Trittico dell’orgoglio comunista, 2: Andare a Zalina
di Mauro Antonio Miglieruolo
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Ero l’unico tra gli imbarcati per Zalina a vantare un’origine terrestre. Questo avrebbe comportato il diritto, sulla base degli accordi interrazziali di Andromeda Quattro, a un trattamento privilegiato. Negli ultimi anni però il privilegio, ottenuto quale compenso del libero accesso delle merci intergalattiche su Sol III, valido sulla carta, tramite misure amministrative da parte dei governi solari, era stato praticamente ridotto a niente. Nemmeno più diritto a uno sconto sul prezzo del biglietto turistico, avevo; sconto che continuava a essere riconosciuto ai collaterali Siriani e Seleniti; nonché persino ai deformi, rozzi, giganteschi Centauridi. Al massimo la possibilità di saltare alcune fasi dei lunghi fastidiosi Esami di Rottamazione avevo. Invece di fare la fila per alcune ore infatti me la cavai in pochi minuti. Le hostess diedero un’occhiata ai miei documenti di viaggio, sorrisero com’era loro dovere, se le passarono l’un l’altra con tanto di debito sollevare di sopracciglia e, tutte sussiego a formale cortesia mi fecero cenno di entrare.
Sono abbastanza sicuro che quel sussiego non fosse da attribuire alla congenita diffidenza nei confronti dei terrestri che va prendendo corpo nella Via Lattea; non sono sicuro invece non c’entrasse qualcosa la “C” stampata accanto alla voce “Caratteristiche Etiche/Politiche/Psichiche/Religiose”. La “C”, per convenzione, rappresenta il punteggio più basso assegnabile a un essere umano.
Comunque, nonostante l’esame scrupoloso delle carte e il sollevare di sopracciglia, non fu opposta censura alcuna contro di me e potei entrare nel ventre della immensa Cosmonave InterAmmassale.
Dentro regnava la solita confusione dei minuti che precedevano la partenza. Quasi ognuno aveva assegnato il proprio posto, non tutti però vi si erano già definitivamente sistemati. L’eccitazione per la prossima partenza, il gran viaggio che iniziava, il desiderio di ognuno di effettuare un primo approccio con coloro che avrebbe avuto per vicino nel lungo viaggio, teneva tutti in piedi; o tutti occupati alla ricerca della migliore sistemazione. D’altronde in quella fase la Cosmonave costituiva un ambiante unico, la totalità del volume dedicato ai viaggiatori essendo interamente visibile. File e file di passeggeri, a strati, uno strato sull’altro, un livello sull’altro, un’area accanto all’altra, separati solo dalle paratie energetiche potevano essere ammirate data la piena trasparenza. Nessuno dei centomila viaggiatori era nascosto alla vista degli altri. Lo scopo però non era la conoscenza totale. Quale mai occhio umano sarebbe stato in grado di catalogare l’immensa Babele di speranze e ambizioni che vi regnava? O anche solo distinguere tra chi decideva d’andarsene per sempre dal pianeta natio, tra i quali si nascondevano molti indegni, e chi invece stava su quel mezzo per lavoro o per diporto era possibile. Il motivo vero per del prolungarsi di quella promiscuità ottica era ben altro. Risiedeva nella speranza che qualcuno tra i pochi sfuggiti indebitamente al filtro degli addetti potesse essere riconosciuto e denunciato da qualche altro passeggero. Succedeva a volte si levasse un grido, un indice fosse puntato. Una voce urlasse “là! là! là!” e i Rottamatori intervenissero per correggere l’errore commesso… era raro, ma succedeva.
Si trattava di una situazione del tutto provvisoria, quella del “tutti che vedono tutti”. Una volta che la cosmonave avesse lasciato la giurisdizione della Terra, molte paratie virtuali sarebbero state elevate e altrettante intimità tutelate. Molte, non tutte. Bisognava pagare un supplemento per godere di un tale privilegio. Non avevo risorse sufficienti per ottenere uno spazio protetto, ma fui fortunato, fui assegnato in soprannumero all’area riservata di un Abbiente e potei godere anche io di un minimo di privacy (non tenevo alla privacy. Tenevo al mio sonno, a non essere bombardato da banner pubblicitari a grandi caratteri diffusi nell’area comune, a non dover incontrare gli sguardi curiosi degli altri, che indovinavano dai miei abiti, dalla mia stessa postura, la mia natura d’aborigeno terrestre).
Intanto però, in attesa della partenza, conveniva adattarsi al rincorrersi delle voci, al frastuono, ai richiami, alle implacabili esclamazioni di meraviglia. E soprattutto la vista occasionale delle squadre dei Rottamatori di Combattimento, quelli delle regole auspicabili, regole inventate là per là, a seconda delle convenienze, che percorrevano torve la Cosmonave alla ricerca di qualche poveretto sul quale sfogare il loro bieco furore. Gente addestrata a fare piangere le persone. Li si riconosceva dall’incedere marziale e dalle spille raffigurante Renzi, il fondatore del Regime Nuovo, in bella evidenza sul petto. Ma anche dalla subitaneità con la quale eseguivano le sentenze da loro stessi emesse. Un colpo di taser termico in piena faccia e via, alla ricerca di altri cospiratori, lasciando a steward e hostess il compito di ripulire. Non rispondevano a nessuno dei loro atti, i Rottamatori da Combattimento, non certo a gufi, arrivisti, sabotatori dell’Ordine Monocratico e rallentatori. Al massimo potevano rispettare una prescrizione del Premier, il quale poteva stabilire che questo o quell’esagerato oppositore, ce n’erano di quelli insospettabilmente ostinati (facevano perdere la pazienza anche ai santi), poteva essere esentato. Era sufficiente dargli l’ostracismo e mandarlo su un lontano pianeta extragalattico, là dove non avrebbe certo potuto continuare a fare danni. Era buono il Regime Nuovo con i suoi nemici. Se poteva risparmiava loro la vita. Normalmente non poteva. Meglio così. Essere un po’ buoni va bene, risparmiare troppe vite danneggia. Ma c’erano lì pronti i rottamatori per evitarlo.
Io personalmente, avendo avuto sentore che si cominciava a sospettare di me, avevo deciso di andarmene per tempo, prima di essere individuato e condannato al confino, o peggio. Emigrando di mia sponte non solo salvavo la ghirba ma potevo anche scegliere la mia destinazione. Dopo lungo studiare avevo scelto Zalina, il pianeta civilizzato più lontano da Casa (la Via Lattea). Lassù (laggiù?) nessuno aveva mai udito parlare della tendenza dei terrestri, per la quale andavano famigerati, alla perversione politica. Lassù (laggiù?) rottamazione significava ancora rottamazione, e un briciolo di rispetto, se non altro formale, per le persone era mantenuto.
Fui fortunato, dunque. Il posto assegnatomi era collocato in un salottino dedicato a una famigliola di iraniani svedesi, che godeva della totale immunità rottamatoriale. Ognuno di loro portava al collo un fazzoletto bianco annodato sul quale spiccavano a destra la lettera “D” e a sinistra la “C”. In altro contesto sarebbe stato ferale avere impresso addosso quella seconda lettera. Accompagnata dalla “D” quella stessa “C” li poneva vertiginosamente in alto, più in alto di qualsiasi Capo Manipolo di Rottamatori. Persino al disopra della giurisdizione dell’Ordinario della Congregazione (capitavano di quelle fortune, a volte!) Il salottino prevedeva più posti a sedere di quelli necessari alla famigliola e la Cosmonave, utilizzando criteri di selezione randomica, li assegnava a caso ai passeggeri. Salvo un certo numero che riservava per i passeggeri speciali, passeggeri che viaggiavano per il governo. Sebbene fossi un po’ malmesso mi accolsero con inaspettata cordialità nel salottino. La medesima cordialità con la quale accolsero un tris di giovani dalle espressioni dure, espressioni che provocarono appena un po’ di perplessità in quegli ingenui pacifici frallocconi seguaci dell’Islam, come sono in genere gli ordinari seguaci dell’Islam, ma non obiettarono nulla. A me invece i tre ispirarono una barca di solide inquietudini. Guai sul fronte occidentale, valutai, sconfortandomi. Alias, l’irruzione rapida di un mare di sterili preoccupazioni. Sterili non perché gratuite; sterili perché non potevo far nulla di serio per, eventualmente, ovviare.
Mentre ancora infuriava la confusione il Capo Famiglia abbassò i decibel percepibili (era suo privilegio) e diede inizio alla antica tradizione di convenevoli tra viaggiatori contigui. In Cosmic, naturalmente, lingua nella quale mi destreggiavo decentemente, lingua la cui conoscenza costituiva necessità vitale per gli emigranti. Fui felici di esercitarmi rispondendo alle sue cortesi domande. Le solite. Quale fosse la mia personale destinazione e lo scopo del viaggio. Altrettanto felice di continuare a esercitarmi chiedendo della loro. Se avrebbero trovato qualcuno a attenderli al termine del viaggio (magari mi potevo aggregare), se intendevano stabilirsi a lungo o ci andasero solo per diporto. Per lavoro, ci andavano (e che lavoro!). Ed io? Anche io per lavoro. Ma ero al corrente che Zalina stava per saturarsi. Ero al corrente.
– Sono uno che si adatta, – risposi tenendomi sul vago. Meglio non fornire indizi sul mio vecchio mestiere ai tre, che intanto digitavano furiosamente sui loro tablet da polso estensibili, ignoro a quale scopo. – Qualcosa troverò…
Di qualcosa dovette rendersi conto anche l’iraniano svedese, perché smise di rivolgermi domande. Le sostituì con risposte acconce, fornendo notizie su di sé che non avevo mai richiesto. Un tentativo per mettersi al sicuro? O semplice cortesia nei miei confronti? Optai per la seconda soluzione e decisi di gradire l’apertura del tizio. Lui non era un lavoratore manuale, era Professore di Diritto Costituzionale con Privilegio del Finanziario.
– Vuol dire, – spiegò, – che posso essere inviato a dare lezioni di legislazione finanziaria a ogni autorità galattica che ritenga opportuno istruire propri funzionari. Non può immaginare quanto sia complessa a livello extragalattico, ogni costellazione ha una propria, la materia. Su Zalina terrò un ciclo di dieci lezioni proprio sulla conciliabilità tra norme Costituzionali e Finanziarie. Sarò lieto se verrà a ascoltarmi in qualcuna delle mie lezioni.
– Io? – stupii.
– Sì, certo, mi sembra un tipo intelligente e, scommetto, in possesso anche di una cultura notevole…
Accennò con il capo al libro che faceva capolino dalla tuta. Un libro di carta! Ero uno dei pochi che continuavano a leggerli. Il titolo non si leggeva, ma lui aveva indovinato dalla grafica di quale si trattasse. Troppo esperto di libri, antichi e simil antichi, per poter sbagliare.
– Si tratta del famoso trattatello sulle costituzioni del XX secolo. Il titolo, se non ricordo male, dovrebbe esse “Costituzioni pre-Renziane”, o sbaglio?
Mi maledii. Ero stato uno stupido. Mi ero affidato troppo sull’ignoranza universale intorno alla Storia Terrestre! Ma chi mai avrebbe potuto prevedere di incontrare un super esperto? Un vero esperto, non uno di quelli onnipresenti nelle trasmissioni Olografiche, esperti solo nel trasmettere la linea del governo indorandola con un pizzico di linguaggio tecnico.
Mi affrettai a dirottare la conversazione sulla sua bellissima famigliola. La moglie, dai capelli corvini che le incorniciavano il viso, un viso con lineamenti tali da farla sembrare il clone di un antico dipinto raffigurante la Madonna. O sui due figli, un maschio e una femmina, ognuno dei quali era la copia in formato ridotta di uno dei genitori.
Avevano i bambini ambedue abbandonato il posto a sedere, nel quale stavano a disagio, troppo grande per loro, e si erano piazzati a un metro da me. Rivolsi loro un sorriso. Il maschio rispose con un analogo sorriso e tornò al suo posto, da dove si diede a scrutare i tre seduti di fronte. La bambina restò invece impalata a fissarmi.
Fu lei, la bambina, a fare la prima mossa. Mi rivolse una domanda per lei cruciale, con la quale andò al cuore delle sue preoccupazioni.
– Sei cattivo, tu?
– Io? – balbettai stupito, preso disastrosamente in contropiede.
– Sì, tu. Uccidi la gente, tu?
– Romina! – la redarguì la madre, voce d’angelo flautata, piena d’echi e timbri quale mai ho riscontrato in altra donna. Voce di contralto, valutai. Ma non sensuale, come lo sono certe roche che producono brividi. Voce pura, limpida, strumento bene accordato. Il padre invece sorrise, contento della domanda.
– Non se l’abbia a male. È il suo modo di dichiararsi amica. Possibile amica. Se lo diventerà, sarà in ragione della risposta. Da ciò che leggerà nel riposto della sua risposta.
– Oh, – feci. Non sapendo come altro commentare.
La bambina stava lì immobile, in attesa. Implacabilmente in attesa.
– Tu che ne dici? – fu il tentativo patetico con il quale cercai di sfuggire alla responsabilità della domanda.
La bimba immobile, niente, non batté ciglio. Né obiettò, come avrebbe potuto: l’ho chiesto prima io. Non avevo scampo. Dovevo rispondere.
– Non ho mai ucciso nessuno, spero di non farlo in futuro. Ti basta come risposta?
– Detesto chi uccide…
Non disse odio. Disse proprio “detesto”.
– Nel viaggio precedente è successo, – continuò. – Ho pianto per giorni…
– Si trattava di un rottamando, – spiegò la madre. – È stato orribile. Quegli uomini però immagino stessero facendo il loro dovere.
Lo disse palesemente a fatica, ma lo disse. La piccola non le badò. Fece un passo nella mia direzione e chiese: – Sei simpatico, tu. Vorresti diventare mio amico?
– Certo! – consentii. – Con entusiasmo.
– Ah! Ah! con entusiasmo! – mi prese in giro la bambina. – Come con entusiasmo? Non mi conosci nemmeno!
– Sei sicura? Sei sicura che non ti conosco?
– Sicura. Sì.
– Invece io sono sicuro che mille anni fa ci siamo conosciuti? Mille, o si trattava di duemila?
La bimba arretrò di un passo.
– Sei forse pazzo?
– Pazzo, certo. Senza alcun forse. Non ti farebbe piacere avere un amico un po’ pazzo?
– Che dice le bugie?
– Che dice le bugie per dire maggiore verità. Esempio che sono pazzo perché in grado di essere amico in modo pazzesco. Amico vero, amico per la pelle.
– Ohooo! – esclamò la piccola, finalmente sorpresa, finalmente anche lei presa in contropiede.
– Lo senti papà, lo senti quel che dice?
– Sì, Romina, ho udito.
Parlando con il padre la bambina però guardava me, come impossibilitata a distogliere gli occhi. Le diedi allora quello che cercava. Quello che sapevo tutti i bambini volessero. Le giurai amore con gli occhi. Un giuramento al quale seguì il grido della piccola, che corse a rifugiarsi nelle braccia della madre. La madre Madonna.
– Mi succede di frequente, – mi ritenni in dovere di spiegare al padre, che mi fissava compiaciuto e un po’ perplesso. – Con i piccoli dell’età di sua figlia, fino a che non raggiungono i dodici-tredici anni, ho grande successo. Poi l’intesa tende a sfumare. Si rendono conto che non sono socialmente “giusto” e si allontanano.
– Ed è vero che non “giusto”, come dice lei?
– Io veramente non lo dico. Sono gli altri a dirlo. Io mi limito a essere.
– A lei insomma non importa…
– Di cosa?
– Di quel che dicono gli altri.
– Mi importa sì, come potrebbe non importarmi? Senza gli altri come vivere? E come cambiare tutto questo inferno che ci circonda? Ciò che è diventata quella che chiamiamo “la civiltà”?
– Perché, ritiene sia necessario cambiarla?
– Sì, – ammisi. Senza rendermi che con quell’ammissione mettevo a repentaglio la vita. – Io sono per l’uguaglianza tra le persone, nel rispetto delle caratteristiche di ognuna.
– Un idealista, eh?
– No, un materialista, piuttosto…
Non feci in tempo ad aggiungere altro. D’altro considerato eversivo e pericoloso per i cacciatori di rottamandi. Mi ero pericolosamente distratto, infervorato dal mio dire, dalle mie più profonde convinzioni. Non però distratta la piccola Romina, che si sciolse per tempo dell’abbraccio della madre e corse verso di me, con le braccia aperte e alzate. Costringendomi a mia volta a chinarmi tendendo le braccia. Bene intenzionato a dire qualcosa come “massì, abbracciamoci, piccola…” Cosa che non ebbi il tempo di dire.
Nello stesso istante in cui scesi, il freddo gelido rovente di un raggio storditore termico mi passò sopra la testa (mi avrebbe mandato in pappa il cervello, fossi stato colpito). Al freddo subentrò il tuffo al cuore provocato dallo spavento, mentre fiumi di adrenalina irrompevano nel sangue.
Inutile aggiungere che svenni. Non si viene sfiorati impunemente da un raggio della morte.
Mi svegliai nell’infermeria della Cosmonave. Sopra di me il volto preoccupato del Professore di Diritto Costituzionale con Privilegio del Finanziario. Accanto al suo quello meraviglioso della consorte. Per un attimo equivocai. Ero forse già arrivato in Paradiso?
– Come si sente? – udii. Non dalla voce di Madonna, da quella del Professore. Che mi riportò immediatamente alla realtà. Fosse stata quelle di lei avrei continuato a illudermi.
– Bene, – mentii. Come diavolo avevo fatto a sopravvivere? – Perché non mi hanno sparato di nuovo?
– Ho attivato lo scudo portatile. Me ne sono procurato uno non appena ho iniziato i miei viaggi…
– Beato lei, – commentai. Per poi subito aggiungere: – Beato anche me.
– Conosceva i suoi attentatori? – si affrettò a chiedere.
– Una squadra di Rottamatori sotto copertura, probabilmente…
– Santo cielo! Le cose che si devono vedere! Adesso però sono in prigione. Li ho denunciati.
– Ci resteranno per poco.
– Dice?
– Dico.
– Almeno per un po’ di giorni non potranno nuocere a nessuno.
– Dica pure poche ore.
Restò alcuni secondi in silenziosa meditazione.
– Beh, con la mia testimonianza… dopotutto hanno messo in pericolo anche me.
– Per questo si limiteranno a un cazziatone tremendo e niente altro.
Era proprio un ingenuo. Un perfetto islamista iransvedese. Il solito intellettuale espertissimo nel campo nel quale si era specializzato, totalmente ignaro delle cose del mondo.
– Comunque non la chiameranno mai a testimoniare. Ci può scommettere.
– Ma si può sapere almeno perché le hanno sparato?
– Come? Non lo ha capito? Per la mia dabbenaggine.
– La sua dabbenaggine?
– Si trattava di Rottamatori, no?
– Romina l’aveva capito subito. È una sensitiva, Romina.
– E cosa fanno i Rottamatori?
Domanda imbarazzante, per lui. Poiché mostrava difficoltà a farlo, mi affrettai a rispondere in sua vece.
– Eliminano i diversi, gli “asociali”, i borderline…
– Ma lei non sembra affatto un diverso, – mi interruppe d’impeto.
Non avevo completato l’elenco. Mancavano all’appello i vigliacchi con il coraggio delle proprie opinioni, i gufi iettatori che non rinunciavano a porre in evidenza i pericoli insiti in determinate iniziative, i nostalgici dei diritti, i sabotatori dei complotti contro i lavoratori, i gufi noti un tempo come caca dubbi, gli arrivisti che mettevano avventurosamente a repentaglio le loro carriere (infami vigliacchi coraggiosi) e quelli che volevano cambiare troppo, cambiare tutto. Che volevano cambiamenti effettivi, non semplici ritocchi di facciata.
– Lei quindi si ritiene simpatizzante di quest’ultimo partito? Quello del cambiamento vero, il cambiamento radicale…
Per tutta risposta sorrisi. Un sorriso che disse loro più di mille parole. Si ritrassero ambedue inorriditi. Finalmente capivano, finalmente si spiegavano! Bell’amico era capitato alla loro povera figlia.
– Vuol dire che lei…?
– Esatto. Voglio dire proprio questo: che sono un comunista, – spiegai senza riuscire a evitare di farlo con orgoglio. – Per questo lascio la Terra. Perché non c’è posto su questo infelice pianeta post-Renziano per uno che ha sete di giustizia, voglia di partecipazione e aspira all’uguaglianza. Non certo posto per un comunista! Ed io comunista sono!