Tifo a orologeria
di Maria G. Di Rienzo
A volte il coraggio altrui ti riempie di meraviglia. Quando un articolo (16.6.2012) ha un occhiello a tutte maiuscole, che strilla come un direttore di collegio universitario si accinga ad “affrontare un fenomeno” a nostro beneficio, vien davvero voglia di rendere omaggio al cuor di leone che l’ha scritto. No, il direttore non si è battuto in un torneo di arti marziali contro Jackie Chan. Il direttore conosce una studentessa universitaria che si fa pagare o ricompensare con regali per le sue prestazioni sessuali, “un po’ per pagarsi l’università da fuori sede, un po’ di più per vivere al di sopra delle sue possibilità”. Da ciò, deduce il fenomeno: ha sentito dire che lo fanno anche in Asia, ha letto uno studio recente condotto in università statunitensi, ed ha persino conoscenza diretta di una persona in Italia. Molto scientifico, direi inconfutabile.
Naturalmente protegge l’identità della sua conoscente cambiandole il nome, e ci mancherebbe, ma non omette dettagli quali la nazionalità straniera della madre: il che comincia a singolarizzare la fanciulla e a renderla riconoscibile. “Voti discreti, in regola con gli esami, voglia di girare il mondo, curiosa, molto bella.” Non occorrerà essere degli Sherlock Holmes, agli altri studenti che conoscono e frequentano il direttore e che quindi si conoscono e frequentano fra di loro, per cominciare a fare ipotesi ragionevolmente corrette.
Comunque, per qual motivo lo racconta su un giornale nazionale? Quali intuizioni ha al proposito? Credo che il problema principale del direttore siano i “benpensanti”. Ci saranno molti, teme, a cui leggendo salterà in mente la parola “prostituzione”, quando invece la strada corretta è studiare la complessità della vicenda (???) in quanto “specchio della civiltà contemporanea” , nonché liberarsi dalla “finta pudicizia” e dagli “anatemi morali”. Certo, il comportamento della studentessa denota un “distorto rapporto tra corpo e denaro”, ma non ha nessun senso di colpa, perché “i paradigmi cambiano”. Per quel che riguarda la rappresentazione degli attori in uno scambio sessuale a pagamento, con la donna nella posizione “in vendita” e l’uomo nella posizione “compratore”, i paradigmi però restano gli stessi: si è chiesto, il direttore, se chi paga la ragazza si senta in colpa? Che ne pensa, il direttore, del rapporto fra corpo e denaro degli uomini che la comprano? E’ distorto o normale? Come mai il direttore non conosce studenti di sesso maschile che indossati “vestiti scintillanti e firmati” vanno in cerca di donne che comprino le loro prestazioni sessuali “nei locali più trendy”, un po’ per pagare i costi da fuori sede e un po’ per comprarsi scarpe, come fa la studentessa in questione? Questo posso dirglielo io: sarebbe un’impresa senza speranza, perché le donne hanno molti meno soldi degli uomini. Hanno meno credito, meno sicurezza, meno sostegno, meno legittimazione. In ogni ambito della loro vita. Le donne vendono se stesse per svariatissimi motivi, ma quello principale è che ci sono dei compratori. Ecco un vero fenomeno, con tanta di quella letteratura e di quella storia alle spalle, e tanto di quel dolore e di quella violenza, che se il direttore ci si mettesse di buzzo buono altro che un articoletto, potrebbe scrivere un’enciclopedia.
Ma la cosa che davvero lo tormenta, il concetto che ripete ossessivamente, è che bisogna evitare “condanne a priori poco utili”. Anche perché lui ha colto un sottinteso nella parole della studentessa: “Per alcune professoresse o compagne più grandi è troppo appariscente e interessata alle scarpe per essere intelligente.” Oh, finalmente!
Lo sapevo che in fondo era colpa nostra, di noi non appariscenti e disinteressate alle scarpe (personalmente, direttore, ci crederebbe? Ne possiedo solo tre paia! E le più nuove hanno almeno cinque anni!). Non basta che rispettiamo le scelte della fanciulla, dobbiamo approvarle. Non ci è concesso pensare o dire: credo sia stupido vendersi per avere l’ultimo modello di zeppe firmate. La studentessa-escort deve diventare un modello per noi, perché cos’altro può desiderare una donna se non costosi accessori da esibire nelle discoteche? Suvvia, ragazze, abbiate “una progettualità più ampia”, come dice il direttore. Si tratta del nuovo orizzonte dell’intelligenza, post laurea albanese del Trota. Non vorrete mica darla via per niente.
Ah, e dato che attualmente è in corso un processo in cui sono coinvolte molte di queste nuove paradigmatiche figure femminili, nonché personaggi assai noti della politica, dello spettacolo e della criminalità ordinaria (il tutto contemporeamente), e dato che la città in cui il direttore vive e pensa è Milano, come lo chiamiamo il suo articolino? “Tifo a orologeria per il Nano”?