The Whale – Darren Aronofsky

(visto da Francesco Masala) il film di Darren Aronofsky, un bel corto di Cherish Oteka, un bel film di Jafar Panahi (visibile su Raiplay) e un ricordo di Carlos Saura

il film è girato (quasi) tutto in una stanza, nessuno può nascondersi.

Charlie vive solo, malato, superbulimico, e sopravvive facendo (inutili) lezioni online.

ha avuto due grandi amori nella vita, gli è rimasta una figlia, che lo odia per averla abbandonata quando aveva otto anni (anche in The Wrestler Mickey Rourke cercava di riavvicinarsi a una figlia ormai lontana).

solo una persona gli è affezionata, Liz (Hong Chau), e lo cura in tanti modi, dalla salute al cibo, lui non può più.

alla fine, come gli eroi, anche Charlie non se la caverà, ma alla fine qualcuno lo ama, come Ellie (Sadie Sink), la figlia.

in realtà è un film d’amore, sull’amore, sulla sincerità, sui rapporti umani, nient’altro.

e poi c’è Moby Dick, la vittima predestinata, in un misterioso commento su un foglio, in una cartellina preziosa per Charlie.

Brendan Fraser è immenso in tutti i sensi, un’interpretazione da Oscar.

un film che fa soffrire, da non perdere, sarete d’accordo.

Darren Aronofsky è esagerato, non conosce mezze misure, i suoi film si amano o si odiano, comunque non lasciano indifferenti.

se non si è capito, dall’opera prima (vista grazie a FuoriOrario) fino a oggi Darren Aronofsky ha fatto solo cose buone o eccezionali), il dio del cinema lo conservi).

buona (esagerata) visione.

https://markx7.blogspot.com/2023/02/the-whale-darren-aronofsky.html

 

 

 

 

Taxi Teheran – Jafar Panahi

Jafar, persona non grata per il Potere del suo paese, non può girare film, ma lui lo fa lo stesso.

certo, sono piccoli film, fatti in casa, costa solo la benzina e il nastro delle riprese, il resto è buona, anzi ottima, volontà.

il regista filma con la camera (abbastanza) fisse, in auto, persone e pensieri interessanti, come se si potessero dire quelle cose liberamente.

l’effetto è strano, e bellissimo.

non perdetevelo, il biglietto oggi è regalato.

 

QUI il film completo, sottotitolato in italiano, su Raiplay

https://markx7.blogspot.com/2023/02/taxi-teheran-jafar-panahi.html

 

Redazione
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Un commento

  • Nel 2011 a presiedere la Giuria del Concorso Venezia 68 della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografico fu chiamato Darren Aronofsky. Reduce dal successo ottenuto da Il cigno nero, concorrente l’anno precedente, e ancora prima dalla vittoria del Leone d’oro da parte di The Wrestler (2008), il regista newyorkese rappresentava un polo d’attrazione fatale e di irresistibile carisma per i frequentatori del Lido. La domanda era ovvia: su quale concorrente potranno orientarsi i gusti di Aronofsky? Che in sintesi più perentoria si traduce con: “Cosa mai piacerà a quel genio pazzoide di Aronofsky?”

    In coerenza alla propria indole ribelle, il primo passo che Darren fece da presidente fu quello di iniziare a frequentare le “notti” organizzate dall’allora Teatro Valle Occupato presso una struttura abbandonata non lontana dalla zona festivaliera. Trascurando magari le feste ufficiali. Il secondo passo – decisamente più trasgressivo – fu quello di parlare dei film in concorso che man mano vedeva proiettati e di cui avrebbe decretato le sorti.

    Chi scrive fu casualmente “oggetto” di alcune confidenze dell’allora presidente di Giuria veneziana proprio in alcune delle “notti” d’intrattenimento culturale off festival organizzate dal Valle Occupato.

    A 12 anni di distanza da quelle serate di fine estate, la notizia ha perso ogni suo valore di gossip (posto ne avesse), ma il ricordo più indelebile e oggi pertinente tra quelle parole segrete fu questo: Aronofsky era rimasto letteralmente sconvolto e profondamente turbato dalla visione di Shame di Steve McQueen, che concorreva e avrebbe vinto il Leone d’argento per la straordinaria interpretazione di Michael Fassbender. Al punto da associarlo e metterlo in parallelo, financo a confronto, con il proprio Requiem For a Dream (2000). Difficile – impossibile, visto il contesto – mi fu rispondere alla domanda “Ti ha sconvolto di più Shame o il mio Requiem?”.

    Lasciando i ricordi ed entrando nel merito della poetica tematico/formale del regista di cui oggi celebriamo The Whale, quell’episodio risuona da elemento rafforzativo di una convinzione: Darren Aronofsky è letteralmente ossessionato dal corpo, il cerchio magico entro e attorno a cui ruota la sua Visione-di-mondo. Tra simbologie, metafore, allegorie, sacralità, e variegate pluralità funzionali e semantiche di cui si può rivestire il “segno” somatico, è indubbio che per il cineasta nato nel febbraio del 1969 la corporalità rappresenti la metonimia dell’esistenza problematica, il microcosmo cui afferiscono le criticità (e tossicità) della vita, anche qualora siano rivestite da sacralità e conoscenza.

    L’immensità corporea del protagonista di The Whale ne è la versione extra-large, ma di fatto non differisce da quelle esibite nell’intera filmografia del cineasta, una opus indubbiamente nutrita da eccezionale coerenza interna.

    Come gli altri “corpi” messi in scena nel suo cinema, The Whale è il soma ferito, “intossicato” dalla distorta conoscenza gnoseologica, ovvero – per semplificazione – che partecipa all’atto esperienziale del conoscere stesso, nel bene e nel male. Diversamente, ma pur sempre danneggiato e “corrotto”, è il corpo delirante di Max ne π – Il teorema del delirio (1998), così come i corpi “guasti” e amputati di Sara, Harry e Marion di Requiem For a Dream, quello rovinato di The Wrestler, il corpo maniacale de Il cigno nero. E problematici, a loro modo, sono anche i corpi “sacralizzati” di Madre in Mother! (guarda la video recensione) (2017) e dell’eponimo Noah (2014), impossibilitati dall’uscire dal proprio ruolo, che partecipa fisicamente alle conoscenze, sorti e sofferenze del genere umano e animale. The Whale è morente anche perché rifiuta ogni salvezza dal proprio autolesionismo, un’altra delle caratteristiche di diversi corpi aronofskyani.

    Non v’è alcuno stupore, dunque, nel turbamento provato da Aronofsky davanti al film Shame del collega britannico: quel corpo sessuomane, imprigionato in una sofferenza tossica, poteva appartenere a pieno titolo a un suo personaggio, poteva essere il protagonista di un suo dramma, il vibrante tassello di un mosaico liturgico-ossessivo sospeso tra la vita e la morte, che negli anni ha contagiato di irresistibile dipendenza anche il pubblico cinematografico.
    (https://www.mymovies.it/film/2022/the-whale/news/lossessione-di-aronofsky-per-i-corpi/)

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