Tre poesie di Wislawa Szymborska
Appuntamento con “la cicala del sabato” (*)
Figli dell’epoca
Siamo figli dell’epoca,
l’epoca è politica.
Tutte le tue, nostre, vostre
faccende diurne, notturne
sono faccende politiche.
Che ti piaccia o no,
i tuoi geni hanno un passato politico,
la tua pelle una sfumatura politica,
i tuoi occhi un aspetto politico.
Ciò di cui parli ha una risonanza,
ciò di cui taci ha una valenza
in un modo o nell’altro politica.
Perfino per campi, per boschi
fai passi politici
su uno sfondo politico.
Anche le poesie apolitiche sono politiche,
e in alto brilla la luna,
cosa non più lunare.
Essere o non essere, questo è il problema.
Quale problema, rispondi sul tema.
Problema politico.
Non devi neppure essere una creatura umana
per acquistare un significato politico.
Basta che tu sia petrolio,
mangime arricchito o materiale riciclabile.
O anche il tavolo delle trattative, sulla cui forma
si è disputato per mesi:
se negoziare sulla vita e la morte
intorno a uno rotondo o quadrato.
Intanto la gente moriva,
gli animali crepavano,
le case bruciavano e i campi inselvatichivano
come nelle epoche remote
e meno politiche.
[da «Vista con granello di sabbia», traduzione di Pietro Marchesani]
Contributo alla statistica
Su cento persone:
che ne sanno sempre più degli altri
– cinquantadue;
insicuri a ogni passo
– quasi tutti gli altri;
pronti ad aiutare,
purché la cosa non duri molto
– ben quarantanove;
buoni sempre,
perché non sanno fare altrimenti
quattro, be’, forse cinque;
propensi ad ammirare senza invidia
– diciotto;
viventi con la continua paura
di qualcuno o qualcosa –
– settantasette;
dotati per la felicità,
– al massimo poco più di venti;
innocui singolarmente,
che imbarbariscono nella folla
– di sicuro più della metà;
crudeli,
se costretti dalle circostanze
– è meglio non saperlo
neppure approssimativamente;
quelli col senno di poi
– non molti di più
di quelli col senno di prima;
che dalla vita prendono solo cose
– quaranta,
anche se vorrei sbagliarmi;
ripiegati, dolenti
e senza torcia nel buio
– ottantatré
prima o poi;
degni di compassione
– novantanove;
mortali
– cento su cento.
Numero al momento invariato.
[da «Attimo», traduzione di Pietro Marchesani]
Il cielo
Da qui si doveva cominciare: il cielo.
Finestra senza davanzale, telaio, vetri.
Un’apertura e nulla più,
ma spalancata.
Non devo attendere una notte serena,
né alzare la testa,
per osservare il cielo.
L’ho dietro a me, sottomano e sulle palpebre.
Il cielo mi avvolge ermeticamente
e mi solleva dal basso.
Perfino le montagne più alte
non sono più vicine al cielo
delle valli più profonde.
In nessun luogo ce n’è più
che in un altro.
La nuvola è schiacciata dal cielo
inesorabilmente come la tomba.
La talpa è al settimo cielo
come il gufo che scuote le ali.
La cosa che cade in un abisso
cade da cielo a cielo.
Friabili, fluenti, rocciosi,
infuocati e aerei,
distese di cielo, briciole di cielo,
folate e cumuli di cielo.
Il cielo è onnipresente
perfino nel buio sotto la pelle.
Mangio cielo, evacuo cielo.
Sono una trappola in trappola,
un abitante abitato,
un abbraccio abbracciato,
una domanda in risposta a una domanda.
La divisione in cielo e terra
non è il modo appropriato
di pensare a questa totalità.
Permette solo di sopravvivere
a un indirizzo più esatto,
più facile da trovare,
se dovessero cercarmi.
Miei segni particolari:
incanto e disperazione.
[da «La fine e l’inizio», traduzione di Pietro Marchesani]
(*) Qui, il sabato, regna “cicala”: libraia militante e molto altro, codesta cicala da oltre 15 anni invia ad amiche/amici per 5 giorni alla settimana i versi che le piacciono; immaginate che gioia far tardi la sera oppure risvegliarsi al mattino trovando una poesia. Abbiamo raggiunto uno storico accordo: lei sceglie ogni settimana i versi da regalare alla “bottega” e io posto. Perciò ci rivediamo qui fra 7 giorni. [db]
Fantastico! Che bella idea, abbiamo bisogno di poesie.
UN VERO DONO, disinteressato e utile.
GRAZIE!
Che piacere la poesia.
E’un insuflare energia.
Grazie tante
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Grazie.
Poter leggere poesie e’ dolcezza ed energia.