Trieste Science+Fiction Festival: diario di bordo – 1
Futurologia e dintorni
di Fabrizio (“Astrofilosofo”) Melodia
Nello storico Caffè San Marco di Trieste, in via Cesare Battisti 18, ancora ti preparano la divina miscela con il macchinario a vapore del secolo scorso, che niente ha da invidiare alle macchine dello Steampunk più sfrenato. Mi guardo intorno, le decorazioni liberty spiccano potenti e da un momento all’altro mi aspetto di vedere personaggi desunti dai romanzi di Paul Di Filippo o di Philip Josè Farmer. C’è addirittura una piccola libreria molto ben curata, dove trovo pure una rivista di fantascienza che non avevo mai visto, «Insolito e fantastico». Costa 8 euri, e mi sembra davvero ben fatta. La si può trovare qui: http://www.insolitoefantastico.blogspot.it
Il luogo è stato preparato bene per gli incontri del Ts+Ff: tavolini e sedie sono ben disposti. I volontari del Trieste Science+Fiction Festival sono in trepidante attesa: gli incontri di futurologia (la branca che analizza secondo proiezioni come potrebbe essere il futuro, un po’ come la psicostoria di Hari Seldon) sono un punto di forza dell’evento, con chicche notevoli.
La mattina del 30 ottobre si apre con la presentazione del libro «Hitorizumo» (Minerva edizione) di Nicola Skert, scrittore “pendolare”. Infatti scrive nelle lunghe pause di percorrenza del treno, situazione che mi accomuna molto con lui e che inevitabilmente mi mette in simpatia. Lo scrittore ha modi sereni e un sorriso gioviale che conquista.
Presentato il booktrailer: susseguirsi di scene violente, dall’omicidio allo stupro. Si conclude con un flash nel cielo, ovvero si spegne il sole come una lampadina, un evento impossibile, inspiegabile, che preme su una delle paure primordiali dell’uomo, quella del buio. Ma ora che il sole si è spento, cosa accadrà?
Un piccolo pretesto letterario per raccontare come l’essere umano e la società intera reagiranno alla totale ed eterna notte che si appresta a essere vissuta nei suoi aspetti più tragici e paralizzanti.
Come non ricordare «Notturno» di Isaac Asimov? Il protagonista è un meteorologo (figura quasi autobiografica) che lavora fuori casa e trovandosi in strada al momento dello “spegnimento” vuole in tutti i modi tornare a casa da moglie e figlio, al quale deve rivelare un oscuro segreto. Tutto ciò che accomuna le persone è aver qualcosa di irrisolto da dover fare. Altro evento è la presenza di strane ombre, percepite all’inizio solo dal protagonista, poi lentamente anche dagli altri. Ma che fine farà la Terra senza il suo Sole? Quanto tempo le rimane? Secondo le estrapolazioni scientifiche, occorreranno all’incirca 190 giorni, prima che la vita sulla Terra si estingua, proprio per le caratteristiche che il nostro pianeta possiede.
Quanto tempo ci vuole affinché l’acqua degli oceani si ghiacci completamente bloccando qualsiasi processo industriale, umano e vitale?
La lotta di un lottatore di Sumo con la propria ombra significa “Hitorizumo”, bellissima metafora fra l’ombra esterna e interna contro cui tutti noi siamo chiamati a combattere.
Più una società è evoluta, più è fragile, mentre maggiormente è primitiva, tanto meglio riesce a reagire proprio in virtù del fatto che non è legata alla tecnologia per sopravvivere ma solo all’ingegno e alle capacità di far fronte alle difficoltà esterne.
Skert risponde cordialmente a tutte le domande. Mette in luce come la fantascienza spesso ha un odio mal sopito verso la tecnologia (ad esempio William Gibson nei confronti dei computer) ma elogia enormemente la grande possibilità che le tecnologie portano.
L’incontro successivo è con il regista Enzo G. Castellari, che chiacchiera a ruota libera sul genere fantascienza, sulla sua carriera e su quanto sia orgoglioso del rapporto con il regista americano Quentin Tarantino, che lo venera come una divinità, omaggiandolo dichiaratamente nel film «Bastardi senza gloria» e nell’ ultimo «Django Unchained».
Castellari si dichiara felice di allietare con i suoi film lo spettatore che si estranea dalla realtà per quei 90 minuti. Mette in luce la funzione catartica del cinema. E’ reduce dalla collaborazione con Tarantino per il remake del suo «Django» e da un cameo in «Bastardi senza gloria».
Quali sono i suoi rapporti con la fantascienza?
«Sono iniziati con “2001- Odissea nello spazio”, visto una infinità di volte» risponde: «da ragazzo non leggevo i fumetti di fantascienza, ma quando scoprii il film di Kubrick un mondo si aprì».
Dice che il film «Predestination» non lo ha molto sorpreso. A suo parere, in Italia non è possibile una rinascita della cinematografia fantascientifica, «nessuno sta raccogliendo eredità o proponendo idee nuove e propulsive».
Mette in luce il suo difetto – che definisce “macroscopico” – di non avere una opinione politica e di come in Italia questo significhi non essere correttamente considerati.
Conclude la prima sessione di incontri Giuseppe Acito, titolare della Toa Mata Band, che si occupa di digitale applicato alla musica: ormai l’analogico – spiega – è diventato decisamente obsoleto, a parte la resistenza di alcuni appassionati.
Fondamentalmente influenzato dalla musica dei Depeche Mode, oggi Acito realizza musica elettronica utilizzando mezzi insoliti, come i Lego Robot percussionisti in miniatura. I circuiti che progetta e mette in uso sono mutuati dall’hardware Arduino, prodotto nostrano completamente open source, che permette applicazioni estremamente versatili, dalla musica elettronica fino ai satelliti meteorologici, con il minimo impiego di mezzi.
La sua band, la Toa Mata Band, usa i robot della Lego Bionicle: robot con una storia intricatissima dietro alle spalle. L’ispirazione di animare i robottini con Arduino gli è venuta grazie al figlioletto, grandissimo appassionato di Lego; da lì l’idea di un giocattolo che diventa strumento musicale.
Come interagisce la musica nei computers con i robot?
«Con l’opportuna microfonazione, si possono far suonare tutti gli oggetti anche solo con i semplici suoni percussivi» chiartisce: «i robot muovono il braccio basilare a battere, suonando le note scritte ad hoc dal musicista, progettate in linguaggio MIDI».
Arduino converte il linguaggio in segnale elettrico che viene trasmesso al robot il quale si muove di conseguenza, ma Giuseppe Acito ha utilizzato anche scatole delle merendine, di scarpe, del caffè, tutto ciò che può essere impiegato per percuotere.
La tecnologia aiuta notevolmente la musica, permettendo performance uniche e a costi contenuti, un bel balzo in avanti rispetto all’analogico.
La collaborazione che esiste nei forum dedicati ad Arduino permette una diffusione molto vasta dell’hardware e con risposte specifiche di aiuto concreto.
A quando compositori cyborg?
Giuseppe Acito non lo crede possibile, a meno che l’intelligenza artificiale non abbia modo di evolversi matematicamente reagendo all’ambiente che la circonda. E’ già stato fatto un sistema di interazione uomo-macchina, in cui un apparato traduce in suoni i disegni tatuati sul corpo del suo creatore.
La seconda giornata, quella del 31 ottobre, si apre con l’arrivo di Giuseppe Lippi, che presenta il vincitore del premio Urania 2014, «Cuori Strappati» scritto da Glauco de Bona, incentrato sul complotto e con protagonista una “cartabiniera”.
Lippi lamenta con tristezza l’assoluta negatività rivolta agli autori italiani di fantascienza proprio dal nostro pubblico, mette in luce con orgoglio di aver tenuto a battesimo autori come Valerio Evangelisti e la bravissima Amanda Prantera che esordì con «Il cabalista», ambientato a Venezia.
Gli autori italiani pagano il pregiudizio di fondo degli ipercritici lettori nostrani, feticisticamente attaccati alle divinità statunitensi: basta solo vedere l’accoglienza negativa tributata agli autori cinesi e giapponesi, una brutta chiusura mentale da parte del nostro Paese, secondo Lippi.
Si prosegue con i festeggiamenti per l’anniversario della nascita di Mario Bava e del 50ennio del suo film «Terrore dallo spazio profondo», ispirato al racconto di Renato Pestriniero, il quale si intrattiene con Lippi e con Lamberto Bava, il figlio di Mario, che racconta la realizzazione del film, a cui aveva partecipato, giovanissimo.
Pestriniero parla del suo racconto, visibilmente commosso: continua la tematica fondamentale dell’indagine sullo spazio interno dell’uomo alle prese con la tecnologia. Quanto siamo cambiati noi esseri umani rispetto all’«affanno» tecnologico?
Nel suo racconto Pestriniero ha cercato di interpretare lo stato d’animo che potrebbe provare un equipaggio umano alle prese con un atterraggio d’emergenza in un pianeta desolato. Come reagiranno gli spaziali ai pericoli materiali ma soprattutto psicologici, sapranno affrontare la paura e la paranoia? O in loro scatterà qualcosa di primordiale contro la quale nessuna Ragione o preparazione fisica è sufficiente? In buona parte debitore a «La tempesta» di Shakespeare, Pestriniero ha scritto altri due racconti che approfondiscono e completano le tematiche del primo.
Di famiglia “votata al cinema” (il nonno Eugenio Bava ha lavorato agli effetti speciali del film «Cabiria» nel 1914 e il padre è appunto il cineasta Mario) Lamberto Bava racconta di come il babbo fosse un avido lettore onnivoro e di come lesse la novella di Pestriniero, rimanendone profondamente colpito. Grande amante della fantascienza e lettore di Urania, amante delle sfide, tentò di realizzare il racconto, scrivendo la sceneggiatura insieme al triestino Cosulich e al giovane Bevilacqua.
Amante della fantascienza stile «Il pianeta proibito» di Wilcox, incentrata dunque sulle paure e sugli istinti dell’uomo, Mario Bava trovò lì il sostrato filosofico a lui più congeniale. Nella ricerca dei costumi e dell’astronave, il regista voleva mirare all’essenziale, con uniformi molto medioevali e astronavi scarne e prive quasi di strumentazione: girò al Teatro 5 di Roma, luogo enorme, riempito di sabbia per terra, pieno di fumo per nascondere il pericolo, una “zampa” vera dell’astronave con una ventina di rocce di plastica che potevano essere spostate per cambiare il set. Mario Bava inventò soluzioni per l’epoca assolutamente avveniristiche, chissà cosa avrebbe potuto fare con la cg, la computer grafica; anche se Lamberto afferma che con la cg non si prova più la paura, poiché manca completamente la realtà del corpo.
I corridoi dell’astronave furono realizzati con pezzi di aspirapolvere mentre il razzo che atterra è opera di Eugenio Bava, il nonno di Lamberto.
Mario Bava è cinematograficamente un genio incompreso, oggi giustamente rivalutato.
Renato Pestriniero constata come in realtà il progresso tecnologico non abbia portato a nessun passo avanti nel dipanare le ombre dell’inconscio che in ogni momento sembra pronto a farci precipitare nell’animalesco. Lamberto Bava pone l’accento sul fatto che gli astronauti vengono contaminati da un virus: ritorna la tematica dell’infezione che riduce l’essere umano a belva.
A seguire, la presentazione del bellissimo libro di Paolo Zelati, costituito da una serie di interviste a noti registi e attori statunitensi. L’autore – imbeccato ad arte da Lamberto Bava – mette in luce come l’inconscio nero degli Stati Uniti d’America, esplicitato dai film di Romero e di Tobe Hooper (di cui si potrà assistere alla versione restaurata di «The Texas chainsaw massacre» ovvero «Non aprite quella porta») trova una influenza anche nei film di Mario Bava, dove gli incubi diventano concreti e tangibili, anche quando la minaccia non lo è. Basti pensare ai virus in «Terrore dallo spazio profondo» o a «Cani arrabbiati», film incompiuto di Bava, dove la violenza esplode in tutto l’inconscio collettivo di una nazione allo sbando.
Il 1 novembre triestino si apre con la stupenda presentazione del libro «Bit Bang – L’ informazione che esplode» di Giuseppe O. Longo.
Fin dai filosofi presocratici, si è sempre tentato di semplificare la molteplicità del reale, cercando un principio unificatore da cui derivassero tutti i fenomeni, con la ricerca dell’archè, del “primo primo” della realtà. Talete fu il primo a dare una risposta organica, deducendo che fosse l’acqua il principio primo, non così irragionevole come potrebbe sembrare ad alcuni.
E oggi cosa fanno i fisici teorici se non ricercare l’equazione che spieghi tutto o la particella fondamentale dell’universo?
La tecnologia ha un’influenza maggiore della scienza, in quanto con essa gli esseri umani hanno a che fare ogni giorno. Il computer a esempio è un prodotto umano ma è anche vero che ha modificato notevolmente la nostra visione del mondo, in quanto macchina versatile, per gestire impianti molto complessi come le centrali energetiche, gestire grandi banche dati, o mantenere in contatto le persone in “tempo reale” anche a grandi distanze. Dal punto di vista formale, il computer è alla base delle equazioni ricorsive nate grazie a esso. La filosofia digitale si propone di cercare il principio primo delle cose. Non è la materia, l’energia come sostengono i fisici, ma l’informazione. Il principio primo delle cose è il “bit”.
L’universo è un computer: una metafora o una realtà? Non è esperibile scientificamente ma solo come ipotesi metafisica.
Informazione che arriva da materia-energia o al contrario: dall’informazione deriva tutto?
Pitagora potrebbe esserne il precursore, visto che identificava il principio primo con i numeri. Galileo affermò che il grande libro della natura è scritto in linguaggio matematico. E’ il tentativo di individuare un principio che non sia materiale né spirituale ma più sottile, onnipervasivo.
Galileo rivoluzionò la concezione della realtà con una operazione metafisica quando puntò il cannocchiale verso il cielo, scoprendo i satelliti di Giove.
Il computer oggi muove l’informazione con algoritmi e calcoli, mentre i numeri pitagorici sono visti come entità fisse.
Da qui l’idea che l’universo sia un computer.
E secondo Richard Feynman ogni volta che noi prendiamo un pezzettino di universo, per calcolare il suo stato successivo dobbiamo impiegare una grande quantità di risorse. Un giorno saremo in grado di seguire l’evoluzione dell’universo con naturalezza.
Una volta gli orologi erano considerati i meccanismi più sofisticati, e qualcuno si definiva Dio “il Grande Orologiaio”, oggi la divinità somiglia a un Grande Programmatore.
«It from Bit» affermò John Archibald Wheeler, il primo fisico che si convertì alla filosofia digitale, riconoscendo in questa equazione che «il Tutto (It) derivava dal Bit».
Tutto computa, tutto è frutto di computazione, tutto può essere trasformato in un dispositivo computando, tutto è un computer.
Basti pensare ai computer quantistici e ai computer biologici.
Il paradigma pancomputazionale è questo: tutti i processi sono computazionali, nella versione forte. In quella più blanda, tutti i processi possono essere descritti come computazionali o come se lo fossero.
Georg W. Leibniz, inventore del calcolo binario, è considerato il filosofo guida, il precursore, che formulò la teoria del migliore dei mondi possibili. Fra tutti gli universi da creare, Dio scelse quello migliore, ovvero il più semplice nelle basi e il più complesso per i fenomeni che ne derivano.
Meccanica digitale: un’affermazione forte che prima di oggi si riferiva solo alla realtà e adesso all’Universo Computer.
Cos’è la vita? Che cosa sono la coscienza e il pensiero? Come funziona l’universo?
La filosofia digitale risponde a queste tre domande.
La portata del computer è tale da modificare persino la società, il modo di vivere e di pensare.
Tutto è algoritmo e Dio è un programmatore. Steven Wolfram scrisse «A new kind of science», in cui affermava che il computer può oltrepassare i limiti della conoscenza umana e comprendere i processi della natura.
L’ia (intelligenza artificiale) non si identifica con quella umana, anzi si sta costruendo una intelligenza in grado di fare cose che l’uomo non sa fare.
Solo il computer può darci una mano a comprendere il nuovo tipo di matematica con cui abbiamo a che fare, visto che questi algoritmi sono “senzienti”. Una bella sfida a Darwin. Una risposta forte alla filosofia debole: si rifà filosofia al modo presocratico, filosofia della natura.
Decisamente Giuseppe O. Longo ci ha dato di che riflettere.
Si prosegue – a Trieste – con la presentazione del libro «Solo per noi vampiri» scritto da Lamberto Bava: pubblicato da Profondo Rosso è presentato da Luca Zelati.
Il mito del vampiro, che nasce ufficialmente con «Dracula» di Stoker, è stato sfruttato in moltissimi modi e stili, metaforici ma anche realistici.
Lamberto Bava utilizza il mito per parlare di relazioni umane e sentimenti. Le protagoniste sono vampire: due ragazze come tante, che bevono il sangue l’una dell’altra. Ciò risveglia in loro capacità incommensurabili, tipo viaggiare fuori dal loro corpo e vedere la realtà in modo completamente differente. E’ sul loro rapporto che l’autore si concentra: complicità e insieme contrarietà, forse quasi da amanti.
Lamberto Bava ha sempre amato l’ horror visceralmente, una vena orrorifica non splatter, non disturbante. Il romanzo è nato dall’intenzione di scrivere il soggetto di un film, un lavoro proseguito a braccio fino quasi alla conclusione del libro. Si discosta dalla usuale tematica demoniaca, essendo Bava influenzato dai due David, cioè Lynch e Cronenberg.
Gli incontri triestini si concludono il 2 novembre con un argomento scottante non solo metaforicamente ovvero «Riscaldamento globale ed eventi climatici estremi», relatore Filippo Giorgi, docente di fisica teorica all’università di Trieste.
Dunque il cielo è “bucato” e ci cade sulla testa? La fantascienza ne parla continuamente, a esempio nel film «The day after tomorrow», anche se in modo molto, forse troppo, compresso.
Ma com’è lo stato di salute della Terra? Gli scienziati confermano l’aumento delle temperature globali, concordano che buona parte di “merito” è dell’omo, a causa dell’uso dei combustibili fossili. Non è vero che su questo gli scienziati siano divisi, i dati sono inoppugnabili.
Filippo Giorgi, fisico ma anche appassionato di fantascienza fin da ragazzino, è felice di poterne parlare.
La realtà è durissima. Gli eventi climatici estremi sono già qui non in un futuro più o meno lontano. L’effetto serra conservare l’energia calorica sul pianeta. I vapori acquei e l’anidride carbonica sono i principali gas che lo permettono. Il problema è l’aumento dell’anidride carbonica in modo esponenziale, superando abbondantemente le 400 parti per milione. L’aumento dei gas serra è attuale e fattivo. Ogni volta che noi bruciamo qualcosa produciamo anidride carbonica, quindi è assolutamente palese che questo aumento di gas serra nasce dall’uso spropositato dei combustibili fossili. Esso è il responsabile della maggiore trattenuta dei raggi solari, con conseguente aumento della temperatura del pianeta, dove l’anno 2014 sarà probabilmente il più caldo che si ricordi.
L’irregolarità di questo aumento è dovuto alla grande complessità del clima: per fortuna, altrimenti saremmo già cotti a puntino come in un forno a microonde.
Il sistema climatico sta assorbendo l’aumento della temperatura grazie agli oceani, cosa non buona perché prima o poi questo calore assorbito dovrà tornare in superficie, rilasciando tutto il calore fino a quel punto assorbito.
Uno degli effetti più evidenti è la crescita del livello del mare a livello globale: salito di circa 30 cm nell’ultimo secolo è causato dallo scioglimento dei ghiacciai e dal riscaldamento degli oceani con conseguente espansione termica.
Le proiezioni per il futuro non sono rosee. La più pessimista parla di riscaldamento medio di 4-5 gradi, la più rosea di “soli” 2 gradi.
Qualcuno dirà: pochi gradi, cosa possono fare?
Un aumento simile si traduce in decine forse centinaia di metri sul livello del mare con conseguente scioglimento dei ghiacciai e con il mare ribollente.
Altre conseguenze: più vapore acqueo con conseguente aumento dell’intensità della pioggia, come è accaduto ultimamente; nello stesso contesto aumenti della siccità e del calore.
Quello che accade è che il ciclo idrologico sta aumentando: una progressiva tropicalizzazione del clima. Piove più intensamente perché l’atmosfera più calda trattiene maggior vapore acqueo, ci vuole più tempo per accumulare energia e quindi gli eventi sono più dilatati nel tempo e più violenti quando si scaricano in pioggia.
L’estate 2003 è stata finora la più calda. Nel 2005 è arrivato Katrina in una stagione dove si è registrato un’altissima attività di uragani. Poi l’estate più calda in Russia con conseguenti incendi nel 2010, e ancora le alluvioni in Cina e in Pakistan dove 20 milioni di persone sono state evacuate e rilocalizzate (come se l’Italia del Nord dovesse essere tutta spostata altrove).
In Italia? La tempesta Cleopatra in Sardegna dell’anno scorso ha fatto registrare le precipitazioni più intense in assoluto, come a Genova poco tempo fa: tutto legato agli uragani mediterranei, cicloni extratropicali, che hanno appunto caratteristiche simili a quelli dei Tropici. Essi producono le stesse piogge intense dei climi più caldi. In Australia si è verificata una siccità con un’ondata di calore mai registrata prima, con molti incendi incontrollabili; e per la prima volta ufficialmente si è attribuito il fenomeno al riscaldamento globale.
Si registrano aumenti esponenziali degli eventi catastrofici naturali attribuibili al riscaldamento globale del pianeta: non solo distruggono infrastrutture ma comportano costi estremamente alti.
Abbiamo raggiunto il punto di non ritorno? Ancora no. Ma in futuro un riscaldamento di 4-5 gradi che si protrae negli anni potrebbe comportare conseguenze “non riparabali”. A partire dal collasso della circolazione oceanica: tutti gli oceani sono collegati fra loro da una serie di correnti calde e fredde in un punto dell’atlantico settentrionale dove si produce tutta l’acqua fredda che circola. Se si riscaldano gli oceani non si produrrebbe più questa acqua fredda, bloccando di fatto la circolazione oceanica. Niente ci dice che certamente si produrrà in questo secolo, ma nel successivo potrebbe accadere. Se si guarda la cosa in una prospettiva storica… cambia molto.
La scomparsa della foresta amazzonica è un’altra conseguenza plausibile, visto che con il riscaldamento globale le precipitazioni in quel luogo diminuirebbero, con la sua conseguente diminuzione fino alla scomparsa.
Lo scioglimento di tutti i ghiacci della Groenlandia comporterebbe l’innalzamento di decine di metri del livello del mare e questa non è fantascienza ma una concreta possibilità. I ghiacci della Groenlandia si stanno già sciogliendo a una velocità superiore a qualsiasi previsione, rendendo tale terra il primo fattore dell’aumento più veloce del livello del mare che è già preoccupante.
Collasso della Larsen – B Ice Shelf: vuol dire che la lingua di ghiaccio attaccata al continente si è completamente staccata dall’Antartide.
Allora cosa fare? Intanto bisogna aumentare l’efficienza energetica per cominciare a staccarci dall’uso dei combustibili fossili. Noi sprechiamo il 60% dell’energia nel processo produttivo o nel trasporto. Ad esempio, quando si raffina il petrolio si incontrano bolle di metano, che generalmente vanno bruciate. Finalmente si è capito che lo si può immagazzinare. Un “buon” motore spreca il 30 per cento di energia; nel protocollo di Kyoto si poneva come efficienza energetica il limite del 5%.
Eolico e solare potrebbero contribuire a una riduzione del 20-30% dell’uso del combustibile fossile, oltre che a massicce riforestazioni.
Tutto questo per raggiungere la riduzione del 60% entro il 2060, che comporterebbe il costo di un quarto del Pil mondiale, assolutamente ammortizzabile in un paio d’anni. Se ci fosse la volontà politica.