Troppo poveri per essere ascoltati

di Cristina Formica (testo e foto ripresi da comune-info)

Il 5 luglio l’Associazione 21 Luglio organizzerà a Roma un convegno nazionale, presentando uno studio su dieci città italiane che hanno cercato di superare i campi nomadi, dove parteciperanno gli amministratori comunali coinvolti per mettere a confronto le pratiche realizzate.

La più grande minoranza culturale europea, spesso risolta come gruppo etnico o come razza zingara: i Rom in Europa scatenano grandi passioni e intolleranze, per il solo fatto di esistere. In Italia la questione non è migliore: i Rom sono appena lo 0,25 per cento della popolazione italiana, per la maggior parte integrata in una vita quotidiana uguale a tutti gli altri, in case come tutti gli altri. A Roma, i Rom sono visibili a tutta la cittadinanza perché abitanti dei campi nomadi, famiglie che vivono in baracca anche dalla guerra nell’ex Jugoslavia, quando scapparono dalla sanguinosa vergogna europea i Rom Serbi come quelli della Bosnia. Scapparono dalla guerra e vivono da quattro generazioni nei campi ufficiali del Comune di Roma.

A Roma vive il 41 per cento delle comunità Rom abitanti campi nomadi, secondo i dati forniti dall’Associazione 21 Luglio, da tempo attenta osservatrice delle situazioni invivibili dei campi: sporcizia, topi, baracche spesso mantenute dignitose dai grandi sforzi delle donne, poca acqua, nessun servizio. I campi ora sono vigilati dalle Forze Armate, l’ingresso è vietato a chi non ci vive. Una prigione a cielo aperto, da cui però non è impossibile uscire, come stanno facendo alcune famiglie appena possono, o come propone l’Associazione 21 Luglio. A Roma esistono più di cento insediamenti formali, oltre che diverse decine di campi informali: ci vivono circa 20.000 persone, troppo povere per provare altre soluzioni abitative e per essere ascoltati.

Carlo Stasolla è impegnato da molti anni a proporre alle amministrazioni pubbliche soluzioni che tengano conto dei Diritti Umani anche per le persone Rom: tutte le politiche susseguitesi in trent’anni non hanno risolto la questione sociale, in primis abitativa per decine di migliaia di persone, di cui almeno la metà minori. La situazione non è migliorata con l’emergenza Covid-19: come analizza Stasolla, “è aumentato l’abbandono istituzionale di cui i campi sono vittime da diversi anni; è continuata l’amnesia verso queste persone baraccate, dato che nei campi non vivono solo Rom; aumenta l’esclusione e la marginalità sociale. È peggiorata una situazione già molto critica: al campo di Castel Romano, il più grande di Roma, gli abitanti hanno continuato a prendere l’acqua alla solita autobotte, senza che nessuno si preoccupasse di garantire l’approvvigionamento in modo sicuro. Ancora più drammatica la situazione dei minori Rom: prima del Covid-19, solo il 20 per cento erano scolarizzati, con il lockdown l’abbandono scolastico è stato fortissimo, dato che per i bambini e le bambine è stato impossibile seguire la didattica a distanza, in situazioni in cui per esempio non c’è la rete internet. Le scuole hanno pochissimi contatti con le famiglie Rom, l’ufficio scolastico del Comune di Roma non ha fatto altro che registrare l’aumento vertiginoso dell’abbandono scolastico. Pochissimi bambini sono tornati a scuola”.

In questa situazione di abbandono, l’Associazione 21 Luglio ha attivato una campagna per fornire pacchi bebè alle famiglie in una situazione di deprivazione economica totale. “Un pacco bebè costa 25 euro, un neonato ha bisogno di almeno 100 euro di prodotti al mese. Abbiamo raccolto 100.000 euro, come prima risposta all’emergenza“. L’economia di molte famiglie, basata sulla raccolta dei rifiuti ed il loro riciclo o la vendita nei mercati, attività spesso svolte a nero, è stata devastata dall’emergenza, rendendo impossibile anche l’alimentazione. I pacchi bebè, oltre che per agli abitanti di Tor Bella Monaca, sono stati donati alle comunità dei campi di Castel Romano, Salone e Tor Cervara. “Hanno partecipato alla composizione dei pacchi ed alla sua distribuzione politici, cardinali, esponenti associativi, le stesse mamme, gli abitanti di Tor Bella Monaca. È stata data così una mano in una situazione sociale grave, questa soluzione ha dato una boccata d’ossigeno per tirare avanti”. Chi ha potuto è scappato dai campi romani: “Tanti sono andati via, alcuni sono tornati in Romania perché meglio fare la fame a casa loro, e la Romania fino a qualche settimana fa era la prima nazione dell’Unione Europea per casi Covid-19. Chi non ha potuto andarsene è rimasto, ma le prospettive non sono rosee”. Come nel campo “tollerato” di Via Salviati, lì nessuno se n’è andato e continuano a viverci circa 250 persone, e l’emergenza continua.

Il 3 giugno sarà presentato il Piano per il superamento dei Campi Rom, proposta che l’Associazione 21 Luglio farà al Comune di Roma e alle amministrazioni locali disposte a discutere di questo tema. “Le misure adottate dall’amministrazione comunale sono fallite, non hanno funzionato come avevamo già fatto presente alla Sindaca Raggi, le soluzioni calate dall’alto non tengono conto della realtà”. Eppure dai campi le famiglie Rom continuano a uscire: “Le famiglie si stanno attivando autonomamente per l’accesso alle case popolari, nel biennio scorso cinquecento persone sono uscite dai campi per abitare nelle case popolari pubbliche. Non è vero che i romani sono razzisti e non vogliono i Rom come vicini di casa, a parte Casal Bruciato non è successo niente. Bisogna sostenere politiche ordinarie, non quelle straordinarie che non funzionano. Il nostro piano parte da una programmazione partecipata con le persone, non servono uffici speciali Rom, assistenti sociali dedicati, piani sviluppati a tavolino. Occorre ascoltare quali sono i bisogni, partendo dalle persone, per avviare le politiche di effettivo superamento dei campi. Riteniamo che se un sindaco applicasse il nostro piano, in quattro anni si chiuderebbero tutti i campi romani, con costi sicuramente minori di quelli finora impegnati”.

L’Italia, secondo l’Unione Europea, è ancora chiamata non a caso il paese dei campi, Roma è la capitale anche in questo (nell’autunno del 2000, la rivista Carta pubblicò il rapporto dell’European roma rights center, il cui titolo era Il paese dei campi...). “Occorre un’azione forte di discontinuità, per evitare gli errori fatti fino ad ora”. D’altronde, i campi sono l’unica soluzione per chi non ce la fa ad uscirne: “Abbiamo osservato negli ultimi anni che le giovani generazioni vogliono uscire dal ghetto campo. L’altro elemento è che la situazione nei campi è così drammatica che tante famiglie stanno cercando di uscire. Chi rimane ha situazioni molto fragili, con ragazzi con disabilità, senza altra prospettiva sociale, ma la vita nei campi è sempre più invivibile”.

Una visione della società a partire dagli ultimi che l’Associazione 21 Luglio vuole proporre, anche organizzando una Scuola Politica che sta riscuotendo molto successo, con l’obiettivo di agganciare i grandi temi sociali e culturali del paese anche alle condizioni di vita dei Rom, non più visti come minoranza etnica ma come persone estremamente povere, perché nei campi vivono persone con grandi difficoltà a cui la società civile deve attenzione. Un’attenzione che è sempre sottolineata dall’Unione Europea: “Ma le raccomandazioni europee non sono vincolanti, più di questo non si può fare, non essendoci vincoli le amministrazioni locali fanno quello che vogliono”.

Il 5 luglio l’Associazione 21 Luglio organizzerà a Roma un convegno nazionale, presentando uno studio su dieci città italiane che hanno cercato di superare i campi nomadi, dove parteciperanno gli amministratori comunali coinvolti per mettere a confronto le pratiche realizzate.  “Amministrazioni di tutti gli orientamenti politici si stanno impegnando nel superamento dei campi dando case popolari ai Rom, come quella leghista di Ferrara, ma anche Palermo, FirenzeSesto Fiorentino, Moncalieri (Torino). Al di là dell’ideologia, serve il buon senso, capire che sgomberare non serve a nulla, ma bisogna attivare processi di inclusione chiudendo i campi e facilitando i percorsi di cittadinanza delle persone”.

A Roma, in pieno lock down, sono invece continuati gli sgomberi forzati, proibiti anche dalla legislazione di emergenza. “Si è violato la normativa nazionale, articolo 130 del Decreto Conte, oltre che i Diritti Umani. Le persone sgomberate si sono trasferite di pochi metri, in condizioni ancora più povere perché le ruspe avevano distrutto quel poco che avevano. Gli sgomberi sono un cinico gioco dell’oca, che perpetuano gli stati di emergenza. Finora, come 21 Luglio, abbiamo diverse interlocuzioni con le amministrazioni pubbliche. A Roma la porta è sempre stata chiusa, nonostante abbiamo più volte chiesto confronti. Speriamo che con la prossima amministrazione si possa dialogare, vorremmo portare avanti il nostro piano per il superamento dei campi, per cambiare un approccio finora sbagliato. Abbiamo speranza che con la prossima amministrazione cambi il clima, facendo proprio il piano che proporremo, cambiando l’approccio di politiche sociali dall’alto verso il basso, avviando un dialogo che possa mettere fine alla stagione dei campi”. Già, malgrado tutto se lo augurano in tanti e tante, che non debbano più esistere poveri e campi per poveri.

Cristina Formica, sociologa, si occupa da anni di mediazione culturale e accoglienza diffusa.

Questo articolo è il frutto di un corso (intitolato Raccontare la società che cambia) dedicato ai temi della comunicazione sociale, promosso a Roma dalla redazione di Comune insieme all’ong Arcs.

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