«Tutti a casa»: la tragedia e una possibilità
Fabio Troncarelli racconta il film coraggioso di Luigi Comencini e un passaggio fondamentale della storia italiana
Il 27 ottobre 1960 fu proiettato a Firenze per la prima volta il film Tutti a casa, di Luigi Comencini. Il regista affrontò con coraggio un momento fondamentale della nostra storia, raccontando un lungo viaggio nell’Italia sconvolta di quel momento, quando i soldati non ebbero più ordini e ognuno decise di tornare a casa. Il sottotenente Alberto Innocenzi (Alberto Sordi) addestrato a obbedire senza discutere, viene abbandonato dai suoi soldati nel Veneto e fugge verso il sud, con l’unico amico che gli resta, l’umile geniere Assunto Ceccarelli (Serge Reggiani) che sogna solo di tornare dalla moglie e dai figli a Napoli. I due sfuggono ai tedeschi che sparano a vista anche ai passeri; vedono morire i loro compagni; assistono impotenti all’odissea di una ragazza ebrea e di un prigioniero americano nascosto in una soffitta; alle deportazioni dei militari italiani prigionieri dei tedeschi; all’esodo biblico degli sfollati. Innocenzi è costretto a fuggire persino da suo padre (Eduardo De Filippo), che vorrebbe rimandarlo a combattere coi fascisti e finisce a Napoli, nei giorni delle Quattro Giornate. Di fronte alla brutale uccisione del povero Ceccarelli, decide di riscattarsi e si getta anima e corpo nella lotta.
Comencini riuscì a realizzare un film drammatico, anche se apparentemente comico e grottesco. Grazie alla bravura e al coinvolgimento autobiografico dei due grandi sceneggiatori Age e Scarpelli e grazie alle risate a denti stretti strappate al pubblico da un irresistibile Alberto Sordi (nei panni del protagonista) il film evoca con rara efficacia il caos dell’8 settembre 1943, quando con l’armistizio di Badoglio i soldati del re e del duce furono abbandonati a loro stessi.
Il successo fu travolgente. In pochi mesi Tutti a casa incassò più di un miliardo di lire: allora un operaio guadagnava in media 47.000 lire al mese, un giornale costava 30 lire, un caffè 50 e un chilo di pasta 200. Era l’epoca del boom economico in cui tutti avevano dimeenticato gli orrori della guerra. Invece il film, voltando le spalle al clima edonistico degli anni sessanta, parlava proprio di questo. Non del successo e dei soldi. E neppure del miraggio della Dolce vita, rievocata nel film apparso pochi mesi prima, che aveva scatenato scandali ed eccitazione morbosa. Parlava di un argomento deprimente: la guerra. E la guerra era ancora lì, davanti agli occhi di tutti. Come se fosse ieri.
Argomento tabù. Il 15 giugno era stata resa nota una lettera del ministro dello Spettacolo Umberto Tupini al presidente dell’Associazione industriale cinematografica, che annunciatva drastiche censure contro i film «a soggetti scandalosi e morbosi, negativi per la formazione della coscienza civile degli italiani». Un film come Tutti a casa non era certo “positivo” per la coscienza degli italiani e questo doveva averlo pensato anche Andreotti, allora ministro della Difesa, con un lungo passato di censore al ministero dello Spettacolo, dal momento che non aveva dato il permesso al regista di utilizzare carri armati dell’esercito durante le riprese, così come la polizia aveva negato il permesso a Visconti di girare all’Idroscalo di Milano Rocco e i suoi fratelli. In quell’anno Tambroni fece fuoco e fiamme contro i comunisti ma fu costretto a dimettersi dagli scioperi a catena e dalle manifestazioni contro il suo governo, appoggiato dai neofascisti dell’MSI. Eppure nonostante questo clima incandescente il film di Comencini sfondò ogni barriera. Perché? Ma perché parlava di qualche cosa che era stato rimosso dalla cultura ufficiale ma che non era stato cancellato da nessuno di coloro che avevano vissuto la tragedia della storia appena passata. Qualcosa che tutti avevano conosciuto, ma che forse nessuno osava riconoscere. Qualcosa che è molto difficile nominare. Il disastro morale di tutti dopo l’8 settembre, un armistizio improvviso, imprevisto. Lo sbandamento. L’abiezione. La perdita di umanità per centinaia di migliaia di uomini che fino al giorno prima, bene o male, sbrindellati o eroici, avevano qualche cosa in cui credere, qualche cosa a cui pensare o almeno qualche cosa che impedisse loro di pensare. Di colpo, nella mente di tutti si era spalancato un abisso. Tutti erano regrediti a uno stadio animale, in cui non esistevano più regole, non c’era più un brandello di umanità. Solo il bisogno di scappare. Solo la voglia di andarsene, di farla finita, di tornare a casa e magari non trovare più una casa.
E fosse solo questo. Parafrasando un celebre titolo di Dostojevski c’era stato anche un altro trauma terribile. Quello di essere “umiliati e offesi”. Di essere costretti a subire, come si suol dire, oltre il danno anche le beffe. Certo il film è pieno di humour, di risate amare, di umanità: ma – ridotta all’osso – l’epopea stracciona e grottesca del sottotenente Innocenzi e dei suoi malcapitati compagni di sventura nasconde, dietro il riso della commedia, il pathos della tragedia di un popolo che ha nel suo inno nazionale le parole «siamo da secoli calpesti e derisi». Cioè “umiliati ed offesi”.
Se questo è vero che ci può essere di più bello ell’immagine del sottotenente in borghese, ridotto come uno straccione, senza più onore, senza più orgoglio, che abbraccia il corpo straziato del suo unico amico, il povero Ceccarelli “sfortunato”, falciato dai tedeschi davanti a casa sua e imbraccia la mitragliatrice sparando contro i feroci, stupidi, ottusi, perdenti “vincitori” che saranno costretti alla resa più umiliante proprio da coloro che Hitler definiva un “popolo di zingari”? Che ci può essere di più epico e grandioso di questa rivolta di straccioni, di scugnizzi, di ragazzini senza futuro, di uomini senza passato, che ritrovano casa, patria, dignità, passato e futuro gettando alle ortiche casa, patria, dignità, passato e futuro?
QUESTO ESERCIZIO DI MEMORIA di Fabio Troncarelli POTREBBE ESSERE UNA “SCOR-DATA” ma si sa che le etichette sui barattoli contano meno dei contenuti e dunque (anche per “ingorghi redazionali”) viene collocato nella sezione CINEMA della “bottega”