Torino, cos’è successo in città
di Giorgio Monestarolo
Ho partecipato alla campagna elettorale per Chiara Appendino e sono entrato nel gruppo 5stelle del mio quartiere, San Salvario. Ieri sera ho festeggiato in piazza fino alle 3 con i militanti torinesi. Raccolgo qualche pensiero su questa breve esperienza e offro un po’ di riflessioni sulla mia personale biografia politica e sui motivi che mi hanno spinto a entrare nei 5S.
Bisognerà aspettare i dati sul ballottaggio e soprattutto sui flussi per sapere tecnicamente come è avvenuto questo successo elettorale straordinario. Dal punto di vista politico le cose stanno diversamente. Il discorso qui è molto più chiaro.
Nel 1994 si affrontarono al ballottaggio Diego Novelli, sostenuto da Rifondazione, dalla Rete di Orando, da una parte consistente della sinistra indipendente. Dall’altra Valentino Castellani, sostenuto dal Pds e soprattutto da una vasto schieramente di forze economiche, imprenditoriali e accademiche che andava dalla Fiat, al Politecnico, al mondo dei costruttori fino a intellettuali come Vattimo, allora ancora molto inserito nei salotti buoni torinesi. Fu uno scontro di classe che vide prevalere un’alleanza fra la cosiddetta borghesia rossa, l’apparato di quadri e intellettuali del vecchio Pci, con la borghesia liberale e industriale torinese. Esclusi da allora, e per più di vent’anni, furono i lavoratori, i precari, i giovani, il piccolo mondo imprenditoriale, l’intellettualità critica e dissidente. Chiara Appendino ha disarticolato questa alleanza, naturalmente con l’aiuto determinante della più grave crisi economico e sociale subita dal nostro Paese dal tempo dell’Unità nazionale. Nel 1994 votai Novelli, ieri ho votato Appendino. Anche oggi, e forse ancora più chiaramente di ieri, si è trattato di un voto di classe reso assolutamente plastico dal consenso di Appendino nelle periferie e da quello di Fassino nel centro nella collina ricca e borghese. Si potrebbe aggiungere che per Fassino si sono schierati i dirigenti piemontesi di Forza Italia, da Osvaldo Napoli a Enzo Ghigo e che già al primo turno il suo elettorato provenisse per il 36% dal centro destra (dati Istituto Cattaneo). Fassino ha rappresentato oggi un voto di conservazione, mentre il voto di Appendino ha dato voce a una volontà di cambiamento che proviene fondamentalmente dai ceti operai (o da quello che ne rimane), dai lavoratori precari, dai ceti intellettuali di massa, dalla piccola impresa e dalla micro impresa polverizzata, dai disoccupati.
Quest’area sociale non è stata rappresentata dalla sinistra radicale e antagonista perchè essa si è sostanzialmente suicidata nel 2008. Un suicidio dovuto da una parte all’incapacità di innovarsi sul piano organizzativo e dall’altra per essere risultata fondamentalmente subalterna al Pd e al cosiddetto sistema Torino: fu in larga misura uno scambio fra le due borghesie che ho ricordato più sopra. La Fiat, lanciata nella globalizzazione, e i dirigenti dell’ex Pci, hanno gestito la transizione alla Torino post industriale. Il nuovo business sono stati le speculazioni edilizie, con al centro le Olimpiadi invernali 2006, la finanziarizzazione, la creazione del sistema dei grandi eventi. Il risultato di quell’operazione, importante per la modernizzazione di parte della città, ha prodotto una divaricazione sociale e l’esclusione di quanti non avessero carte da spendere nel nuovo quadro di relazioni costruito dal sistema Torino senza precedenti.
A scompaginare il quadro, e a fornire per altro la base militante dei 5stelle a Torino, è stata la lotta alla Tav in Val di Susa. Progetto strategico per far continuare il sistema Torino, e le sue devastanti conseguenze sociali, esso è stato da sempre sostenuto contro ogni logica e contro ogni argomentazione di buon senso dalle due borghesie e dai loro anelli concentrici. La creazione di un movimento di massa, dai tratti direi illuministici (intellettualità diffusa e competenze tecniche di straordinario livello) ma completamente dal basso, con un gradiente di progettualità politica lungimirante, ovvero la necessità di porre fine al modello dello “sviluppo per lo sviluppo” per mettere al centro invece la transizione ecologica e all’economia della conoscenza, è stato il terreno entro cui è maturata la cultura dei 5S a Torino. Da questo gruppo militante, che ha avuto il coraggio di rompere con una sinistra radicale ormai in coma irreversibile, si è formata quel nucleo di alcune centinaia di militanti che hanno reso possibile guadagnare un consenso trasversale sul piano politico, ma di classe sul piano sociale. Posso solo dire che mentre queste centinaia di militanti hanno da una parte scritto il programma di Appendino, dall’altro hanno percorso tutta la città con iniziative a tappeto. A volantinare per Fassino erano ragazzi pagati con i voucher. La crisi di consenso di Fassino è stata lo specchio di una crisi sociale devastante e dell’esaurirsi di un modello di sviluppo della globalizzazione che ha lasciato una città esangue e piegata. Che Renzi abbia cercato di essere il più marchionniano dei segretari Pd lascia intendere quanto l’uomo non capisca niente di come stia andando il Paese e di quanto proprio quel modello di globalizzazione sia, anche in una città che ne era stato un modello virtuoso, definitivamente tramontato.
Chiudo con una riflessione. Alla festa in piazza c’erano i militanti ma non c’era il popolo. La città è in realtà sola, atomizzata, raccolta in se stessa, nelle sue articolazioni primarie. Di fronte a questa crisi, che Marco Revelli ha descritto magnificamente in un libello del 2010, «Poveri noi», se ne esce soltanto con un grande slancio di partecipazione civile e democratica. Ci sono tantissime risorse e capacità che oggi dovrebbero cogliere l’occasione straordinaria di cambiamento che la vittoria di Appendino offre. La scommessa più grande del movimento 5S a Torino, come nel Paese, è proprio riattivare un processo di rinnovamento profondo che realizzi le promesse di giustizia sociale, di conversione ecologica, di rifondazione democratica che costituiscono i valori di riferimento di tutti noi.
LE IMMAGINI sono due vignette di VAURO: vecchie ma sempre buone (db)
fino a prova contraria (e per molto tempo, visti gli attori in giro) il movimento 5 Stelle è e sarà la sola forza di cambiamento
La nota è interessante, specie nella ricostruzione delle vicende politiche cittadine degli ultimi ventidue anni, da parte mia ( residente nell’estremo sud) seguite nelle vesti di lettore e di cultore civile e democratico.
Certo ( suppongo), i flussi elettorali tra il primo turno e il ballottaggio dicono bene le “coalizioni” che si sono venute a consolidare nelle libera scelta dei cittadini, coagulante pensieri ed opere, le più differenziate tra loro nel modello morale, politico e sociale da perseguire.
E’ questo il nuovo schema di assemblaggio che avanza nella fase storica più confusa e contorta che caratterizza il nostro Paese, capace di costruire, con le linee guida dei nuovi dirigenti che avanzano, le necessarie innovazioni strutturali: partecipazione diffusa e concreta, equità sociale, diritti civili, fratellanza, difesa di madre Terra, sul piano nazionale ed internazionale?
Da parte mia rimango alquanto dubbioso.
Mi auguro che Torino rimanga, a partire dalle scelte operative gestionali istituzionali locali e dalla capacità di costruire coesione diffusa, città aperta, accogliente, solidale, valorizzando i contributi “esterni” – la storia del movimento dei lavoratori torinese lo insegna – , come da sempre rinsaldato nel corso degli ultimi settant’anni, da dopo la Liberazione. Le centinaia di migliaia, uomini e donne, migrate a Torino dal Sud sono sempre presenti nella memoria comune.
……Oggi i migranti provengono prevalentemente da altre aree.
Caro Domenico, i tuoi dubbi sono giusti e motivati. Io, nel mio piccolissimo, appartengo a quella storia del movimento operaio torinese che in buona parte è stato ucciso in altra parte si è suicidato in modo masochistico. Ti posso però riferire due cose che ho ascoltato dai militanti. La prima è la rivendicazione di essere terrona di una maestra, immigrata,a Torino che ho conosciuto volantinando. Una conferma di una tradizione di immigrazione dal sud e di conflittualità positiva che trova un qualche sbocco nei 5S come una volta lo trovava nella nuova sinistra e nel pci. La seconda riguarda le collette che molti militanti fanno per sostenere i loro “cittadini” militanti più poveri ed in difficoltà. Anche qui una tradizione di solidarietà e di mutuo soccorso che ha avuto tanta storia a Torino quando garrivano le bandiere rosse. Certo i 5s sono anche tante altre cose. Però vi è un ancoraggio forte alla nostra costituzione e alla resistenza. E di qui passa, forse, credo, mi illudo?, la continuità con un passato che adesso sembra consegnato agli archivi.
Giusto come contributo per allargare il confronto riporto il link di una intervista pubblicata dal quotidiano il Manifesto al sociologo Semi ( 21 giugno), ripresa dal sito “Contro la crisi”
http://www.controlacrisi.org/notizia/Politica/2016/6/21/47528-la-giunta-fassino-non-ha-brillato-per-creativita-e-il/
Molto importante, ben condivisibile, la valutazione del sociologo all’ultima domanda:
( d.) Una delle critiche al Movimento 5 Stelle è che raccoglierebbe il voto di destra e populista. Cosa pensa?
( r.) Ci sono due Cinque Stelle, uno a livello nazionale molto opaco nelle dinamiche interne e problematico rispetto alle categorie classiche destra-sinistra, e c’è un livello locale più autonomo, a Torino hanno un registro più di sinistra che non hanno altrove, probabilmente per la saldatura con il movimento No Tav.
Grazie, lo leggo.
Scrivo di getto, poi taccio.
La nota di Giorgio Monesterolo del 21 giugno c.a. poteva ( ..potrebbe ancora ?) essere una buona occasione per aprire una discussione di merito sulla vicenda prioritariamente all’od.g. in Italia, dopo l’ultimo giro delle elezioni amministrative che, tra l’altro, ha coinvolto le quattro principali città italiane. A maggior ragione se proveniente da un occhio originario dal variegato mondo della sinistra, sostenitore del movimento No Tav, elettore dei 5 Stelle.
Però ,come avvenuto nel corpo degli elettori, anche tra i frequentatori del sito – tranne il brevissimo telegramma di Masala -, prevale l’astensione. Evidentemente la spietata realtà regna “sovrana”.
Eppure, al di là che abbia vinto il “franze o spagna” di atavica memoria in tutte le realtà comunali chiamate al
voto, questa dell’astensione rappresenta la questione centrale.
Pur di fronte ad una “novità dirompente” ( 5 stelle), il renzismo rampante di un Pd ormai smontato (…partito della nazione), e il tentativo di rilancio del variegato mondo del “resto del mondo” della politica organizzata, al primo turno ( coinvolti 13 milioni di cittadini) hanno votato 6 elettori su 10, al ballottaggio solo 5 ( su 10).
Il dato è che i sindaci eletti mediamente sono stati votati da una percentuale di cittadini che oscilla tra il 25 e il 30%. ( vale anche per Torino, città di Monesterolo). E proprio il mistero del sistema elettorale dei Comuni che al ballottaggio fa decrescere le magre schiere iniziali, il metodo che vorrebbero trasferire sul piano nazionale ( Italicum). Se alle elezioni amministrative ( comunali/regionali) esistesse il quorum del 50+1, come nei referendum, avremmo commissari/podestà per lunghissimo tempo.
E’ questo il nuovo che avanza? A me pare ( come già in opera da alcuni anni – astensione-) una bruttissima campana a morte per la partecipazione, quindi per l’essenza vera della nostra democrazia.
C’è ben poco da festeggiare! Solo i novelli “futuristi” ( il movimento del 19 – 1919- che precedette il fascismo) brindavano alla presunta “modernità” prima dell’inizio del ventennio.
Oggi, il nuovo che avanza ( nulla di esaltante sul piano complessivo, già alle ultimi politiche erano quasi il primo partito/movimento in Italia), nel disprezzo contro tutto e tutti, si pregia di non avere gli orpelli della memoria.
Eppure la Memoria, costituita dagli atti e dalle azioni di uomini e donne nel percorso plurisecolare che hanno determinato la crescita sociale e umana, rappresenta nel suo tramando, pur nelle contraddizioni e negli agguati sempre in essere, il nocciolo duro della comunità ( dall’Alpi a Capo Passero).
Il cancellamento della memoria, come avvenuto in tempi ancora recenti nello scenario nazionale ed internazionale, è foriera di brutti presagi.
Infatti, sui nodi strutturali che costituiscono i tempi e i modi della gestione della comunità nulla dicono di realmente comprensibile: mondo del lavoro ( disoccupazione, salari/stipendi, aspetti contrattuali e diritti nei luoghi di lavoro, distruzione ed esportazione nei paesi a basso costo di lavoro di intere filiere produttive), diritti civili ( accoglienza, solidarietà, cittadinanza ai nati in Italia da genitori migranti, gestione della sanità e della scuola pubblica), sulla dirompente evasione fiscale, comunità europea, politiche internazionali, guerre in corso, vendita di armamenti, “globalizzazione”……………..)
In tante occasioni si sono scagliati contro le organizzazioni sindacali, che pur tra le tante contraddizioni in essere rappresentano ancora il mondo del lavoro per cercare di frenare lo strapotere dei padroni del vapore (….e che padroni, ormai sparsi e camuffati in giro per il mondo).
Sì, è pur vero, mentre sono inesistenti nei movimenti e nelle lotte antirazziste ( a parte le sprezzanti “battute” contro il nuovo sindaco islamico di Londra) , fino a d ora si sono mossi a sostegno dei movimenti civili e democratici ( sostenuti anche da altre strutture politiche) impegnati per l’acqua pubblica, contro gli inceneritori, Rifiuti zero, il No Tav e il No Muos. …..Vedremo nello sviluppo delle cose!
Concludo. Martedì’ sera Di Maio intervenuto nella trasmissione “Ballarò” metteva in testa alle priorità da perseguire il contrasto o eliminazione di Equitalia e dei studi di settore ( per i lavoratori autonomi).
Se questa è la strada per la lotta contro la perversa evasione fiscale che attanaglia e distrugge il nostro paese e l’equità fiscale…..campa cavallo. Ai lavoratori dipendenti e ai pensionati che viene di nuovo?
AI nuovi “posteri” l’ardua risposta.