batteria, fiati, ecc …) che facevano da “backing band” ai vari cantanti, o aspiranti tali che ogni giorno si recavano a Studio One con la speranza di riuscire ad incidere una canzone sotto la produzione di Clement Dodd.

3.3) …. dopo Studio One

Alla fine del 1966 i Wailers interromperanno la “collaborazione” con Clement Dodd e con Studio One (ovviamente per disaccordi su soldi, compensi, ecc …) e proveranno ad auto-prodursi, pubblicando un primo 45 giri con la loro personale etichetta, Wail ‘N Soul ‘M all’insegna del rock-steady, genere successivo allo ska, caratterizzato da una ritmica più lenta rispetto a quest’ultimo.

La nascita di questa piccola etichetta avvenne grazie ai soldi che Marley riuscì a risparmiare durante il suo breve soggiorno nel Delaware, quando nel febbraio del 1966 il cantante raggiunse la madre, già emigrata negli Stati Uniti qualche anno prima.

Lì Marley sbarcò il lunario lavorando in un hotel e negli stabilimenti della Chrysler; il soggiorno negli Stati Uniti fu comunque molto breve, 8 mesi, trascorsi i quali Marley tornò in Jamaica anche per evitare di essere arruolato nell’esercito americano.

Il loro primo brano autoprodotto, Bend Down Low diventerà il loro maggior successo,raggiungendo una forte popolarità nell’isola. Alcuni brani successivi saranno pubblicaticome Bob Marley and the Wailing Wailers. Si tratta di una produzione di brani molto prolifica, che vede Marley alternarsi a Peter Tosh e a Bunny Wailer nella scrittura delle singole canzoni.

Alcuni di questi brani saranno ripubblicati negli anni 70 anche da Tosh e Wailer quando i due, dopo lo scioglimento dei Wailers, intraprenderanno ognuno la propria strada “solista”.

E’ giusto ricordare, a questo proposito, i primi album di Peter Tosh Legalize it e di Bunny Wailer Blackheart Man; entrambi due pietre miliari del roots reggae, genere specifico di reggae che caratterizzerà la seconda metà degli anni 70, e che rimarrà nella storia come il periodo d’oro del reggae “militante”, che vede la musica mescolarsi alla forte spiritualità rastafari e alla protesta politica.

Verso la fine degli anni 60 le cose per il trio jamaicano iniziano a prendere una buona piega; fondamentale in questo senso è l’incontro con il cantante statunitense Johnny Nash, nel 1968 a Kingston, e a seguire quello con il suo produttore discografico Danny Sims, proprietario dell’ etichetta JAD Records. Fino al 1972 questa etichetta si occuperà della distribuzione fuori dalla Jamaica delle canzoni dei Wailers (gestendone i diritti), e nel frattempo Danny Sims riconoscerà una sorta di “stipendio” settimanale a Marley una volta che Johnny Nash inizierà a cantare delle “cover” di Marley.

A questo proposito il cantante statunitense interpreterà con successo la canzone Stir it up, la quale apparirà nel primo album dei Wailers targato Island Record intitolato Catch a Fire (anno 1973) e successivamente sarà inclusa nel disco live del 1978 Babylon By Bus, l’ultimo live pubblicato in vita da Marley dopo lo splendido e storico Live del 1975 registrato al London Lyceum.

Intanto nella vita di Marley avviene un’altra cosa fondamentale, che plasmerà il suo futuro di uomo e di artista: l’incontro con un certo Mortimer Planno, anche lui abitante nel ghetto di Trench Town.

Costui era ed è considerato tuttora (a quattordici anni dalla sua morte avvenuta nel 2006) come uno dei personaggi più profondi e spirituali del movimento rastafariano, un vero e proprio “filosofo” di quel movimento ideologico internazionale legato alla questione della diaspora del popolo nero, avvenuta in seguito alla schiavitù e al colonialismo nel corso dei secoli, che professa il “ritorno” alla propria terra natia, ossia l’Africa.

Un simbolo forte, quello di “Mother Africa”, simbolo di unione e di legame con le proprie radici per tutti i discendenti degli africani tradotti in schiavitù nei possedimenti coloniali delle grandi potenze europee sul territorio americano (come era allora la Jamaica, che fu prima colonia spagnola e poi britannica) e il Roots Reggae degli anni 70 tradurrà in musica questa “visione”.

Planno fu un vero e proprio “insegnante” dei dettami del rastafarianesimo per Bob Marley e musicalmente parlando ciò influirà sul futuro artistico dei Wailers, con la composizione di brani sempre più ricchi di riferimenti culturali, spirituali e sociali della popolazione nera, in particolare modo degli abitanti del ghetto; canzoni che parlano della povera gente, che denunciano le misere condizioni di vita, le ingiustizie subite, ma anche la voglia di lottare per ottenere diritti e dignità.

Tematiche queste diventate nel tempo “universali”, che nel reggae hanno una loro “specificità” unica.

3.4) Leslie Kong (… nuovamente)

e le produzioni di Lee Perry

Nel maggio del 1970 (anche se sarà distribuito l’anno seguente) vede la luce un nuovo album dei Wailers, prodotto da Leslie Kong (lo stesso che aveva prodotto 8 anni prima i primi 45 giri di Marley) dal titolo “The best of The Wailers”; anche se il titolo dell’album può confondere non è una compilation, ma é il produttore, contrariamente alla volontà degli artisti, a volerlo intitolare così.

L’anno seguente, anche in seguito all’improvvisa scomparsa di Leslie Kong, inizia una collaborazione tanto proficua (musicalmente parlando) quanto “burrascosa” (per le solite beghe di soldi, diritti non pagati, ecc ..) con Lee “Scratch” Perry, già ingegnere del suono presso Studio One (oltre ad essere cantante e musicista), che produrrà i Wailers per un paio d’anni.

Si tratta di una collaborazione proficua sia perché videro la luce una dozzina di canzoni che contribuirono ad accrescere notevolmente la fama dei Wailers nell’isola, sia perché i vari brani furono suonati dalla band utilizzata solitamente da Lee Perry, denominata Upsetters, composta da “egregi” musicisti che vedeva alla sezione ritmica i fratelli Barrett, Carlton alla batteria e Aston al basso. Già allora considerata la sezione ritmica più forte dell’isola, i due fratelli saranno l’ossatura principale della futura band che accompagnerà Bob Marley nella sua carriera solista, dal 1974 in poi.

A tale proposito, Aston Barrett in una intervista, disse : << … i Wailers erano il miglior gruppo vocale in circolazione, e noi eravamo la migliore backing band in circolazione, così decidemmo di metterci insieme ….>>

Carlton, il batterista, è scomparso per morte violenta (ucciso da arma da fuoco) sei anni dopo Marley, invece il fratello Aston oltre a continuare l’esperienza “Wailers Band” (dopo la morte di Bob) ha suonato, arrangiato e prodotto vari dischi della scena musicale jamaicana.

3.5) I dischi con Trojan Records

Come si diceva la collaborazione con Lee Perry fu, oltre che proficua anche burrascosa.

Infatti gli accordi iniziali di dividersi a metà gli eventuali proventi derivanti dalle canzoni pubblicate non furono rispettati dal produttore; anzi accadde che ad un certo punto lo stesso vendette, all’insaputa dei Wailers, diverse loro canzoni all’etichetta inglese Trojan Records, (etichetta che ha pubblicato su vinile una buona parte della storia del reggae anni 60 -70, dello ska, del rock-steady), riferimento in Inghilterra degli ascoltatori bianchi di musica ska, gli skin-head.

Questi ultimi facevano parte di quel movimento culturale inglese di fine anni ‘60 i cui componenti erano prevalentemente giovani della classe proletaria inglese, che vestivano in un certo modo e che ascoltavano la musica jamaicana, interagendo positivamente con i giovani immigrati delle isole caraibiche presenti a Londra, i cosiddetti Rude Boy.

Quando i Wailers erano venuti a conoscenza del fatto, Bunny Wailer ricorda che Lee Perry aveva comunicato che non avrebbe diviso con loro l’anticipo dei soldi avuto dall’etichetta Trojan, ma che gli avrebbe solamente riconosciuto i diritti d’autore.

Questa etichetta ha stampato su vinile una quantità notevole di musica jamaicana, grazie anche ai vari accordi stipulati con le numerosissime etichette di Kingston che negli anni 60 riempivano i negozi di dischi della capitale. E nel tempo avrà un catalogo di album di tutto rispetto, con grandi nomi della musica jamaicana.

Ecco dunque uscire nell’arco di tre anni i seguenti album (importanti a loro modo per iniziare a far conoscere i Wailers sul mercato inglese):

  • Soul Rebels
  • Soul Revolution
  • Solu Revolution part 2
  • African Herbsman
  • Rasta Revolution

Gli ultimi due album furono pubblicati in Inghilterra dopo l’uscita del primo album targato Island Record. In essi compaiono diverse canzoni che erano state pubblicate in Jamaica come 45 giri e successivamente ricomparse sul mercato discografico in differenti “versioni” perché incise nuovamente con un altro produttore, o perché rimixate in studio, o per altri aneddoti sconosciuti … fuori dalla Jamaica.

Una vera chicca, in questo senso, è un boxset composto da 6 cd, che Trojan ha pubblicato nell’anno 2000 intitolandolo The complete Upsetter Collection, contenente ben centodieci tracce (riferito appunto al periodo molto creativo con Lee Perry e la band The Upsetter) dove sono presenti numerose versioni “alternative”, “instrumentals”, “dub-version”.

Oltretutto non era raro nel panorama discografico jamaicano di allora, trovare un produttore, come Clement Dood, proprietario degli studi di registrazione, che incideva brani di un determinato artista (come nel caso dei Wailers) sulla sua etichetta personale (Studio One) e contemporaneamente ne registrava degli altri, dandoli poi in licenza ad altre etichette.

Per cui sul mercato discografico tra Jad Records, Beverley, Studio One, Trojan, e tante altre etichette sussidiarie si può tranquillamente affermare che nel tempo sono uscite decine e decine di dischi dei Wailers relativi al periodo anni ‘60 – primissimi ‘70.

3.6) Island Records, i primi album

Nell’intricato panorama discografico di allora, ecco che nel 1972 Danny Sims, proprietario della JAD Records che quattro anni prima aveva raggiunto un accordo con i Wailers per la distribuzione delle loro canzoni fuori dall’isola, si accorda con un certo Chris Blackwell, un ricco anglo-jamaicano che aveva fondato a fine anni ‘50 una etichetta discografica, chiamata Island Records (che diventerà nel tempo una delle più famose a livello internazionale con Marley, Traffic, U2, Cat Stevens, Tom Waits, e altri ….), e gli vende il “contratto” che la JAD Records aveva con i Wailers. L’anno precedente (1971) Danny Sims riesce a portare per la prima volta in Inghilterra i tre artisti facendoli esibire in piccoli concerti presso club e scuole come “spalla” al cantante Johnny Nash.

Da quel momento, con la figura di Chris Blackwell e con l’etichetta ISLAND, inizia tutta un’altra storia, che come tutte le “storie jamaicane” che si rispettano sono piene di luci  e ombre, accordi e disaccordi tra produttori, artisti, manager; storie che hanno avuto ripercussioni legali fino ai giorni nostri, o meglio fino al decennio scorso.

Infatti si sono sovrapposte battaglie legali (leggi soldi ….), sentenze di tribunale e quant’altro per i diritti delle prime canzoni dei Wailers e di alcuni album di Marley del periodo Island, che ha visto UMG – Universal Music Group – (nuova proprietaria della Island Records) contro gli eredi della famiglia Marley; un altro contenzioso tra questi ultimi e il bassista Aston Barrett (sempre per il riconoscimento dei diritti d’autore di canzoni cantate da Bob Marley), ed un altro contenzioso tra Bunny Wailer e la Island Records e gli eredi della famiglia Marley sempre per questioni di diritti d’autore non riconsciuti, legati anche al periodo della nuova etichetta che i tre Wailers avevano fondato nel 1971, per essere completamente autonomi da Lee Perry, chiamata Tuff Gong, succeduta alla precedente Wail ‘N Soul ‘M; il nome Tuff Gong altro non era che il soprannome di Marley tra gli abitanti di Trench Town.

Chris Blackwell, è giusto riconoscerlo, con la sua etichetta ha notevolmente contribuito a diffondere il reggae a livello internazionale, mettendo sotto contratto nella seconda metà degli anni 70 diversi nomi della scena reggae jamaicana (Third World, Inner Circle, Burning Spear, Toots & The Maytals) e di quella inglese (Aswad, Linton Kwesi Johnson, Steel Pulse).

Forse, senza Blackwell, Marley non sarebbe riuscito a diventare quello che è diventato; ma è vero anche il contrario …

Un’accusa mossa spesso nei suoi confronti, è che con il reggae abbia guadagnato un sacco di soldi senza condividere i giusti proventi con gli artisti.

A memoria di ciò, in Jamaica gli avevano affibbiato un soprannome che “giocava” con il significato del suo cognome: invece di Mister Blackwell (che si può tradurre Signor nero buono) lo chiamavano Mister WhiteBad (Signor bianco cattivo).

Eccoci dunque all’anno della vera svolta, il 1973, quando Chris Blackwell con Island Records decide di “investire” sul trio jamaicano 4.000 sterline inglesi offerte al gruppo per incidere un album e fare un tour promozionale in Inghilterra; inoltre fu attuata un’operazione di marketing per far conoscere ad un pubblico prevalentemente bianco, inglese e abituato al rock l’immagine e le musiche di questi artisti “black”, dall’aria un po’ strana e un pò ribelle, che poteva in qualche modo accostarsi alla fase “hippy” propria del rock di quegli anni.

Catch a fire, così fu intitolato l’album che uscì nel mese di maggio, la cui prima edizioneper il mercato inglese aveva una copertina che ricalca la forma di un accendino zippo, succeduta poi da una seconda edizione, maggiormente distribuita, con la copertina che raffigura un primo piano di Marley con una “canna” in bocca ….

Adirittura i Wailers, accompagnati alla sezione ritmica dai fratelli Barrett e dal fidato pianista Earl Lindo sbarcano negli studi londinesi della BBC per un mini concerto televisivo (su Youtube lo trovate tranquillamente) per poi esibirsi tutto il mese in varie città inglesi; due mesi dopo, luglio 1973 l’ufficio promozione dell’Island riuscì ad organizzare una mini tourneé negli Stati Uniti, facendo esibire i Wailers in storici locali come il Paul’s Mall a Boston ed il Max’s Kansas City a New York. Al Max’s Kansas City si esibiranno, per ben sei sere, davanti a trecento spettatori dividendo il palco con un giovane artista promettente del New Jersey (così le cronache di quei giorni) dal nome di Bruce Springsteen !!!

Al loro ritorno in patria, tornano in studio di registrazione per incidere il nuovo album,Burnin’ che uscirà nel mese di Ottobre; un suono sempre molto ruvido, tematiche sociali e spirituali molto forti, oltretutto con i testi delle canzoni scritti all’interno della copertina (come sarà anche nei successivi lavori) e finalmente i primi due hit di successo internazionale: Get up Stand up e I Shoot The Sheriff, la cui cover eseguita poco dopo da Eric Clapton contribuirà ulteriormente ad accrescere la fama del gruppo tra il pubblico “bianco”, attirando sempre più l’attenzione degli addetti ai lavori, giornalisti inprimis …

Come era accaduto in estate, seguirà un mini tour statunitense nel mese di Ottobre e un tour inglese nel mese di novembre, durante il quale tuttavia furono cancellate molte serate per problemi di salute di Tosh, bufere di neve e maltempo ovunque.

Oltretutto a Bunny Wailer non piaceva andare in tour così come viaggiare in aeroplano, e Peter Tosh, visto l’affermazione della leadership di Marley aspirava sempre più ad una carriera solista. Infatti si andava sempre più delineando, all’interno del gruppo, la figura di Marley come leader assoluto, a scapito di Tosh e Wailer; e questo valeva anche per i vari giornali che recensivano i concerti del trio jamaicano. Insomma, gli occhi erano puntatisolo su di lui.… in varie locandine promozionali del tour veniva già stampato il nome Bob Marley and The Wailers.

3.7) Lo scioglimento del trio Wailers,

l’inizio della carriera solista e l’ascesa

internazionale

Alla fine del 1974 usci il nuovo album Natty Dread, primo album senza Tosh e Wailer. Per la cronaca i tre artisti si esibirono insieme per l’ultima volta nell’ottobre ‘75 a Kingston per un concerto di beneficienza insieme a Stevie Wonder.

Anche questo disco, come gli altri che lo precedettero, non ebbe un grosso successo commerciale; le voci di Tosh e Wailer in studio sono “sostituite” dai cori del trio femminile I-Threes, composto dalla moglie Rita, Judy Mowatts e Marcia Griffiths (cantanti già conosciute in Jamaica) che da lì in poi accompagneranno Bob Marley fino alla fine della carriera.

Nei mesi precedenti il concerto di Kingston, Marley fece il tour promozionale del disco negli Stati Uniti per poi esibirsi a Manchester, Birmingham e Londra dove a luglio fu registrato il primo album dal vivo, semplicemente intitolato Live (che uscirà nei negozi nel mese di dicembre); sarà poi considerato all’unanimità dalla critica come uno dei live più importanti dell’intero decennio. Nel disco è racchiusa quella atmosfera coinvolgente e trascinante che sarà poi una caratteristica fondamentale della futura dimensione “ live” dell’artista jamaicano. A dicembre del 2016 verrà pubblicata, in edizione limitata, la ristampa del Live in formato triplo vinile, contenente tutte le canzoni cantate entrambe le serate (17 e 18 Luglio 1975).

Di sicuro in quelle due sere al London Lyceum è stata scritta una pagina importante della storia della musica nera !!! E indubbiamente una canzone come No Woman No Cry, grazie alla splendida esecuzione catturata nel disco, farà definitivamente conoscere la figura di Marley tra il pubblico rock inglese e non solo; quello che mancherà sempre invece sarà la piena conquista del pubblico nero negli Stati Uniti, dove paradossalmente sarà invece molto seguito dal pubblico “bianco”.

Da lì in poi sarebbe seguita una carrellata di album, sempre pubblicati da Island Record:

  • Rastaman Vibration (1976)
  • Exodus (1977)
  • Kaya (1978)
  • Babylon By Bus (live 1978)
  • Survival (1979)
  • Uprising (1980)

Dopo la pubblicazione del disco dal vivo ovviamente c’era molta attesa per la pubblicazione di Rastaman Vibration, uscito nella primavera del ‘76. La copertina (che come tutte quelle dei seguenti album sarà curata dall’amico Neville Garrick, figura molto presente nella vita, non solo artistica di Bob, fino ai suoi ultimi giorni) presenta un Marley molto “militante”; i suoni e i testi ci danno un Marley da un lato più dolce, più riflessivo e dall’altro battagliero come al solito, soprattutto con le due canzoni che chiudono l’album, Rat Race e War.

Quest’ultima, basata sul discorso che Hailè Selassiè tenne nell’ottobre del 1963 alle Nazione Unite denunciando le troppe guerre, le discriminazioni razziali e le ingiustizie internazionali che affliggono i popoli africani sarà un classico dei suoi concerti (cantata in “medley” con il brano No More Trouble), e simboleggerà il Marley “politico” per eccellenza, diventando nel tempo un must che numerosissimi artisti riprenderanno (da Bono Vox a Sinead O’ Connor, giusto per fare due nomi…).

Con il solito tour promozionale in 3 mesi Marley toccherà gli Stati Uniti, il Canada, Regno unito e per la prima volta la Germania; dai duecento/trecento spettatori dei primi anni ‘70 iniziano a essere qualche migliaio ogni sera coloro che assisteranno ai suoi concerti.

3.8) L’attentato in Jamaica

Verso la fine del 1976 Marley sarà vittima di un attentato nella sua residenza di Kingston, quando sconosciuti, approfittando del buio della sera entreranno nella sua residenza,

al numero 56 di Hope Road (una casa in pieno stile coloniale donatagli da Chris Blackwell, dove allestirà in seguito anche lo studio di registrazione), sparando numerosi colpi di arma da fuoco e ferendo leggermente ad un braccio il cantante, ed invece molto più seriamente il suo manager Don Taylor e la moglie Rita.

Era una Jamaica molto violenta quella di metà anni 70. Da qualche mese il governo aveva dichiarato lo stato d’emergenza in tutta l’isola, il contesto socio-economico non era certo dei migliori, ed oltretutto in quel periodo si stavano avvicinando le elezioni politiche.

Continue sparatorie tra vere e proprie gang sobillate da vari soggetti politici erano all’ordine del giorno; ostilità e tensioni sempre più crescenti, con le armi e le munizioni che giravano a volontà come in una sorta di guerra tribale, con le gang che si erano divise le zone della down town di Kingston (come Trench Town, Shanty Town oppure Tivoli Gardens).

Uno scenario dove i politici avevano bisogno dei gangsters per assicurarsi i voti e i gangsters viceversa avevano bisogno dei politici per difendersi dalla polizia e trafficare in armi (e soldi).

Dal punto di vista geopolitico era ancora il periodo della sfida tra le due super potenze (Stati Uniti e Russia), e l’isola era vista come un “laboratorio” politico dagli Stati Uniti che appoggiavano (anche se non in maniera ufficiale, come sempre a modo loro, quando si parla di Centro-Sud America….) il candidato conservatore Edward Seaga (un ex impresario discografico, a fine anni ‘50) contro il primo ministro uscente Michael Manley, socialista, e politicamente molto vicino a Cuba; “troppo” vicino, per gli Stati Uniti e per la CIA.

Cosa c’entra tutto questo con Marley ? C’entra, eccome …. visto che la politica, per avere il potere in Jamaica deve confrontarsi con il “ghetto”, con la sua musica e la sua gente, e in quel momento Marley in patria aveva già raggiunto una fama e una statura “socio-politica” non indifferente, anzi.

Con l’intento di riportare un po’ di pace a Kingston fu organizzato un grosso concerto gratuito, chiamato Smile Jamaica Concert (sorridi Jamaica) che era anche il titolo del 45 giri di Marley appena uscito nei negozi.

Per l’evento furono invitati diversi artisti tra cui anche Bob Marley, il quale accettò l’invito (a differenza di altri colleghi che invece rifiutarono) chiarendo però fin da subito che la serata non doveva avere nessuna connotazione politica; a lui interessava solo dare un contributo, con la sua musica, per la rappacificazione del popolo jamaicano.

Una volta dato l’annuncio ufficiale del concerto il Primo Ministro comunicò al paese che 10 giorni dopo ci sarebbero state le elezioni politiche. Fu una mossa molto scorretta; in questo modo a molti sembrò che Marley fosse disposto, indirettamente, ad appoggiare il partito politico al potere.

Quel potere che i cantanti reggae, ed in generale il movimento rasta detestavano e combattevano, individuando nel “Sistema” la causa di tutti i mali della società (corruzione, violenza, povertà nei ghetti …), quel Babylon System che poi Marley canterà in una splendida canzone del 1979.

A quel punto nei confronti di Marley da diverse parti si levarono critiche e forti pressioni nel convincerlo a rinunciare all’esibizione, arrivando anche ad oscure minacce di morte.

Ecco, dunque in un’atmosfera sempre più tesa, il 3 dicembre, due giorni prima del concerto, l’attentato a Marley, fatto che ebbe una notevole ripercussione mediatica nell’isola.

Nonostante la contrarietà di una parte del suo staff per ciò che era successo, Marley decise di esibirsi lo stesso, davanti a decine di migliaia di persone in un’atmosfera decisamente infuocata, mostrando al pubblico alla fine dello show, anche in maniera simbolica, la ferita sul braccio provocata dalle pallottole.

Su Netflix é presente un film-documentario del 2018 (inedito) molto interessante che ricorda questo evento, intitolato Who shot the sheriff (rifacendosi ad uno dei suoi brani più famosi “I shot the sheriff”).

Una delle ipotesi più accreditate è quella che l’attentato (del quale non sono mai stati individuati, almeno ufficialmente, gli autori) sia stato “progettato” dalla CIA per destabilizzare ancora di più il paese che stava vivendo dei momenti di violenza mai visti prima.

Di certo c’è che la CIA aveva “aperto” un dossier sul cantante jamaicano, e di certo, come si vede nel docu-film la CIA, terrorizzata che la Jamaica potesse diventare un’altra Cuba, aveva inviato molte armi sull’isola, addestrando le gang di strada a metodi paramilitari, a come spargere violenza, omicidi e paura nelle strade dei quartieri più poveri; lo scopo era quello di rivoltare la gente contro il governo per favorire il candidato conservatore Edward Seaga (i nemici lo soprannominavano Ciaga …).

Alla domanda diretta se la CIA collaborasse con lui, Edward Seaga lo nega, ma ciò non vuol dire che la CIA non collaborasse con gruppi appartenenti al suo partito come afferma un membro del suo partito intervistato nel docu-film; soprattutto viene confermato il fatto che un anno e mezzo dopo, Marley riconoscerà in Jim Brown, un “boss” del ghetto di Tivoli Gardens, legato al partito conservatore di Seaga, un componente del gruppo di fuoco che sparò a casa sua.

Molto toccante nel docu-film la riflessione di Marley che, confidandosi con un’amica quando ricevette le prime minacce di morte, disse : << la Jamaica è uno dei posti migliori. Tutti amano tutti. Ma poi finiscono per ucciderti. Ti amano così tanto da ammazzarti ….>>

A proposito dell’esibizione, il percussionista Alvin “Seeco” Patterson ricorda :<< Quella era una serata pericolosa. Nessuno voleva salire sul palco, ma dovevamo farlo !!!

Bob si presentò alla gente e disse che quel concerto non era in nessun modo politico, che voleva soltanto suonare un paio di canzoni. Alla fine ha cantato per oltre un’ora >>.

Immagini forti quelle che compaiono nel docu-film, quando Marley canta Rat Race

Political violence fill ya city La violenza politica riempie la città
Don’t involve Rasta in your say say non coinvolgete i Rasta nei vostri discorsi
Rasta don’t work for no CIA i Rasta non lavorano per la CIA, proprio no

(Rat Race – LP Rastaman Vibration 1976)

Indubbiamente l’episodio turbò molto Marley che subito poco dopo il concerto lasciò la Jamaica per trasferirsi in Inghilterra per quasi due anni; il brano “Ambush in the Night” inciso nel 1979 e presente nell’album Survival rievocherà la notte della sparatoria.

Anche l’anno seguente, il 1977, per l’isola sarà un anno “infuocato”…

3.9) L’esilio a Londra con due nuovi dischi

Per Marley quindi inizia nel 1977 un periodo di auto-esilio nella capitale inglese,dove ritrova una certa tranquillità e si tuffa a capofitto nella musica, quasi per dimenticare le sofferenze jamaicane.

Ecco dunque uscire all’inizio di Giugno quel capolavoro assoluto della sua produzione dal titolo molto esplicito Exodus, ad indicare da una parte il suo auto-esilio e dall’altro affermare il concetto del rimpatrio del popolo nero rifacendosi al Vecchio Testamento.

Un disco molto impregnato di riferimenti biblici, religiosi, di una profonda intensità che si va a mescolare a momenti più rilassati, che segnano indubbiamente la rinascita di Marley dopo la brutta esperienza dell’attentato subito.

La rivista TIME nel 2001 lo definirà addirittura il miglior album del 20° secolo, affermando: “Ogni canzone è un classico, dal messaggio d’amore all’inno rivoluzionario. Ma più ancora, l’album è un intreccio politico e culturale che trae ispirazione dal Terzo Mondo e gli dà una voce in tutto il mondo”, come dire, il Marley Universale …..

Le canzoni sono una più coinvolgente dell’altra, da Guiltiness a Heaten, da Exodus a Jamming, da Three little birds a One Love, e sia le vendite del disco che i concerti rispondono alla meraviglia; da quel momento si affermerà la grande capacità di Marley di stabilire un rapporto molto intenso con il pubblico, di qualsiasi paese.

Canterà per la prima volta in Belgio, Francia, Svezia, Olanda, Danimarca; in Inghilterra ormai è di casa, a testimonianza di ciò le quattro serate al Rainbow Theatre di Londra diventeranno quelle più famose, con il film del concerto che sarà poi distribuito nelle sale cinematografiche, Italia compresa. Proprio recentemente (a fine Agosto) è stato pubblicato il doppio vinile relativo ad una delle serate londinesi del Rainbow Theatre; a parte il dvd del film, già commercializzato da tempo, questo “storico” concerto non era mai stato messo su vinile.

Invece furono annullate le date previste per il tour statunitense. Perché il 1977 per Marley purtroppo significa anche la diagnosi del melanoma, riscontrato sotto l’unghia dell’alluce destro, che poi degenerando qualche anno dopo arriverà al cervello e lo porterà alla morte. Vari specialisti consigliarono al cantante l’amputazione dell’alluce (trattandosi di una forma tanto rara quanto aggressiva) per fermare il male; invece si optò per un innesto di pelle per via chirurgica che sembrò risolvere il problema.

Da quel momento nessuno ci pensò più; Chris Blackwell, in una intervista anni più tardi, con forte rammarico ricorda che i medici avevano consigliato al cantante di fare approfonditi controlli ogni tre mesi, consiglio che non fu mai rispettato. E dopo tre anni il male tornò a manifestarsi, purtroppo già con delle metastasi.

Con il nuovo anno, il 1978, nel mese di marzo esce il nuovo album, sempre registrato a Londra come il precedente, dal titolo Kaya, indubbiamente il suo album più “soft”, indubbiamente inferiore a Exodus, pur contenendo una hit Is This Love che aumentò ancora di più il suo seguito di pubblico internazionale.

La canzone Is This Love sembra sia stata scritta per Cindy Breakspeare, una modella che nel 1976 era stata eletta Miss Mondo ad un concorso di bellezza, con la quale Marley aveva una relazione e gli diede anche un figlio, Damian, diventato anche lui cantante reggae molto famoso in questi ultimi anni. Per la cronaca Marley ebbe ben undici figli

(di cui l’ultima nata poco dopo la morte del cantante, a fine Maggio ‘81) da sette donne diverse; il concetto di fedeltà matrimoniale non era certo nel suo dna .…

Allora nella cultura rasta, a proposito delle relazioni sociali e familiari la donna purtroppo non riscontrava una alta considerazione da parte degli uomini, e questo si rifletteva anche nel panorama musicale jamaicano dove le voci femminili erano quasi una rarità.

Oggi si può affermare che i tempi sono cambiati ed il ruolo della donna, sia esso familiare, sociale, artistico o culturale è sicuramente agevolato e soprattutto considerato importante da parte dell’universo maschile.

Con la pubblicazione del nuovo disco fu messo in piedi anche un impegnativo tour promozionale tra Europa e Stati Uniti, dove in alcune città tenne due concerti lo stesso giorno (pomeriggio e sera); una cinquantina di date spalmate in quasi tre mesi, partendo da Kingston. A Burbank, in California, verso la fine del concerto, al momento dell’esecuzione del famosissimo brano “Get up Stand Up” Peter Tosh raggiungerà sul palco Marley per cantare il brano insieme; purtroppo sarà l’ultima volta che accade…..

Piccola curiosità: a questo concerto partecipa come spettatore, alla “tenera” età di 9 anni, accompagnato dal padre, il futuro cantante Ben Harper, che dirà a proposito della serata << …Non dimenticherò mai quel giorno, il primo concerto della mia vita. Bob non aveva più voce ma la folla lo spingeva intonando ‘Don’t give up the fight’. Non credevo ai miei occhi. E’ stato il più grande momento musicale della mia vita. Tornando a casa, ero determinato a diventare un cantante >>.

In alcune tappe europee tra l’altro fu registrato il materiale LIVE per produrre un doppio vinile, intitolato Babylon By Bus che sarà poi pubblicato nel mese di Settembre: un disco che a parte due–tre momenti di altissima energia, perde sicuramente il confronto con il precedente disco dal vivo del ‘75 che grondava passione e feeling da ogni parte ….

3.10) One Love Concert

Marley, almeno con il pensiero, non abbandonò la sua Jamaica e infatti 15 mesi dopo l’attentato fece ritorno in patria, dove per cercare nuovamente di smorzare le tensioni tra il popolo e i due partiti politici, venne organizzato il ” One Love Peace Concert”, che si tenne a Kingston il 22 Aprile del 1978.

Per convincere Marley a ritornare in Jamaica (dove in quel momento non si sentiva per niente al sicuro) e a prendere parte al concerto addirittura arrivarono a Londra, direttamente da Kingston, i due “boss” delle gang legate ai due partiti rivali in patria,

Claudie Massop e Bucky Marshall che faticarono non poco a convincere l’artista ad accettare la proposta; il trauma e la paura dell’attentato subito a Kingston era ancora forte, la tensione nell’isola anche.

L’amicizia con Claudie Massop (erano amici di vecchia data, quando ragazzi abitavano entrambi a Trench Town) e la garanzia ricevuta dai due “gangster” circa la sua incolumità lo convinsero ad accettare; era consapevole che solamente lui, con il suo carisma, le sue canzoni e la sua “statura” poteva essere in grado di riportare tranquillità nell’isola.

E così il concerto ebbe luogo; oltre alla splendida esibizione, il concerto è divenuto famoso per la stretta di mano che Marley fece fare tra Michael Manley ed Edward Seaga, invitandoli a salire sul palco davanti ad una folla imponente, incredula ed eccitata, come suggello alla riunificazione nel paese; il concetto di pace, legato a Marley, da quella sera divenne indelebile.

In quel contesto ovviamente c’era anche un’altra realtà, quella delle gang (e dei politici) che volevano continuare la “guerra”: stando a dichiarazioni di fonti ben informate (rilasciate a distanza di tempo), insieme alle strumentazioni audio e luci utilizzate per il concerto, provenienti dagli Stati Uniti, furono introdotte nell’isola altre armi che furono distribuite tra le gang della capitale.

Nel giro di un anno i due boss, Claudie Massop e Bucky Marshall, che si erano effettivamente spesi per raggiungere una tregua furono assassinati; eventi che con una lettura più approfondita fecero capire che alcuni politici si erano “liberati” di alcuni boss diventati troppo scomodi.

Intervistato a Londra da un giornalista a proposito di cosa sarebbe potuto accadere al suo ritorno in Jamaica, Marley rispose così: << Succederà che le persone si riuniranno. Ci potranno essere degli scontri, ma loro devono restare forti e uniti, perché questa riunificazione in Jamaica serva da esempio a tutti i popoli neri, in tutto il pianeta >>.

Questa era la sua visione, l’essenza del suo messaggio trasmesso attraverso la musica; un evento locale, il raggiungimento della pace che riguardava una piccola isola in mezzo ai Caraibi, poteva essere replicato in tante altre parti del mondo, ovunque ci siano popoli che soffrono.

Certo, una visione piuttosto utopistica, pensando al corso triste degli eventi che purtroppo si sono succeduti nellla storia in questi ultimi decenni (si pensi al genocidio in Rwanda, giusto per rimanere in tema di popolazioni “black” … ), però un’utopia che in quegli anni si sposava benissimo con il contesto storico di allora.

Molti paesi, soprattutto in Africa si erano già incamminati in un percorso di liberazione dallo status di colonia, c’era il Sud Africa dove il regime dell’Apartheid era più vivo che mai, senza poi dimenticare che negli Stati Uniti, dopo Martin Luther King, i movimenti e le rivolte “black” degli anni ‘60, il razzismo e la questione dei diritti dei neri americani era una tematica sempre molto scottante (e purtroppo lo è ancora oggi …).

Quasi due mesi dopo, durante il tour statunitense Bob Marley ricevette a New York in una cerimonia ufficiale tenutasi presso il Waldorf-Astoria Hotel, la UN MEDAL PEACE,

(medaglia della pace) che è un premio speciale assegnato dalle Nazione Unite quale riconoscimento per l’impegno e il contributo nel combattere per la giustizia e la pace nei paesi del terzo mondo. Probabilmente quello fu il momento più alto della sua carriera e della sua musica così impregnata di profonde visioni di pace, uguaglianza e amore per il popolo nero.

3.11) Verso l’Africa: il viaggio e il disco

Sempre nel 1978 Marley riuscì finalmente a compiere il suo primo viaggio in Africa, soggiornando qualche giorno in Kenia, e una volta ottenuto lì il visto di entrata, in Etiopia,quella sorta di terra promessa per la filosofia Rastafari, dove aveva regnato fino al 1974 Hailé Selassié.

Spodestato da una rivolta guidata da militari e ucciso l’anno seguente, Hailé Selassié è considerato tuttora dai rasta, che si rifanno ai dogmi del cristianesimo ortrodosso etiope, il secondo messia (dopo Gesù Cristo), la reincarnazione di Jah (Dio) tornato sulla terra per cancellare tutte le ingiustizie ed affermare la salvezza del popolo nero.

Per la storia, leggendo la biografia del Negus etiope che il grande scrittore polacco Ryszard Kapuscinski scrisse nel 1978 viene fuori una figura contrastante, quella di uno statista che aveva fatto importanti riforme economiche e sociali, ma dall’altro quella di un despota autoritario, assetato di potere e ossessionato dalla perdita di esso; per il mito è e rimane Jah Rastafari. Quando nel 1975 si diffuse la notizia della morte, Marley incise una canzone uscita in Jamaica in formato 45 giri, intitolata Jah Live per ribadire che Dio non è morto e non può morire.

In Etiopia Marley andò a visitare la comunità di Shashamane, un territorio situato nella regione di Oromia che Hailè Selassiè aveva precedentemente donato a tutti coloro, rasta, che desideravano tornare a vivere in Africa, suggellando così il mito del rimpatrio, quel Back To Africa che torna spesso nelle canzoni del periodo Roots Reggae. Ed in effetti jamaicani, afro-americani e neri britannici, nel tempo ci andarono a vivere; comunità che secondo alcuni dati in certi periodi superò anche le duemila persone.

Nel 2016 la regista italiana Giulia Amati ha girato un film documentario intitolato Shashamane sulla tracce della terra promessa”; i protagonisti sono gli stessi “nuovi” abitanti che spiegano il loro punto di vista su tutta la questione della diaspora africana e l’immenso valore, per loro, di essere “tornati” in Africa.

Nella primavera del ‘79 Marley intraprese un breve tour (una quindicina di date) toccando per la prima volta paesi quali il Giappone, Nuova Zelanda, Australia e Hawaii e a luglio si esibì a Montego Bay, in Jamaica, al festival Reggae Sunsplash (il filmato del concerto con le esibizioni di Marley, Tosh, Burning Spear e Third World fu poi distribuito nei cinema).

Nel mese di Settembre si esibirà a Kingston per un concerto di beneficenza con altri grandi nomi della scena reggae tra i quali Gregory Isaacs, U-Roy e Israel Vibration; sarà la sua ultima esibizione in patria.

In Australia avrà l’occasione di incontrare il nipote di un grande leader del popolo aborigeno, così come a Vancouver, in Canada, dove si esibirà nell’autunno seguente incontrerà un capo indiano nativo americano. Piccoli episodi che indicano la forte considerazione che la sua figura riusciva ad ispirare anche in altre culture ed in altri popoli impegnati nella lotta per la difesa dei propri diritti.

Due settimane dopo il Reggae Sunsplash di Montego Bay si esibisce a Boston, insieme ad altri artisti internazionali, per un concerto di beneficenza intitolato Amandla Festival a supporto della popolazione del Sud Africa nella sua lotta contro l’apartheid.

E chiaramente con la sua musica, le sue parole e la denuncia contro il “sistema” incorona un’altra esibizione memorabile.

L’Africa, sempre l’Africa nella sua mente.

Ed ecco uscire all’inizio del mese di Ottobre il disco “africano” per eccellenza di tutta la sua produzione: Survival, registrato nei rinnovati Tuff Gong Studios situati presso la sua residenza in Hope Road 56 a Kingston; il disco più intenso e “roots” in assoluto, il reggae militante di fine decennio in splendida forma. Il disco da ascoltare in primis per chiunque volesse scoprire il Marley più profondo e diretto.

Già il titolo è molto esplicativo, riferendosi alla sopravvivenza (quella nera).

La copertina lo è ancora di più; presenta un disegno, uno schizzo schematico di come venivano disposti gli schiavi imbarcati sulle navi negriere in viaggio per l’America, circondato da tutte le bandiere degli stati africani. Nel retro foto e simboli di “resistenza africana”, dove è riportata anche la celebre frase di Marcus Garvey, diventata nel tempo un motto del movimento rasta

a people without the knowledge un popolo senza la conoscenza

of their past history, del suo passato,

origin and culture delle sue origini e della sua cultura,

is like a tree without roots è come un albero senza radici

All’interno, come sempre, tutti i testi delle canzoni, dal brano che ricorda l’attentato di tre anni prima a quello che celebra l’indipendenza dello Zimbabwe, dall’incitamento a lottare per i propri diritti all’invito a tutti gli africani ad unirsi, dalla rivendicazione della “sopravvivenza nera”, fino alla denuncia esplicita del Babylon System (p.s. leggetevi il testo tradotto in italiano, su internet lo trovate, un brano potentissimo), invitando il suo popolo alla presa di coscienza e a raccontare la verità ai bambini.

In autunno parte il tour statunitense (ci saranno alcune date anche in Canada, con la chiusura del tour a Trinidad e alle Bahamas); un tour molto impegnativo con una quarantina di date concentrate tra fine Ottobre ed i primi di dicembre, che vedrà Marley per la prima volta esibirsi al mitico Apollo Theatre di Harlem (ben sette shows in quattro giorni, suddivisi tra pomeriggio e sera).

La data di Oakland, in California, avrà un curioso fuori programma: per i bis salirà sul palco a suonare, come terza chitarra, il chitarrista dei Rolling Stones, Ronnie Wood.

Era successo che qualche ora prima dell’inizio del concerto il chitarrista dei Wailers, Al Anderson, rompe la chitarra; chiama quindi l’amico Ronnie Wood chiedendogliene in prestito una delle sue; per ricambiare il favore lo invitano ad esibirsi sul palco per i bis.

Per la prima volta nessuna data in Europa; la promozione di un disco così nero e militante si concentra sul mercato statunitense, con un Marley che ogni concerto darà il massimo di sé; basti vedere il filmato, splendido, dell’intero concerto tenutosi al County Bowl di Santa Barbara (California) contenente delle bellissime esecuzioni di alcuni brani tratti da Survival arricchite dalla presenza sul palco di una pregevole sezione fiati.

3.12) 198O ancora l’Africa,

l’ultimo disco e l’ultimo tour

L’ultimo anno di attività musicale di Marley si apre con due concerti a Libreville, la capitale del Gabon dove l’artista jamaicano è invitato dal presidente del paese africano.

Marley terrà due concerti anche in Zimbabwe, nell’aprile successivo, invitato ufficialmente per i festeggiamenti dell’indipendenza dell’ex-colonia inglese, il cui nome era Rhodesia, così chiamata dagli inglesi in onore del politico britannico Cecil Rhodes, vissuto nella seconda metà dell’800.

Rhodes era considerato dai suoi connazionali una figura fondamentale per l’espansione coloniale dell’Inghilterra, guidato nel suo operato da una forte visione della superiorità coloniale e del razzismo nei confronti delle popolazioni locali; successivamente, alcuni studiosi analizzando le sue idee, lo videro come un precursore ideologico del “triste” concetto di apartheid che purtroppo affliggerà per molti anni il vicino popolo sudafricano.

In questo caso, un popolo africano aveva dovuto assistere al cambio di nome del proprio paese, della propria terra, per “onorare” una persona totalmente estranea allo loro storia (come accaduto anche a Kinshasha, capitale dell’attuale Repubblica Democratica del Congo, che era stata fondata da un esploratore britannico con il nome di Léopoldville in onore del sovrano del Belgio). Indubbiamente il corso della storia, visto con gli occhi dell’Africa è completamente diverso dalla nostra “narrazione”. Sarebbe finalmente ora di avere l’onestà intellettuale di riconoscere gli immensi danni (sociali, politici, culturali, economici) che in primis le potenze europee, partendo dal XVI secolo, hanno inflitto a questo immenso continente e alle sue genti.

Quell’indipendenza celebrata in Zimbabwe (contenuta nell’album Survival), diventa il simbolo del riscatto africano, e l’invito ufficiale ricevuto dal paese africano lo onora a tal punto che Marley provvederà a pagare di tasca sua tutte le spese di viaggio (biglietti aerei, ecc….) per lui, il suo staff e la sua band.

Con il senno di poi, ma questa è un’altra storia, andò sì a celebrare l’indipendenza di uno stato africano, che vide però l’inizio di una lunga storia di presa del potere sul paese da parte di Robert Mugabe, subito come primo ministro (per 7 anni) e poi come presidente dello Zimbabwe per ben 30 anni (!!!) governando il paese al di fuori da ogni regola democratica …. l’ennesimo dittatore, che sarà poi a sua volta destituito da un colpo di stato.

I primi giorni di Giugno, in contemporanea con l’inizio del tour europeo viene pubblicato l’ultimo album di Marley, intitolato Uprising, con una copertina molto profetica, una sorta di disegno nel quale Marley è come se stesse sorgendo dalla terra, con i suoi dreadlocks che ricordano le radici dei grandi alberi e alle sue spalle il sole che nasce dietro le montagne; il retro della copertina, oltre i testi della canzoni mostra una foto in bianco e nero di Marley con i suoi Wailers. Lo stress lavorativo degli ultimi mesi e la malattia che purtroppo stava tornando ci regalano un volto scavato, stanco, opaco, senza quel sorriso magnetico che lo contraddistingue in tante altre sue immagini. Redemption Song, una profonda ballata acustica che chiude l’album, metaforicamente ci regala il suo testamento spirituale, politico e orgogliosamente “black”.

Da fine Maggio a metà luglio il tour europeo toccherà 13 paesi, tra cui per la prima volta la Svizzera, la Germania Est, l’Irlanda, la Scozia, la Norvegia e l’Italia con i concerti di Milano e Torino. La data tedesca di Dortmund (13 Giugno) sarà completamente ripresa dalla televisione tedesca e nel tempo è diventato un film concerto, commercializzato anche come dvd, apparso diverse volte anche su Rai 5 (e ovviamente si trova anche su youtube); diventerà l’ultimo filmato di un Marley ancora pieno di energia e capace di quella forte empatia relazionale con il pubblico che lo contraddistingueva nei suoi concerti.

Piccola curiosità, a Londra, dove l’artista si esibì all’interno di un piccolo festival, Chris Blackwell proprietario di Island Records pur essendo “di casa” non era presente allo show, perché gli avevano consigliato di andare a vedere una band molto promettente composta da quattro ragazzi irlandesi che la stessa sera avrebbero tenuto un concerto in un club della capitale inglese. Una band da mettere eventualmente sotto contratto, e così fu: i quattro si chiamavano e si chiamano tuttora U2.

A metà Settembre iniziò il tour statunitense, purtroppo interrotto dopo solo 5 date con l’ultimo concerto che si tenne il 23 Settembre allo Stanley Theatre di Pittsburgh (Pennsylvania); due giorni prima Marley era stato molto male mentre faceva jogging in Central Park a New York (dove si era esibito la sera precedente al Madison Square Garden). Portato da un neurologo gli fu diagnosticato un tumore al cervello e metastasi avanzate in altri organi …. si decise pertanto di tenere l’ultimo concerto a Pittsburgh il giorno seguente e di sospendere il tour statunitense che prevedeva una ventina di date sino a fine Ottobre, a cui avrebbe fatto seguito un nuovo tour con Stevie Wonder e un concerto (previsto per fine anno) al Maracanà di Rio de Janeiro, in Brasile, paese dove il reggae erà già molto seguito e che Marley amava molto per la passione (da lui condivisa) per il calcio.

Questo concerto avrebbe certamente significato per Marley la conquista definitiva del mercato sudamericano.

Nel mese di novembre si fece battezzare con il rito della chiesa copta ortodossa etiope a New York (dove intanto si era sottoposto a cure antitumorali presso un grosso ospedale) con il nome di Berahne Selassie, che significa Luce della Trinità.

Da lì iniziò l’ultima tappa del suo “calvario” scegliendo di andarsi a curare (con terapie olistiche) presso una piccola clinica nelle alpi bavaresi diretta da un dottore alquanto discusso per il suo passato di medico nazista; terapie che inizialmente gli portarono non pochi benefici per il suo stato di salute, che però poi con il passare del tempo smisero completamente la loro efficacia. A maggio, persa ogni speranza di cura, fu noleggiato un volo aereo per riportare Marley in Jamaica. Viaggio che per il peggioramento delle sue condizioni di salute fu interrotto a Miami con l’ultimo ricovero in un ospedale della città dove morì due giorni dopo.

L’intera Jamaica, dieci giorni dopo, gli rese onore con la celebrazione dei funerali di stato a Kingston e con la successiva tumulazione nel piccolo borgo di Nine Mile dove era nato e aveva vissuto la sua infanzia. Un mese dopo i funerali, fu riconosciuto a Bob Marley il Jamaican Order of Merit, che rappresenta la massima onorificenza del Paese.

Due anni dopo la morte, nel giugno 1983, esce l’album Confrontation contenente brani quasi tutti inediti scritti da Marley, molti dei quali incisi o abbozzati durante la lavorazione di Uprising. Un disco passato nell’ombra, nel quale si sente la “mancanza” dell’artista nel ridefinire meglio alcuni suoni o atmosfere presenti nell’album.

Successivamente, nel tempo sono state pubblicate diverse raccolte, delle quali la più famosa intitolata Legend, uscita nell’estate del 1984, è diventato il disco reggae più venduto di tutti i tempi, si parla ad oggi di circa 30 milioni di copie vendute.

La copertina del disco è un’immagine di Marley risalente al periodo londinese del cantante (1977-1978), indubbiamente una delle sue immagini più famose dove, curiosità, si può notare nella sua mano sinistra l’anello al dito raffigurante il Leone di Giuda (ossia il simbolo dell’imperatore etiope Hailè Selassié); anello che apparteneva all’imperatore medesimo, donato a Marley dal principe etiope Merid Azmach Asfa-Wossen, figlio primogenito di Hailè Selassiè. Inutile dire che ciò inorgogliva tantissimo il cantante jamaicano.

Un’altra eccellente raccolta è un cofanetto di 4 cd intitolato Songs of Freedom (pubblicato nel 1992 in edizione limitata a un milione di copie, andato presto esaurito). Raccolta che parte dalle prime canzoni di Marley fino alle ultime produzioni, con versioni mix, 12” e live che arricchiscono questo ottimo lavoro, ben riuscito, di ricerca su Bob Marley; molto curato anche il libretto all’interno del box set scritto con il contributo di Rita Marley, del direttore dell’ufficio stampa della casa discografica Island Records Rob Partridge, e di Timothy White e Chris Salewicz, alcuni dei più noti biografi dell’artista jamaicano.

Nel 2012 il regista cinematografico Kevin Macdonald (tra i suoi lavori si ricorda L’ultimo Re di Scozia) ha girato un film sull’artista jamaicano intitolato MARLEY.

Un film molto riuscito, che avvicina con delicatezza lo spettatore alla figura di questo artista, dove si mescolano con sapienza momenti della sua carriera e della sua vita  più intima, personale con testimonianze “inedite” come ad esempio quella di alcuni cugini dell’artista, residenti a Kingston, imprenditori di successo nell’edilizia, conosciuti come i Marley “bianchi” (essendo discendenti della famiglia Marley, figli di un fratello del padre di Bob Marley).

A tal proposito il figlio Ziggy, che musicalmente tutt’oggi continua il lavoro del papà, disse :<< Questo film è importante perché, nonostante in passato siano state fatte molte cose su Bob, credo sia la prima volta che viene data alla gente la possibilità di sentirsi emotivamente vicina a Bob come uomo, non come leggenda del reggae o come figura mitica, ma attraverso la sua vita di uomo. Con tutte le difficoltà che ha dovuto affrontare ”.

Un film che presenta rare immagini del cantante in tour, nel suo quotidiano, fino ad immagini toccanti degli ultimi mesi della sua vita, quando era in cura presso una clinica situata in mezzo alle alpi bavaresi, nel paesino di Rottach Egern, a una cinquantina di kilometri da Monaco. L’amico Neville Garrick, che trascorse con lui il periodo del soggiorno “tedesco”, ricorda con disappunto il rigido clima invernale e il laghetto ghiacciato vicino alla casa dove soggiornavano (“… era talmente ghiacciato che lo potevi percorrere in macchina” …. “a me pareva un frigorifero dove tenevano la gente viva …”).

4) TUFF GONG UPRISING TOUR 1980

… finalmente i concerti in Italia partendo da Zurigo

30 maggio, a Zurigo ha inizio il tour che come numero di spettatori, shows e incassi sarà il tour dell’anno, ma purtroppo anche l’ultimo tour di Marley …

A tal proposito leggiamo cosa scrive il carissimo amico Carlo Pistacchi, la cui abitazione, in quel di Mestre “contiene” più o meno una collezione di dischi che supera abbondante-mente i ventimila vinili !!! …. la maggior parte dei quali “suona” reggae. Non ho dubbi nell’affermare che è il principale collezionista di reggae in Italia, e in assoluto è una vera e propria enciclopedia vivente del reggae (conosciuto anche all’estero). Dalla sua gelateria, situata in una delle tante calli che a Venezia portano dalla stazione ferroviaria in direzione Rialto, dove lo stereo suona sempre reggae e le pareti ricordano immagini dell’Africa e della Jamaica, ha contribuito in questi ultimi trent’anni a diffondere il reggae a Venezia; e in gelateria (il cui nome, ALASKA, ricorda qualche “connessione” musicale; come dice lo stesso Carlo à-la-ska, alla maniera dello ska …) sono andati a cercarlo e a salutarlo negli anni Adrian Boot (il principale fotografo di Marley, quello della copertina del LIVE e di LEGEND tanto per intenderci), Ziggy Marley, Aswad, Inner Circle, durante i loro tour italiani …… Se andate a Venezia e chiedete in giro di Carlo Pistacchi e della sua gelateria, beh, lo conoscono tutti, anche per la sua immensa gentilezza e simpatia. 1980.

Un anno iniziato per Bob Marley nel migliore dei modi. Aveva suonato nel continente dei suoi antenati e del suo futuro, due date in Gabon (Libreville 05 e 06 gennaio) e due date in Zimbabwe a Salisbury (18 e 19 Aprile): era entrato nello stato della Rhodesia ed era uscito dal nuovo stato chiamato Zimbabwe, partecipando alla grande festa di liberazione. Pure in un evento di così grande portata, in cui l’artista si è esposto anche economica- mente non volendo cachet e pagando le spese di spedizione della strumentazione, il manager Don Taylor ha giocato la sua carta sbagliata (bad card, come una delle ultime canzoni pubblicate) riuscendo a ricavare per sé degli introiti non richiesti. Nello stesso anno parte il nuovo world tour: avvio in estate in Europa (grandi stadi all’aperto) e chiusura negli USA, nell’inverno, dopo una piccola sosta ad agosto. Nome del tour: Tuff Gong Uprising tour. Ho avuto la fortuna di vedere dal vivo tre di queste date. La prima al chiuso del Hallenstadion di Zurigo, l’esordio del tour. Avevo paura che in Italia potesse succedere qualcosa ed allora per sicurezza ho preso il biglietto per la data in Svizzera. Sin dall’inizio si capiva che l’organizzazione del palco era stata tenuta in grande considerazione. Tutta la band indossava una giacchetta con i tre colori etiopi (verde giallo rosso) e le prime ad arrivare sul palco con i Wailers furono le I-Threes; ognuna di loro cantò un pezzo. Mi ricordo che Marcia Griffiths fece una versione strepitosa di Stepping out of Babylon. L’emozione saliva sempre più, fin quando il basso di Aston “Family Man” Barrett non ha iniziato ad arpeggiare il ritmo di Arleen (di General Echo) grande successo del momento in Jamaica. Band e pubblico scandiscono sempre più forte il nome “Marley, Marley, Marley” …. Ed eccolo arrivare, un boato fa tremare la struttura del palazzetto chissà se reggerà alle vibrazioni positive che si stanno creando. Ed ecco arrivare Natural Mystic, Positive Vibration, Revolution, I shot the sheriff, War, Zimbabwe, Jamming, No woman no cry, Zion train, Exodus. Il luogo oramai è bollente, il messaggio di pace e gioia riempie qualsiasi centimetro cubo dell’aria. Ma le luci si spengono ed i musicisti escono; la bolgia di urla (more, more, more…. ) e di applausi e fischi è assordante. Si pensa forse sia finito,troppo poco, no … mancano troppe canzoni. Si riaccende una luce su una sedia al centro del palco, arriva Bob Marley con una chitarra acustica . Old pirates yes they rob I Sold I to the merchant ships…….. cause all I ever had redemption songs Emancipate yourselves from mental slavery….. Non sapevo cosa era, tutto in acustico senza basso e batteria, ma sentivo nel profondo del cuore che un altro seme di Rasta era penetrato in me. Dopo un intimismo così toccante ecco arrivare un ritmo quasi da “disco” Could you be loved. Si torna al reggae puro con Work (tutti pezzi inediti, il nuovo album sarebbe uscito la settimana successiva). Gran Finale con Natty Dread, Is this love, Get up stand up. Siamo tutti in piedi per continuare la lotta per una giustizia che ancora oggi non pare mai arrivare. Ma noi sappiamo che Zion è vicina e che Babylon è vicina all’autodistruzione…. Passano 28 giorni ed eccomi allo stadio di San Siro a Milano. Centomila persone, io sono ben piazzato sul prato a pochi metri dagli artisti; la situazione è completamente diversa. Nel frattempo ho comprato il disco e conosco le nuove canzoni a memoria; il suono roots e sociale di Survival si è trasformato in un messaggio più universale. Secondo me la confusione che c’è fa sì che il concerto sia un po’ più sotto tono musicalmente parlando, ma l’amore scende anche a Milano richiamato da un grande sacerdote profeta. Più o meno la stessa cosa accade il giorno seguente a Torino. Grazie di tutto cuore, Bob. Sono riuscito tramite la tua musica ad entrare in contatto con un lago di saggezza e comprensione… Jah Rastafari !

5) Marley: il simbolo

Dopo aver letto queste pagine si comprende meglio quanto scritto dalla rivista francese nel 1990, che aveva definito Marley come l’artista che più di ogni altro aveva influenzato la scena musicale mondiale.

Personaggio molto carismatico, dotato di un’enorme capacità di sintesi, attraverso la sua musica, ipnotica e trascinante, riusciva a relazionarsi con il pubblico come solo pochi altri sono riusciti a fare; inoltre i messaggi universali di pace, giustizia, amore che riusciva a veicolare attraverso le sue canzoni lo hanno reso indubbiamente un simbolo, ovunque, e non solo tra le popolazioni “black”.

E’ vero, questi simboli la “musica di massa”, da un punto di vista culturale e mediatico, li produce periodicamente e su questi simboli il “Sistema” fa anche le sue operazioni di marketing e di business come sapientemente è riuscita a fare con l’immagine di Marley (ne sa qualcosa la sua famiglia, in quanto eredi di Bob Marley); secondo le statistiche ufficiali l’artista jamaicano muove, tra dischi, libri, merchandising e tutti i diritti legati alla sua musica una cifra annuale di circa un un centinaio di milione di dollari.

Ma proprio per la sua origine e la provenienza da una piccola isola caraibica che musicalmente parlando fino agli anni ’60 non riscontrava alcun interesse, Marley, un pò alla volta, partendo da Londra, ha conquistato l’Europa, gli Stati Uniti, l’Oceania, l’Asia e l’Africa. E questo ha fatto di Marley forse l’unica voce veramente universale nel senso più profondo del termine.

Volgendo lo sguardo agli anni in cui Marley, e il reggae, stavano acquisendo una statura internazionale (cioè la seconda metà degli anni ‘70) viene in mente come questa figura (e questa musica) sia stata ad esempio protagonista, come portatrice di istanze di giustizia sociale, politica e di lotta, durante quel fermento “sociale” che coinvolse (e sconvolse) Londra e altre città dell’Inghilterra, come Birmingham e Bristol, che dovevano fare i conti con il fascismo dilagante del British National Front (il partito politico di estrema destra), il forte razzismo nei confronti delle comunità di immigrati caraibici presenti sul suolo inglese già dagli anni ‘50 e gli scontri (con la polizia) che sarebbero avvenuti nei primi anni ‘80 nel quartiere jamaicano di Brixton, con Margaret Thatcher alla guida del governo del paese.

Un fermento anche musicale, in questo contesto, che vide il felice connubio tra il reggae e la musica e la controcultura punk (a questo proposito leggetevi l’edizione italiana del bellissimo libro di Don Letts, Punk & Dread – Quando la cultura giamaicana incontrò il punk), dove i Sex Pistols e i Clash “incontrano” il reggae e frequentano le serate musicali con il Roots Reggae e il Dub pompato a mille dai Sound System; gli stessi Sound System che troviamo ancora oggi a Londra, nel quartiere di Ladbroke Groove e Notting Hill durante le giornate del carnevale caraibico che si celebra ogni anno l’ultimo week end di Agosto.

E sempre in quell’anno, il 1977, Marley incide Punky Reggae Party (pubblicato sia come 45 giri che in versione 12 pollici) come a sancire questo felice incontro ricambiando in un certo senso anche l’attenzione che i Clash avevano avuto nei confronti della musica jamaicana avendo pubblicato nel loro primo album una cover di Police and Thieves dell’artista jamaicano Junior Murvin.

I Clash parteciperanno anche alla campagna politica e musicale denominata ROCK AGAINST RACISME che vide decine e decine di migliaia di inglesi manifestare a Londra contro il fascismo, e poi la band, insieme ad altri gruppi rock e reggae, esibirsi in concerto.

Ancora oggi, in qualunque parte del mondo, quando giovani politicamente impegnati fanno riferimento alla solidarietà come valore, trovano in lui un modello culturale imprescindibile, come dimostrato ad esempio dalla popolarità della sua musica e delle sue immagini durante le proteste in Medio Oriente (le cosidette “primavere arabe”), così come nei vari paesi africani, così come nelle manifestazioni di Occupy Wall Street negli Stati Uniti, così come a Genova (Luglio 2001) in occasione del G8.

La notorietà di Marley ha fatto di lui un vero e proprio punto di riferimento spirituale; a quasi 40 anni dalla sua morte gli intramontabili messaggi contenuti nella sua musica fanno di Marley una potenza culturale con la quale confrontarsi.

Tornando a Kevin Macdonald (autore del film MARLEY del 2012) ricorda che all’epoca la sua conoscenza della vita e della carriera di Bob Marley era quella di un profano. Sapeva che l’uomo al quale spesso si faceva riferimento come la “superstar del reggae” aveva raggiunto un livello di popolarità che, al di là della profondità del suo messaggio, era particolarmente impressionante per la sua diffusione in tutto il globo.

A tal proposito disse: “Poi ho girato L’ultimo re di Scozia, le cui riprese si svolgevano a Kampala in Uganda. E una delle cose che mi ha colpito veramente – perché Bob Marley mi era un po’ rimasto in mente – è stato che mentre me ne andavo in giro, soprattutto nelle zone più povere di Kampala, vedevo ovunque immagini di Bob Marley: su bandiere e graffiti, con le sue frasi sparse ovunque, citazioni dalle sue canzoni. E ho pensato ‘E’ fantastico. Cosa c’è in Marley di così potente da farlo arrivare dall’altra parte del mondo? Cosa ha significato per la gente qui in Africa, e in Uganda ? ”

Quello che avevo in mente, la domanda che mi ponevo facendo questo film, era: perché riesce ancora a parlare a gente di tutto il mondo (ed è evidente che ci riesce), e perché parla alla gente in modo molto più profondo di qualsiasi altra rock star o pop star ? Ciò che mi affascinava nel fare questo film era provare a tirar fuori qualcosa di molto personale. Chi è quest’uomo? Perché ha avuto tanto successo? Qual era il messaggio che voleva trasmettere alla gente ? ”

Macdonald giunge ad una conclusione che deriva da tutte le ricerche fatte per realizzare il film: “Credo che la ragione per cui Bob sia sopravvissuto alla sua morte è perché ha parlato alla gente oppressa del pianeta, che fosse americana, inglese o tedesca, ma soprattutto, perché ha parlato alle popolazioni dei paesi in via di sviluppo, che sentono di essere sempre stati trattati come reietti, di essere stati scavalcati dall’occidente o cose simili …. ”.

Ecco spiegato il perché di un simbolo, e perché nel 2018 L’UNESCO ha dichiarato il reggae patrimonio immateriale dell’umanità (“ha contribuito alla presa di coscienza internazionale sui temi dell’ingiustizia, della resistenza, dell’amore e dell’umanità”), quell’umanità che “danza” nelle splendide canzoni di Bob Marley, condite da un suono ipnotico e allo stesso tempo liberatorio, come il reggae deve essere.

Milano, 27 Giugno 1980, stadio San Siro, dove la sera si sarebbe esibito Marley. Tra l’enorme pubblico presente (sarà il concerto con il più alto numero di spettatori della sua lunga carriera, centomila presenze) era esposto e ben visibile uno striscione con scritto a caratteri cubitali:

THANK YOU BOB MARLEY

è proprio il caso di dirlo: grazie !!!

PS

Il concerto di San Siro del 27 Giugno, con i suoi centomila spettatori, diventerà la data simbolo nella storia dei concerti in Italia (purtroppo nella stessa data accade anche uno degli eventi più drammatici della storia del nostro paese: l’abbattimento dell’aereo DC9 nel cielo di Ustica). Va infatti ricordato che il nostro paese era stato messo al bando dai grossi tour internazionali in seguito agli incidenti di Milano, nel settembre 1977, quando dal pubblico lanciarono una molotov sul palco dove si stava esibendo Carlos Santana; dopo il concerto di Marley (e le serate di Patti Smith a Bologna e Firenze nel 1979) l’Italia rientrò a pieno diritto nel giro dei grossi tour …..

BOb”liografia consigliata

  • Collingwood Jeremy, “Bob Marley e la sua eredità musicale”, Giunti Editore, 2006
  • Henke James, “Bob Marley tesori e ricordi”, White Star, 2008
  • Salewicz Chris, “Bob Marley la sua storia mai raccontata”, Shake Edizioni, 2018
  • Virgona Marco, Serra Ivan, “Marley on the road”, Lit Edizioni /Arcana Editrice, 2014
  • White Timothy, “Bob Marley una vita di fuoco”, Arcana Editrice, 1994

in lingua inglese

  • Boot Adrian & Goldman Vivien, “Soul Rebel, Natural Mystic”, Eel Pie

Hutchinson, 1981

  • Burnett David, “Soul Rebel an intimate portrait of Bob Marley”, Insight Editions, 2009
  • Masouri John, “The story of Bob Marley’s Wailers: Wailing blues”, Omnibus Press & Schirmer Trade books, 2008
  • Steffens Roger, “So much things to say The oral history of Bob Marley”, W. W. Norton & Company, 2017
  • Steffens Roger & Pierson Leroy Jodie, “Bob Marley and The Wailers The definitive discography by Peter Tosh, Bunny Wailer & Bob Marley”, Rounder Books, 2005
  • Stephen Davis, “Bob Marley the biography”, A. Barker, 1983
  • Talamon Bruce W. , “Bob Marley Spirit Dancer”, W. W. Norton & Company, 1994
  • Unterberger Richie, “Bob Marley and the Wailers The ultimate illustrated history”, Quarto Publishing Group USA Inc, 2017
  • Vivien Goldman, “The book of Exodus the making & meaning of Bob Marley & the Wailers’ album of the century”, Three River Press, 2006

REGGAE”grafia consigliata

  • Bradley Lloyd, “Bass Culture la musica dalla Giamaica: ska, rocksteady, roots reggae, dub e dancehall”, Shake Edizioni, 2008
  • Campbell Horace, “Resistenza Rasta”, Shake Edizioni, 2004
  • Katz David, “Solid Foundation il reggae raccontato dai suoi protagonisti”, Stampa alternativa, 2007
  • Letts Don, “Punk & Dread quando la cultura giamaicana incontrò il punk”, Shake Edizioni, 2015
  • Mazzoni Lorenzo, “Kebra Nagast la bibbia segreta del Rastafari”, Coniglio Edizioni, 2007
  • Salewicz Chris & Boot Adrian, “Reggae Explosion – la storia della musica giamaicana”, Arcana, 2004

in lingua inglese e francese

  • Alleyne Mike, “The encyclopedia of Reggae the golden age of roots reggae”, Sterling, 2012
  • Augustyn Heather & Reeves Adam, “Alpha Boys’ School Cradle of Jamaican Music”, Half print Press, 2017
  • Barrow Steve & Dalton Peter, “Reggae – The rough guide”, (distributed by Penguin)
  • Ehrenggardt Thibault, “Reggae & Politique dans les années 70”, Dread Editions, 2016
  • Howell Bill & Lee Helene, “Pinnacle le paradis perdu des Rastas”, Afromundi, 2018
  • Steffens Roger & Simon Peter, “Reggae Scrapbook”, Insight Editions, 2015
  • Stephen Davis, “Reggae Bloodlines: in search of the Music and Culture of Jamaica”, Anchor Books, 1977

  • Stephen Davis & Peter Simon, “Reggae International”, Alfred A. Knopf, 1983

Roots Reggae – ascolti consigliati

  • Abyssinians, “Satta Massagana”, Penetrate Label, 1976
  • Black Uhuru, “Showcase”, Taxi, 1979
  • Burning Spear, “Marcus Garvey”, Island Records, 1975
  • Congos, “Heart Of The Congos”, Black Ark, 1977
  • Culture, “Two Sevens Clash”, Joe Gibbs Record, 1977
  • Dennis Brown, “Visions”, Lightning Records, 1978
  • Earth & Stone, “Kool Roots”, Cha Cha, 1979
  • Gladiators, “Trench Town Mix Up”, Virgin, 1976
  • Gregory Isaacs, “Soon Forward”, African Museum, 1979
  • Heptones, “Cool Rasta”, Trojan Records, 1976
  • Horace Andy, “In The Light”, Hungry Town, 1977
  • Hugh Mundell, “Africa Must Be Free by 1983”, Message, 1978
  • Israel Vibration, “The Same Songs”, Top Ranking, 1978
  • Junior Byles, “Beat Down Babylon”, Trojan Records, 1972
  • Max Romeo, “War Ina Babylon”, Island Records, 1976
  • Mighty Diamonds, “When The Right Time”, Well Charge, 1976
  • Misty In Roots, “Live At The Counter Eurovision”, People Unite, 1979
  • Ras Allah (Prince Alla), “Heaven Is My Roof”, New Star, 1978
  • The Royal Rasses & Lincoln Thompson, “Humanity”, Ballistic Records, 1979
  • Wailing Souls, “Wild Suspense”, Island Records

(*) già pubblicato sulla rivista “Pollicino Gnus”

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnaleràqualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

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