Torre Maura: la rivolta del pane calpestato
di Nino Lisi (*)
«Un pezzo di pane non si nega ad alcuno» recita un antico adagio, di casa non so più in quale regione italiana. Forse in tutte.
Il pane, componente essenziale dell’alimentazione umana nei nostri paesi, è nelle nostre culture simbolo della vita, tanto che sin dall’antichità è divenuto cibo rituale: degli Ebrei – che, azzimo, lo chiamano pane della liberazione, con riferimento alla schiavitù in Egitto da cui si liberarono scavalcando il Mar Rosso – e dei Cristiani, per i quali spezzare e condividere il pane (azzimo come l’ostia, o lievitato) è divenuto segno dell’aspirazione dei singoli e delle comunità a condividere la propria vita con quella degli/delle altri/e sino a spenderla per loro, sull’esempio di quel che, secondo il racconto dei Vangeli, fece Gesù di Nazareth.
Il pane dunque ha per noi, come afferma Gad Lerner, qualcosa di sacro.
Per questo le immagini del pane calpestato a Torre Maura, portate nelle nostre case dalla televisione, sono state sensazionali. Calpestare il pane, che era destinato ad alcune famiglie della minoranza più disprezzata ed emarginata di tutte, manda un messaggio preciso: non vi riconosciamo il diritto di esistere, vi neghiamo la possibilità di vivere e per questo distruggiamo il cibo che dovrebbe sostentarvi. Dunque il pane da segno di vita, quando è donato, diventa strumento di morte, se negato; è quel che si è visto a Torre Maura.
Ma al di là del significato simbolico, che in questo caso rappresenta fedelmente, per quanto sia terribile, il senso della protesta,bisogna sforzarsi di scoprirne i moventi e rintracciarne le cause profonde, antiche e recenti, sfuggendo a becere semplificazioni e a facili condanne.
A mio avviso quel che è avvenuto a Torre Maura segna la crisi, assai vicina al fallimento, di due disegni, riguardanti uno il modello di città e l’altro le modalità con cui si intende realizzare il “superamento” dei campi denominati nomadi.
Quanto al disegno della città, riducendo a poche battute un discorso (che meriterebbe ben altro spazio di quello consentito nel corpo di un articolo) va ricordato come Roma ha indirizzato la propria modernizzazione. L’ha indirizzata secondo le linee del modello gerarchico e classista della città industriale, caratterizzando e qualificando i diversi spazi del suo territorio urbano a seconda della funzione a ciascuno assegnata e spostando nelle periferie le classi popolari. Periferie nate sin dall’origine quindi con una scadente qualità urbana, contrapposta all’effervescenza degli altri spazi dove l’affluenza di arti, scienze, cultura, energie professionali e imprenditoriali dava luogo ad una massiccia presenza dell’«effetto città», inteso come clima caratterizzato da vivacità intellettuale, creatività,inventiva,capacità di innovazione e di novità organizzative. Il tutto funzionale alle esigenze dell’espansione capitalistica, in particolare della sua fase fordista.
Con il passaggio dal Fordismo, con le sue grandi fabbriche e la sua “logica” inclusiva di territori e di strati sociali, alla Globalizzazione, con la sua logica fortemente selettiva, che concentra i sistemi produttivi e i centri decisionali, l’economia della capitale va in crisi. Per quel che riguarda l’Europa la concentrazione dello “sviluppo” avviene lungo l’asse Milano Amburgo Londra, l’area dalla famosa sagoma a forma di “banana”.
Per il suo rilancio Roma punta sull’offerta, per dirla con le parole del compianto Bruno Amoroso, dei suoi «spazi ricreativi e culturali che possono essere colonizzati e messi al servizio degli abitanti ricchi della Triade (Europa.USA, Giappone). Le sue ricchezze storiche e naturali, se mercificate, possono divenire fonte di sfruttamento turistico intensivo per i ceti medi in cerca di consolazione alle proprie frustrazioni sociali (e politiche) prodotte dalla Globalizzazione». A tal fine «i quartieri storici del centro, vanno sgombrati e questo si può attuare lasciando funzionare i meccanismi del “mercato”, deportando i suoi abitanti verso le vecchie e nuove periferie e sostituendo il tessuto urbano con alberghi di vario di tipo, abitazioni di lusso riservate ai pochi privilegiati, meglio se stranieri ricchi».
Lo chiamarono “Modello Roma” e specialmente per le classi popolari non è stato un gran che.
Con il Modello Roma il disegno di città industriale perde di senso
Le periferie, specie le vecchie, vengono abbandonate a se stesse sicché la qualità urbana decade ulteriormente sino a livelli insopportabili. E poiché le fonti di reddito delle classi popolari si rarefanno e si sterilizzano, nelle periferie al degrado ambientale si congiungono disagio e marginalità sociale. Disoccupazione, mancanza di servizi,assenza di prospettive, isolamento e degrado costituiscono una miscela esplosiva che non attende che un innesco per esplodere.
Nel caso di Torre Maura ad agire da innesco è stata l’insipienza con la quale si è effettuato,senza minimamente preparare i residenti all’accoglienza, l’inserimento di un buon numero di famiglie rom. E’ assurdo muoversi in tal modo in un contesto territoriale di forte degrado materiale e di grande sofferenza sociale. Ma così è stato fatto.
Al di là delle connotazioni razziste impresse alla reazione popolare anche dalla presenza di Casa Pound e Forza Nuova, quello della popolazione di Torre Maura è stato anzitutto un moto di ribellione nei confronti di istituzioni che utilizzano spregiudicatamente le periferie come discariche sociali ed il cui operato viene di conseguenza visto da chi vi risiede non per ridurre degrado e disagio ma per aumentare e l’uno e l’altro. E’ emblematico che a motivare il rifiuto della vicinanza di Rom è la indiscriminata accusa mossa loro di essere tutti ladri. Accusa sintomatica della paura di essere derubati, da chi è ancora più povero e disperato, di quel pochissimo che si può possedere.
Prendersela con chi ha organizzato il trasferimento dei Rom sarebbe non solo ingiusto ma sbagliato. Sarebbe cadere nel solito errore di fermarsi a guardare il dito invece che cercare di vedere la luna. E’ tutto il “Piano per il superamento dei campi” apprestato da Roma Capitale ad essere impostato sul “metodo dei polli in batteria”. Il Piano punta alla chiusura dei campi invece che a renderli superflui, in questo senso superati, perché svuotati a seguito del successo di processi di inclusione sociale basati su percorsi di responsabilizzazione dei singoli individui e dei nuclei familiari, come prevede la Strategia Nazionale di Inclusione Sociale dei Rom Sinti e Caminanti approvata dal governo Monti nel Febbraio del 2012, ad ora del tutto inattuata.
Sarebbe altrettanto improprio ed inconcludente addossare alla Giunta Raggi la responsabilità del fallimento del modello di città che essa ha ereditato già abbondantemente in crisi e della situazione dei “campi nomadi” che le precedenti Giunte avevano creato e che Mafia Capitale aveva contribuito ad aggravare in misura notevole. Ma la responsabilità di aver abbandonato dopo la emersione di Mafia Capitale i “campi nomadi” a ulteriore degrado e disperazione privandoli di qualsiasi supporto con la eliminazione indiscriminata e senza sostituirle delle associazioni che fornivano alcuni servizi essenziali e di aver concepito e voler dare esecuzione ad un Piano che considera il superamento dei “campi” soprattutto come un problema di decoro urbano ed ordine pubblico, è tutta sua.
Non è forse fuor di luogo ricordare in conclusione che i campi furono allestiti originariamente negli anni ottanta dello scorso secolo come campi di sosta per accogliere piccole immigrazioni causate da condizioni di miseria e che le grandi ondate sono avvenute nel ’91-92 per gli scontri etnici in Bosnia e dal ’99 a causa della guerra del Kossovo.Di conseguenza molti dei residenti nei campi sono profughi di guerra o loro discendenti, ai quali si sono aggiunti – a partire dal 2000 – profughi della miseria che ha devastato Paesi come la Romania.
Fu il governo di Forza Italia e Lega che dichiarò l’esistenza di un’ “emergenza nomadi” ed emanò direttive ai Prefetti per fronteggiarla. Emergenza che il Consiglio di Stato nel 2011 e la Corte di Cassazione nel 2013 hanno dichiarato inesistente, sancendo l’illegalità dei provvedimenti conseguenti e degli stessi campi. Per tanto oltre che occuparci,come ovviamente è giusto, di comportamenti che non raramente sfiorano o oltrepassano la linea di demarcazione della legalità di chi, privato di ogni diritto e spesso della stessa cittadinanza, è costretto a sopravvivere di espedienti, bisognerebbe occuparsi e preoccuparsi anche della illegalità nella quale si trovano le stesse Istituzioni. Basti pensare che il Tribunale Civile di Roma nel 2013, avendo riconosciuto a un cittadino rom di essere stato vittima di discriminazione su base etnica, ha ordinato al Ministero dell’Interno di distruggere tutti i documenti che contengono i dati sensibili dell’uomo raccolti durante il fotosegnalamento. Per non aver saputo o voluto por fine agli esiti della “emergenza” inventata da una politica fortemente marcata di razzismo di un nostro governo, non pochi Comuni e alcune Regioni sarebbero dunque passibili di pari sanzioni se solo i Rom i Sinti e i Caminanti si organizzassero e adissero la magistratura.
Ecco cosa svela, a ben guardare, la rivolta del pane calpestato: che a Torre Maura c’è un’enorme esasperazione che, pessima consigliera, può indurre a comportamenti esecrabili, venati di razzismo e illegali, ma che razzismo e illegalità non nascono lì ma nascono e albergano altrove; a Torre Maura come in altre periferie ci arrivano di risulta. A Torre Maura però ci sono anche anticorpi se è vero che un ragazzo di soli 15 anni – un tal Simone – è sceso in strada e piazzatosi di fronte a un esponente di Casa Pound che incitava la gente contro gli zingari lo ha contraddetto con fermezza e gli ha detto faccia a faccia: «Nun me va che no!».
Mi domando se per quell’ “altrove” dove illegalità e razzismo vemgono generati ci sono sufficienti anticorpi. Forse è il caso di organizzarci per produrli. E in fretta.
(*9 ripreso da https://www.articolo21.org/
GIORNATA INTERNAZIONALE PER I DIRITTI DEI ROM: ASSOCIAZIONE 21 LUGLIO E AMNESTY INTERNATIONAL SULLA CONDIZIONE ABITATIVA DELLE COMUNITÀ ROM E GLI SGOMBERI FORZATI
In occasione dell’8 aprile, Giornata internazionale per i diritti dei rom, Associazione 21 luglio e Amnesty International hanno presentato i dati relativi alle comunità rom in insediamenti formali e informali in Italia e nella città di Roma, estratti dal Rapporto “I margini del margine” curato da Associazione 21 luglio, e il ricorso presentato da Amnesty International al Comitato europeo dei diritti sociali.
Dati e numeri
In Italia è possibile quantificare circa 25.000 persone di etnia rom che vivono in baraccopoli istituzionale e in baraccopoli informali. Una realtà che rappresenta un unicum nel panorama italiano è quella rappresentata dagli insediamenti formali. In Italia se ne contano 127, presenti in ben 74 Comuni. Al loro interno vivono circa 15.000 persone, dei quali più della metà sono rappresentati da minori, con una percentuale di cittadini con cittadinanza italiana vicina al 45%. Negli insediamenti informali – solo a Roma se ne contano quasi 300 – vivono invece cittadini rumeni e, in minima parte, bulgari. Si tratta di lavoratori stagionali, impegnati in un pendolarismo dalle città di origine al nostro Paese. Nella città di Roma, alla fine del 2018 risultavano essere 6.030 rom e sinti in emergenza abitativa, pari allo 0,20% della popolazione romana, secondo la seguente suddivisione: rom e sinti presenti in 16 insediamenti formali (compresivi dei “campi tollerati”): 4.080 persone; rom presenti nei circa 300 insediamenti informali: circa 1.300 persone; rom presenti in un’occupazione monoetnica: circa 650 persone.
Sgomberi forzati
Nel 2016 le azioni di sgombero forzato, registrate sul territorio del Comune di Roma, erano state 28. Nel 2017 si era registrato un incremento del 18%, con un numero di sgomberi registrati pari a 33. Gli sgomberi forzati registrati nel 2018 da Associazione 21 luglio sono stati 40 con un incremento, rispetto all’anno precedente, del 21%. Secondo le osservazioni condotte anche sul campo da Associazione 21 luglio, si stima che i rom coinvolti nei 40 sgomberi forzati organizzati nell’anno 2018 siano stati in totale 1.300 per un costo complessivo di circa 1.640.000 euro.
Scolarizzazione dei minori rom
Nel novembre 2018, in riferimento ai 10 insediamenti presso i quali il Comune di Roma organizza il servizio di accompagnamento scolastico, risultavano iscritti alla scuola dell’obbligo 940 alunni, con un calo dell’8% rispetto all’anno precedente. L’insediamento che conta il più alto numero di iscritti è quello di Castel Romano (252 alunni) mentre quello con il numero minore di iscritti risulta essere quello di Salviati 2 (14 alunni). È importante notare come i dati sopra esposti si riferiscono esclusivamente ai minori rom iscritti e non quelli realmente frequentanti con regolarità. Questi ultimi, se volessimo considerare i dati degli anni precedenti, non dovrebbero superare il 20% degli iscritti, un numero che, se ritenessimo ancora valido, ci porterebbe a concludere che sono meno di 200 i bambini rom che a Roma hanno una frequenza regolare.
Ricorso al Comitato europeo dei diritti sociali
Di fronte al perdurante scandalo della situazione abitativa dei rom in Italia, Amnesty International ha deciso di presentare per la prima volta un ricorso al Comitato europeo dei diritti sociali. Elaborato sulla base di anni di ricerche, soprattutto a Roma, Milano e Napoli, il ricorso presenta prove circostanziate di violazioni della Carta sociale europea, vincolante per l’Italia, tra cui i diffusi sgomberi forzati, il continuo uso di campi segregati con condizioni abitative al di sotto degli standard e il mancato accesso secondo criteri di uguaglianza all’edilizia sociale. Le condizioni abitative inadeguate in cui si trovano migliaia di rom in Italia comprendono l’assenza di infrastrutture e servizi di base come l’accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari, riscaldamento ed energia elettrica. Prive di un titolo di possesso dell’alloggio, persino nei campi autorizzati, queste persone restano a rischio di sgomberi forzati, frequentemente eseguiti. Le autorità locali continuano a perpetuare la segregazione trasferendo i rom in altri campi, spesso considerati come l’unica soluzione abitativa per famiglie rom che non sono in grado di mantenersi autonomamente. Questa situazione è esacerbata dalla loro esclusione di fatto dall’accesso all’edilizia sociale in molte città.
Dichiarazione di Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio
Leggendo le azioni del “Piano rom” presentato dalla sindaca Virginia Raggi il 31 maggio 2017, vediamo rafforzata sempre più la convinzione che se lo stesso resterà immutato, non potrà sicuramente portare a quei risultati auspicati in linea con quanto fissato dalla Strategia Nazionale per l’Inclusione dei rom. Il tentativo, andato fallito, di superamento del Camping River, conclusosi con lo sgombero forzato il 26 luglio 2018, l’impegno mai realizzato di iniziare la chiusura dell’insediamento di Castel Romano, il tortuoso percorso di chiusura dei “campi” di La Barbuta e Monachina, mostrano le debolezze di un “Piano rom” che nasce sulla mancanza di fiducia tra le due parti, si fonda su un approccio “rieducativo” e discriminatorio, definisce in maniera arbitraria obiettivi irraggiungibili, che non sembrano in alcun modo tener conto del contesto particolarmente deprivato in cui vivono da anni famiglie rom. Preoccupa, tra le prime azioni del 2019, la realizzazione di “centri di raccolta rom”, sistema già ideato da Alemanno e smantellato da Mafia Capitale, che in barba al rispetto dei diritti umani, crea ghetti monoetnici che nulla hanno a che vedere con fenomeni di inclusione. Le conseguenze di questa politica che non offre risposte e non presenta discontinuità rispetto al passato è causa di malcontenti e tensioni che, laddove strumentalizzati, possa portare ad episodi simili a quelli registrati nei giorni scorsi a Torre Maura.
A fronte di questa debolezza, generano ulteriore preoccupazione l’impennata degli sgomberi forzati, la militarizzazione degli insediamenti voluta per combattere la piaga dei roghi, le drammatiche conseguenze del c.d. “Decreto Salvini” che getterà nell’irregolarità circa 1.000 rom presenti negli insediamenti romani da almeno 30 anni. Secondo Associazione 21 luglio occorre un forte segnale di inversione di tendenza per evitare l’incancrenirsi, nelle periferie romane, di sacche di esclusione, di marginalità e di povertà ancora più gravi di quelle conosciute negli ultimi anni.
Dichiarazione di Elisa De Pieri, ricercatrice dell’ufficio regionale per l’Europa di Amnesty International
Le condizioni abitative di migliaia di rom in Italia sono una scandalosa violazione dei diritti umani cui nessuna amministrazione locale o nazionale si è presa la responsabilità di porre termine. Da molti anni mancano proposte legislative e politiche inclusive, accompagnate da risorse adeguate, che pongano rimedio alle condizioni di grave deprivazione socio-abitativa di questa comunità. Abbiamo documentato per quasi un decennio continui sgomberi forzati, segregazione abitativa in alloggi inadeguati e discriminazioni nell’accesso dei rom agli alloggi popolari, a Roma, ma anche a Milano e Napoli. È assolutamente necessario un cambio di passo per consentire a queste famiglie di accedere in condizioni di eguaglianza a un alloggio adeguato e non discriminatorio. Per questo abbiamo presentato un reclamo al Comitato europeo dei diritti sociali, che ci auguriamo chiami a rispondere le autorità italiane delle continue violazioni che i rom subiscono sul territorio. Ma ci auguriamo soprattutto che la pressione di questa procedura contribuisca a innescare un processo di ripensamento delle condizioni abitative dei rom, perché questi possano finalmente trovare risposte rispettose dei diritti alle proprie necessità abitative.