Tutti i Marte che volete
Un dossier (con tanto di guida turistica) all’esplorazione fantastica del pianeta detto rosso
di Fabrizio (Astrofilosofo) Melodia
«In uno dei pianeti che girano intorno alla stella che si chiama Sirio, c’era un giovane molto intelligente, che ho avuto l’onore di conoscere durante il recente viaggio che ha fatto nel nostro piccolo formicaio. Si chiamava Micromega, nome perfettamente adatto a tutte le persone grandi. Era alto otto leghe, voglio dire 24mila passi geometrici di cinque piedi ciascuno»: così Voltaire, in «Micromega» del 1752 (traduzione di Piero Banconi, BUR, 1996; è l’incipit).
In questo modo, il filosofo illuminista Voltaire introduce la fantascienza nella filosofia, trasportando il lettore alla conoscenza di un incontro fra un astruso e gigantesco filosofo della stella Sirio e un filosofo di Saturno.
Insieme, constatata una grande affinità di pensiero, arrivano sulla Terra, per esplorarla, stupendosi tremendamente di quanto fosse disabitata.
Dopo ripetute osservazioni, per puro e semplice caso i due giganteschi filosofi notano una specie di mosca bianca piccolissima, in realtà una nave con a bordo scienziati di ritorno da una esplorazione al Polo.
Solo grazie a un diamante, i due filosofi riescono a vedere gli umani, arrivando alla conclusione che anche esseri di una tale piccolezza sono senzienti e in grado di eseguire complessi calcoli matematici.
Regalano loro un microscopico libro di filosofia con dentro il segreto della vita, il quale si rivelerà essere un libro costituito da pagine bianche. «Promise loro che avrebbe composto un bel libro di filosofia, scritto in piccolo per loro uso, e che in quel libro avrebbe svelato l’essenza delle cose. Infatti prima di partire diede loro il volume: lo portarono a Parigi, all’Accademia delle Scienze; ma quando il segretario l’ebbe aperto, vide che il libro era tutto bianco: Ah! disse mi pareva bene!».
Racconto fortemente satirico, che prende a calci sui denti la società dell’epoca, «Micromega» rappresenta le idee illuministe del suo autore, trasportandoci in un mondo di fantasia in cui i punti di vista sono assolutamente relativi, passibili in ogni momento di revisionismo.
Il pensiero critico è ciò che costituisce fondamentalmente il midollo della migliore filosofia e della migliore fantascienza, le quali studiano in concreto il reale e l’essere umano, cogliendo gli aspetti difformi e oscuri dell’esistenza stessa delle persone in una realtà in perenne stato di mutamento.
Voltaire non sapeva ancora che il velato riferimento al pianeta Marte avrebbe costituito un punto di partenza per le speculazioni di pensiero riguardo alla sua abitabilità.
Non poteva nemmeno pensare che il Pianeta Rosso avrebbe avuto un destino cosi significativo, tanto da diventare il pianeta per eccellenza nella storia della fantascienza.
Non per nulla, anche nel linguaggio comune, si tende a indicare gli extraterrestri usando il termine “marziani”, oltre che per definire un qualcosa di assolutamente assurdo.
Il filosofo aveva gettato il sasso, e con lui (25 anni prima) lo scrittore Jonathan Swift, quando, nel suo celeberrimo romanzo «I viaggi di Gulliver», aveva fatto cenno alla civiltà di Laputa, una società di scienziati, e alla scoperta di due satelliti di Marte invisibili ai telescopi.
Swift vide anche più lontano di Voltaire: infatti, 150 anni dopo, furono davvero scoperti due satelliti di Marte invisibili all’occhio umano, tanto da far pensare che lo scrittore avesse doti da preveggente o avesse intrapreso un vero e proprio viaggio nel tempo.
Quando si dice che la fantascienza corregge spesso il tiro della scienza ufficiale, ecco apparire esempi letterari del viaggio su Marte.
A dare inizio alle danze fu l’americano Percy Gregg con il romanzo «Across the zodiac» (1880) in cui il protagonista raggiunge il pianeta rosso su un’astronave ad antigravità, trovandovi una civiltà dittatoriale basata sulla poligamia e sul commercio delle donne. In Inghilterra alla fine dell’Ottocento si possono citare il romanzo utopico «A Plunge into Space» (1890) dell’irlandese Robert Cromie, e «Honeymoon in Space» (1900) di George C. Griffith, una “luna di miele nello spazio” che conduce allo scontro con una società che ha eliminato le emozioni. Nell’Europa continentale danno la propria versione immaginifica di Marte vari scrittori, tra cui i francesi Camille Flammarion, Gustave Le Rouge e J. H. Rosny Aîné e il tedesco Kurd Lasswitz.
Tutta questa ondata vetero-fantascientifica era stata causata dalla scienza ufficiale, grazie alle osservazioni ripetute dell’astronomo italiano Giovanni Virginio Schiaparelli, il quale credette di osservare sul suolo marziano una rete di canali.
Nella traduzione delle sue osservazioni la parola “canali” fu resa impropriamente come “canals” (che significa “canali artificiali”), invece che channels, così che si diffuse l’idea che i canali fossero opere di ingegneria idraulica realizzate da una specie intelligente per sopravvivere in un mondo più arido della Terra.
Aiuto, Marte era abitato! Qualcuno lo stava probabilmente coltivando: i canali di irrigazione erano troppo lunghi e ben visibili per non servire a tale scopo. La cantonata produsse un vero e proprio tsunami.
L’astronomo statunitense Percival Lowell ebbe un ruolo di primo piano nella diffusione di queste idee, tanto che i canali divennero un elemento tipico delle descrizioni di fantasia di Marte.
All’inizio del Novecento si dimostrò che i canali erano un’illusione ottica causata sia dal modesto diametro dei telescopi usati sia dalle osservazioni compiute dalla superficie terrestre, la convinzione non cessava in alcun modo di far presa sulla fantasia e sulle coscienze.
Vera pietra miliare e comunemente considerata come l’inizio vero e proprio del filone fantascientifico fu l’opera «La guerra dei mondi» (pubblicato a puntate nel 1897 e in volume nel 1898) di Herbert George Wells, in cui si racconta, per la prima volta, la storia dell’invasione della Terra da parte di marziani crudeli e tecnologicamente avanzati che, invulnerabili alle armi terrestri, vengono infine uccisi dai batteri della nostra atmosfera.
Il romanzo potrebbe essere visto come un’accusa al colonialismo dell’epoca, una descrizione di cosa si prova a essere invasi da un popolo senza scrupoli e dalla tecnologia più avanzata, cioè quello che l’Europa stava facendo in Africa. Ovviamente questo messaggio critico e pacifista di Wells fu ben poco colto, al contrario del sensazionalismo e degli effetti crudi presenti nel libro, tutti elementi riscontrabili anche nell’ultimo remake filmico a opera di Steven Spielberg nel 2005, con Tom Cruise nel ruolo di un padre di famiglia assai poco responsabile che tenta di salvare i suoi figli dall’attacco marziano. Non a caso, la pellicola fa molti riferimenti alla triste e ancora non del tutto chiarita vicenda dell’attacco terroristico alle Torri Gemelle. Alla fine, i Cattivi potrebbero persino essere i Buoni, mentre questi ultimi hanno caratteristiche davvero inquietanti e tutt’altro che amorevoli, come sembra sapientemente suggerirci Spielberg, che in ultima analisi lascia un contentino alla Casa di Produzione, con la Famiglia Felice che si riunisce dopo che l’eroico esercito americano distrugge gli alieni.
Ritornando alla genesi del Pianeta Rosso nella fantascienza, il successo di Herbert George Welss fu testimoniato dalle numerose imitazioni oltreoceano, fra cui edizioni pirata pubblicate a puntate nei quotidiani e un seguito non autorizzato dal titolo «Edison’s Conquest of Mars», pubblicato da Garrett P. Serviss nel 1898, con lo scienziato Tom Edison come personaggio protagonista, il quale, dopo avere applicato l’ingegneria inversa sulla tecnologia marziana, contrattacca gli invasori sul loro stesso pianeta. Un espediente che sarebbe stato utilizzato tempo dopo nel film «Indipendence Day» (1996) di Roland Emmerich, remake non dichiarato de “La guerra dei mondi” con la distruzione della Casa Bianca a opera di un colossale raggio disintegratore. La rivalsa statunitense non tarderà a farsi attendere grazie alle grandi abilità hacker del programmatore geniale di turno e dalla famiglia distrutta, un Jeff Goldblum davvero caratteristico, il quale riuscirà a entrare nel sistema operativo con un geniale troian e a infettarlo in modo irreversibile, causando la distruzione a catena di tutte le astronavi d’invasione.
Oltre a Thomas Edison, non poteva di mancare all’appello il buon Nikola Tesla (di cui ho avuto modo di parlare, insieme al grande Mauro Antonio Miglieruolo, qui in blog nell’articolo in ricordo della nascita del grande scienziato). Nel romanzo «To Mars With Tesla; or, the Mystery of the Hidden World«» (del 1901, scritto da J. Weldon Cobb) Tesla è assistito dal “giovane Edison” (Young Edison) nipote del celebre collega – il quale, nella realtà, fu un acerrimo rivale di Tesla – nel tentativo di comunicare con il pianeta Marte. Il romanzo riflette le reali idee che aveva Tesla sulla comunicazione fra pianeti, in quanto avrebbe scoperto il sistema per trasmettere le onde radio ELF a grande distanza, come con i moderni radiotelescopi, con le quali avrebbe potuto persino tracciare la struttura mentale del cervello umano, un’autentica TAC ante litteram.
Fieri precursori delle indagini sulle facoltà nascoste della mente umana, Tesla e il giovane Edison trasportano il lettore in una vera indagine scientifica che nulla ha da invidiare ai blasonati film di fantascienza basati sull’osservazione astronomica, quali «Contact» (1997) – ispirato a Carl Sagan, con una meravigliosa Jodie Foster – e «The arrival» (1996), pellicola orrorifica con un magistrale Charlie Sheen alle prese con una presunta divinità aliena, degna di essere annoverata negli orrori lovecraftiani, assolutamente da rivalutare.
Nel 1908 il sovietico Aleksandr Bogdanov pubblicò il popolare romanzo «La stella rossa» (Красная звезда Krasnaja zvezda) che come il suo seguito, «L’ingegner Menni» (“Inžener Menni”, 1912) è ambientato in una utopica società marziana socialista.
Protagonista di una bellissima e recente riduzione filmica, con uno sproposito di effetti digitali in CG 3D, ecco arrivare la trilogia di Marte di Edgar Rice Burroughs: «Sotto le lune di Marte» (A Princess of Mars), «Gli dei di Marte» (The Gods of Mars) e «Il signore della guerra di Marte» (The Warlords of Mars), pubblicati fra il 1912 e il 1919.
Protagonista della serie è John Carter, un ex ufficiale trasportato con mezzi misteriosi sul pianeta Marte, chiamato Barsoom dai nativi, che fa da sfondo esotico ad avventure di ogni genere, in trame ricche di azione e sangue, oltre a un certo rude romanticismo.
Barsoom è un mondo morente, in cui i mari si stanno prosciugando e le antiche civiltà sono decadute, i suoi abitanti sono divisi in etnie caratterizzate dal diverso colore della pelle, nemiche le une delle altre. Scenario già visto qui sulla nostra madre Terra: penso che i motivi “razziali” non abbiano bisogno di molte presentazioni, lo specchio deformato e un poco fantasy della società barsoomiana risulta essere l’ennesima denuncia contro i malcostumi della nostra, intenta a creare classi e differenze, tutte all’insegna del potere e del denaro.
Nonostante la fama di questi romanzi sia sfumata nel corso del tempo, all’epoca ebbero un tale successo che Burroughs continuò a scrivere seguiti fino agli anni quaranta, ebbe innumerevoli imitatori e si costruì un fedele nucleo di appassionati.
Inoltre il personaggio di John Carter ha avuto parecchie trasposizioni a fumetti. La prima apparizione è nella rivista «The Funnies» della Dell Comics, dove fu pubblicato nei numeri 30-56 tra il 1939 e il 1941, in tavole realizzate per lo più da John Coleman Burroughs, figlio di Edgar Rice Burroughs che di John Carter fu il creatore letterario.
Sempre John Coleman Burroughs realizzò 69 tavole domenicali per la United Features Syndicate, che apparvero sul giornale «Chicago Sun» a partire dal 7 dicembre 1941.
Tre storie pubblicate dalla Dell Comics nella rivista «Four Color Comics» (nn. 375, 437 e 488 del 1952-1953) furono illustrate da Jesse Marsh; poi ristampate dalla Gold Key Comics nel 1963-1964 nei nn. 1-3 di «John Carter of Mars».
Una versione inglese dal titolo «The Martian», scritta da D.R. Morton e disegnata da Robert Forest, fu pubblicata sul «British Sun Weekly» nel 1958-1959.
Una versione in lingua ceca dal titolo «Dobrodrużství Johna Cartera» (“Le avventure di John Carter”), scritta da Vlastislav Toman e illustrata da Jiří Veškrna e Milan Ressel uscì nel 1968-1971 sulla rivista cecoslovacca «ABC».
La DC Comics, la casa editrice di Superman e Batman, pubblicò storie di John Carter in diverse riviste: la prima fu scritta da Marv Wolfman e disegnata da Murphy Anderson e apparve su «Tarzan» 207 dell’aprile 1972; gli stessi autori ne realizzarono altre pubblicate sui nn. 1-7 di «Weird Worlds» nel 1972-1973. Successivamente, John Carter riapparve nel 1976 nei nn. 62-64 di «Tarzan Family», in storie scritte da Bob Kanigher e illustrate da Noly Zamora e Vi Catan, cui seguirono ristampe delle storie di Wolfman e Anderson nei nn. 65-66 della stessa rivista.
La casa editrice concorrente Marvel Comics, quella di Stan Lee, pubblicò le avventure dell’eroe nella rivista «John Carter: Warlord of Mars», di cui uscirono 28 numeri più tre Annuals nel 1977-1979, con testi ancora di Marv Wolfman e Peter B. Gillis, matite di Gil Kane, Carmine Infantino, Larry Hama, John Buscema, Alan Weiss e Ernie Chan sugli inchiostri di David Cockrum, Rudy Nebres, Ricardo Villamonte e Ernie Chan.
Fra il settembre e il dicembre 1987 lo scrittore Don Kraar e il disegnatore Gray Morrow, allora autori della striscia di Tarzan per lo United Features Syndicate, realizzarono per le tavole domenicali un’avventura di Tarzan in cui compariva John Carter.
La Dark Horse Comics pubblicò nel 1996 una miniserie dal titolo «Tarzan/John Carter: Warlords of Mars», in cui si incontrano i due eroi di Burroughs, per i testi di Bruce Jones e Simon Revelstroke e i disegni di Bret Blevins, Ricardo Villagran e Mike Manley.
Sulle onde del successo, John Carter conobbe molti imitatori ma ebbe sicuramente un precursore meno noto, ma altrettanto appassionante, nella persona dello scrittore Edwin Lester Arnold, che nel 1905 diede alla luce il personaggio di Gullivar Jones, nel romanzo «Lieutenant Gullivar Jones. His vacation», in cui si narrano le emozionanti avventure di un soldato sudista trasportato sul pianeta Marte a bordo di un tappeto volante.
Anche per Gullivar Jones, ci furono riduzioni a fumetti, pur se meno numerose di John Carter, proprio da parte della Marvel Comics. La sua prima apparizione infatti risale al 1972, allorquando la Marvel pubblicò una storia scritta da Roy Thomas e illustrata da Gil Kane e Bill Everett nel n. 16 della rivista antologica «Creatures on the Loose». Altre storie uscirono sui nn. 17-21 della stessa rivista fra il 1972 e il 1973 e a Roy Thomas successero ai testi Gerry Conway e George Alec Effinger. Altre due storie apparvero nel 1974, sui nn. 4 e 8 della rivista in bianco e nero della Marvel Comics «Monsters Unleashed», scritte da Tony Isabella e disegnate da David Cockrum e George Perez.
Ma tutta questa fantasy poco piaceva a Hugo Gernsback, il quale volle dare un giro di vite alla poca plausibilità scientifica e riportare i viaggi su Marte nel reame proprio della narrativa scientifica, in alcuni episodi dei romanzi «Baron Munchausen’s Scientific Adventures», pubblicati nel 1915-1916 su riviste pulp e poi ristampati su «Amazing Stories» nel 1928, con estese disquisizioni su società e tecnologia marziane, ma con scarsi risultati.
Ci pensa Olaf Stapledon a riportare in vigore il mito fantascientifico di Marte e a dare soddisfazione al buon Nikola Tesla, con il romanzo «Infinito» (1930) in cui i marziani hanno la forma di nuvole capaci di comunicare telepaticamente e formano una coscienza collettiva sul loro pianeta.
Marte prova a invadere la Terra, ma i terrestri riescono a battere gli alieni, anche perché i marziani che arrivano sulla Terra fuoriescono dalla mente comune e iniziano a concepire pensieri propri.
La vittoria è però fatale ai terrestri, perché le molecole delle nubi marziani, che si disperdono sul loro pianeta, sono tossiche e causano il declino dell’umanità.
Nelle ere successive, molte specie animali e umane si adattano alle nuove sostanze e le includono nel proprio corpo, assumendo a loro volta capacità telepatiche.
Tutte suggestioni che avrebbero trovato un terreno fertile negli alieni biocibernetici conosciuti come Borg nella serie televisiva «Star Trek: The next generation» (1989) e nei robotici e spietati Daleks della longeva e appassionante serie televisiva del «Dottor Who» (1963).
Lo sfortunato Stanley G. Weimbaum, morto di cancro prematuramente a poco più di una trentina d’anni, scrisse sicuramente uno dei più bei racconti riguardo al pianeta rosso, ribaltando completamente la visione di Marte abitato da alieni malvagi e spietati.
Nel suo racconto d’esordio «Un’odissea marziana» (1934), narra che Marte è abitato da creature pacifiche, spesso intelligenti quanto gli esseri umani ma con una psicologia del tutto diversa e incomprensibile. Mentre il protagonista della storia sta esplorando Marte, il suo veicolo si blocca e lui deve fare ritorno alla base a piedi. Lo accompagna un indigeno simile a uno struzzo, che gli dimostra comprensione e lealtà, anche se il terrestre non riesce a capire i suoi ragionamenti né a comunicare con lui. I due incontrano nel loro viaggio altri esseri incomprensibili, come una creatura quasi immortale a base di silicio che passa tutta la sua vita a costruire piramidi con i blocchi di silice che produce respirando; un predatore che attira le sue vittime creando allucinazioni piacevoli; una civiltà sotterranea di esseri a forma di barile.
Sicuramente originale, anche nella sua struttura che si rifà senza troppi preamboli al poema omerico e alle avventure di Sinbad descritte nella raccolta «Le mille e una notte», le suggestioni di questo racconto avrebbero trovato grandi favori sempre in «Star Trek», la cui filosofia pacifista e di dialogo ben si sposa con la descrizione di Weinbaum.
Spesso gli alieni sono solo incomprensibili, mentre basterebbe qualche sforzo in più per trovare un linguaggio comune d’appartenenza, come il protagonista del racconto è costretto a fare per riuscire a sopravvivere con l’aiuto del suo inusuale compagno.
Stesso modo di vedere lo abbiamo nel racconto «Vecchio fedele» (1934) di Raymond Z. Gallun, una vera parabola politica, in cui un marziano pacifista fugge dal governo di Marte, dispotico e intollerante, a bordo di una cometa, verso il pianeta Terra, con il quale aveva stabilito un contatto radio, per chiedere asilo politico da perseguitato. Lo troverà, ma non senza una controindicazione: l’atmosfera del nostro pianeta è letale per i suoi polmoni e incontrerà una ironica morte per soffocamento.
Il cerchio della rivoluzione marziana si chiude proprio con Herbert George Wells, il quale nel romanzo «Gli astrigeni» (“Star Begotten”, 1937) ribalta completamente l’immagine dei marziani che aveva descritto ne «La guerra dei mondi». Infatti i marziani non appaiono mai nella narrazione, ma le loro caratteristiche vengono dedotte dai personaggi con la logica. Essi sono una sorta di fratelli maggiori e più saggi dell’umanità, che guidano l’evoluzione dell’intelletto umano con una dosata irradiazione di raggi cosmici.
Nel 1949, una gentile donzella di nome Leigh Brackett crea il personaggio di Eric John Stark, esploratore di un pianeta Marte inaridito e morente, sul cui terreno fioccano le rovine di città morte solcate da rossi e cupi canali prosciugati, tanto cari al buon Schiaparelli. Tale mondo viene descritto nei romanzi «Il segreto di Sinharat» (“The Secret of Sinharat”, 1949) e il seguito «Il popolo del talismano» (“People of the Talisman”, 1951), entrambi raccolti in italiano sotto il titolo «I canali di Marte» o «La strada per Sinharat» che costituirono l’inizio e l’esempio tipico del filone fantascientifico denominato “planetary romance”. E proprio in questo settembre Urania li rimanda in edicola.
«Cronache marziane», scritto da Ray Bradbury nel 1950, è una serie di racconti che narra della conquista di Marte da parte dei terrestri. Bradbury, più che interessarsi all’aspetto scientifico della colonizzazione, fa notare la somiglianza tra questa e la conquista del Nuovo Mondo.
Gli umani si insediano sul suolo marziano senza considerazione per gli indigeni, che vengono uccisi dalle malattie portate dalla Terra, come accadde ai nativi americani. Per colmo di umiliazione, quando l’antica civiltà marziana è ormai distrutta i terrestri abbandonano Marte per combattere una guerra mondiale sul loro pianeta.
Una parabola tremenda, non c’è che dire, le cui parole affondano come lame di un coltello nell’anima stessa su cui si fonda la nazione americana, un grido senza fine e un destino circolare da cui non esiste scampo.
Nel 1951, Arthur Charles Clarke pubblica il romanzo «Le sabbie di Marte», in cui si narra della progressiva e plausibile terraformazione del pianeta rosso, adattato alle esigenze terrestri ma senza prepotenza o prevaricazione.
Il terrestre protagonista, unico passeggero del viaggio di collaudo del servizio di linea Terra-Marte, diventa testimone e partecipe di eventi che portano i coloni a sviluppare una tecnica per dotare il pianeta di atmosfera ricca di ossigeno mediante alcune piante indigene modificate (in modo più organizzato rispetto a quanto descritto in uno dei racconti di Bradbury), alla trasformazione di Fobos in un piccolo sole, oltre ad un vera e propria dichiarazione di autonomia della colonia rispetto al pianeta Terra, in piena sintonia con la dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti del 1776.
Nel 1952 Isaac Asimov ambienta su Marte «Lucky Starr, il vagabondo dello spazio», primo romanzo di una serie per ragazzi. Il pianeta è rappresentato come un deserto rosso, colonizzato dai terrestri, dove il protagonista riesce a scovare una civiltà autoctona, nascosta in immense caverne scavate sotto la superficie ed estrememente evoluta, al punto di essere costituita “di puro pensiero”. Nello stesso anno Asimov pubblica anche una delle prime storie sull’esplorazione di un Marte in terraformazione, cioè «Maledetti marziani» (The Martian Way, 1952).
Sempre nel 1952, nel racconto «Duello sulla Sirte» (“Duel on Syrtis”) di Poul Anderson, uno spietato cacciatore umano caccia illegalmente prede marziane senzienti attraverso i deserti del pianeta rosso.
Un’autentica evoluzione verso il realismo, che trova terreno fertile nelle problematiche razziali e politiche che in quegli anni stavano diventando sempre più pressanti e urgenti.
Inoltre si fanno sempre più presenti i racconti sulla colonizzazione plausibile del pianeta, un esempio è «I pionieri di Marte» (Alien Dust, 1955) di E.C. Tubb, che racconta i primi 35 anni di una colonia terrestre su Marte.
Una potente satira è rappresentata dal romanzo «Marziani, andate a casa!» (1955) di Fredric Brown – se n’è già parlato in blog per una recente ristampa – in cui la Terra è improvvisamente invasa da milioni di omini verdi provenienti dal pianeta rosso e che portano il nostro pianeta al collasso totale semplicemente con la maleducazione. I marziani sono intangibili, quindi impossibili da scacciare. Le loro attività preferite sono sbeffeggiare gli umani e rivelare informazioni che dovrebbero rimanere segrete, dai documenti top secret ai tradimenti coniugali, di cui vengono in possesso grazie alla loro capacità di vedere al buio e attraverso gli oggetti. Veramente tremendi, non c’è che dire.
Più educato è il protagonista di «Straniero in terra straniera» (“Stranger in a strange land”, 1961) di Robert Anson Heinlein, un essere umano allevato dai marziani e tornato sulla Terra al culmine dell’adolescenza, scontrandosi con la civiltà terrestre a lui decisamente aliena. Romanzo censuratissimo agli inizi proprio in Italia, per i temi della controcultura giovanili, in particolare sulla libertà sessuale.
La trilogia di Marte di Kim Stanley Robinson – «Red Mars» (1992), «Green Mars» (1993) e «Blue Mars» (1996) – narra del processo di terraformazione del pianeta, il quale passa dallo stadio d’inabitabilità a quello verde grazie alla cultura intensiva di piante, per poi passare alla fase blu, diventando del tutto simile alla Terra.
Eccoci dunque arrivati alla fine del viaggio, attraverso l’immaginario che ha reso il pianeta Marte cosi fortemente connotato nella fantasia popolare.
La missione di terraformazione del pianeta dovrebbe partire – nel cosiddetto mondo reale – intorno al 2029, quindi con solo pochi anni di ritardo da quelli ipotizzati proprio nella trilogia di Robinson.
I motivi saranno molteplici, come ci informano Piero e Alberto Angela nel loro libro «Viaggio nel cosmo», nel capitolo “Rendere Marte abitabile?”.
In un futuro non molto lontano l’aumento di popolazione e la crescente richiesta di risorse potrebbe creare una pressione per colonizzare nuovi habitat come per esempio la superficie degli oceani terrestri, il fondo dei mari, lo spazio intorno alla Terra o la Luna e gli altri pianeti del sistema solare, magari come sedi di miniere per l’estrazione di metallo.
Oppure saremo costretti a emigrare a causa del nostro Sole. Fra centinaia di milioni di anni, la nostra stella potrebbe diventare troppo calda ancora prima di passare alla fase di Gigante Rossa, in quanto si è registrato che tutte le stelle della fascia principale emettono gradualmente sempre più energia. Partire alla volta di Marte e terraformarla, garantirebbe ancora qualche migliaio di anni all’umanità per sviluppare il viaggio interstellare, per spostarsi dunque sempre più sulle fasce esterne della galassia.
Tutto questo non fa altro che aumentare l’immaginazione e la speculazione: alla fine la fantascienza e la filosofia proiettano il pensiero dell’uomo ai problemi di dopodomani, che allo stato attuale delle cose sono già massicciamente presenti.
Concludo ricordando le opere a fumetti cui si fa riferimento a Marte.
Il personaggio dei fumetti (della DC Comics) J’onn J’onzz apparve per la prima volta nel 1955 sulla rivista «Detective Comics» ed è noto come “il Segugio di Marte” (Martian Manhunter): è un marziano, ultimo sopravvissuto del suo popolo. Gli abitanti del pianeta, prima della fine, sono divisi in due fazioni (o razze): da un lato i Verdi, cui appartiene J’onn, pacifici e dediti alla meditazione; dall’altro i Bianchi, assetati di sangue e guerra, molto più robusti e minacciosi nell’aspetto.
Il personaggio dei fumetti (della Marvel) Killraven, ideato nel 1973 da Gerry Conway, Roy Thomas e Neal Adams sul n. 18 di «Amazing Adventures» (2ª serie), è un ribelle che combatte i marziani, ormai dominatori della Terra, mentre nella graphic novel «Watchmen», uno dei personaggi – il Dr. Manhattan – si autoesilia su Marte quando viene convinto che i suoi poteri provocano il cancro nelle persone che lo hanno conosciuto.
«Marvin il marziano», il simpatico alieno creato nel 1948 per i cartoni animati della Warner Bros come antagonista di Bugs Bunny, ha avuto anche apparizioni nei fumetti che la DC Comics dedica ai Looney Tunes dagli anni novanta, come «Looney Tunes», «Bugs Bunny», «Bugs Bunny Monthly» e nella miniserie del 2000 «Superman & Bugs Bunny».
Nella serie a fumetti «Nathan Never» della Sergio Bonelli editore, Marte è abitato dai discendenti di una missione spaziale terrestre che, dopo un atterraggio disastroso, erano riusciti ad utilizzare i resti della loro astronave per rendere stagne alcune grotte e produrvi artificialmente un’atmosfera respirabile. L’unica forma di vita autoctona è una terribile ameba mutante (lo “Strike-Shape”), letale perché può insediarsi nello stomaco delle sue vittime e crescere in modo incontrollabile fino a farle letteralmente esplodere.
Per concludere, indignati dell’inquinamento sulla Terra, Calvin e Hobbes emigrano Marte a bordo del loro carretto. Quando si rendono conto che i marziani li temono a causa della cattiva fama dei terrestri, decidono di lasciare il pianeta ai suoi abitanti e di tornare indietro.
Siamo arrivati alla fine della guida turistica per viaggiatori cosmici non frettolosi, confido che essa tornerà utile per addentrarsi nell’esplorazione del pianeta rosso in totale sicurezza e allegria, si prega di rispettare le regole del luogo e di non sporgersi dalle balaustre e di non scendere dalla pedana, grazie.
BREVISSIMA NOTA
Alla dotta nota di Fabrizio aggiungo un suggerimento: «Seconda stella a destra», ovvero la «guida turistica del sistema solare» scritta da due uomini di scienza, Andrea Bernagozzi e Davide Cenadelli. Come ho già scritto in blog (visto che Marte è uno dei miei 57 hobby preferiti) è un libro divertente eppur serio: gli autori ipotizzano attività sportive su Marte come scalare il Monte Olimpo (24 km, altro che Messner) o calarsi in Valles Marineris, un gemello del Grand Canyon ma 10 volte più grande. (db)
Ringrazio l’astrofilosofo per la dotta esposizione e dibbì per la citazione, fa impressione vedere il mio nome accostato, anche se in nota, a marziani del calibro di Wells Bradbury Clarke. Ricambio proponendo di seguito il capitolo di Seconda stella a destra cui si fa riferimento, nella versione originale, leggermente diversa da quella pubblicata. Una ‘outtake’ solo per il blog di dibbì & altr*… scherzo, eh! Comunque ricordate: Marte è grande!
«Insalate verdi sul pianeta rosso»
Il pianeta dei record
Insieme alla Terra, Marte è il pianeta più famoso del Sistema Solare. Perfino Saturno, nonostante la bellezza unica dei suoi anelli, non è altrettanto popolare. Benché più piccolo della Terra come dimensioni (6.800 km di diametro contro 12.700 km) e come massa (addirittura un decimo di quella terrestre), Marte è infatti il pianeta dei grandi numeri.
Qui troviamo la montagna più alta del Sistema Solare, l’imponente Monte Olimpo, la cui vetta supera i 24 km. Qui c’è il sistema di canyon più vasto, Valles Marineris, che attraversa il Grande continente meridionale per 4.000 km, quasi dieci volte il Grand Canyon terrestre, e raggiunge la profondità di 7 km. Qui c’è probabilmente il cratere d’impatto più grande, perché si pensa che il bacino che oggi ospita il Grande oceano settentrionale, all’incirca di 9.000 km di diametro, sia stato formato 4 miliardi di anni fa dalla caduta su Marte di un asteroide grosso quasi come la Luna.
Soprattutto Marte è stato il primo pianeta su cui sono sbarcati astronauti terrestri, con la storica missione Aurora 11 guidata dal comandante Paul Lovely nel 2069, e il primo pianeta reso artificialmente in grado di accogliere esseri umani, grazie al terraforming compiuto nel III millennio. Senza queste due imprese non avremmo avuto la Grande migrazione e la colonizzazione della Via Lattea. E neppure uno dei piatti più succulenti: le saporite insalate marziane.
Cacca nello spazio
Nella Sala dei nomi del Museo del terraforming (cui è dedicato un altro capitolo) camminate tra le oloproiezioni di dieci milioni di nomi. Sono quelli di ogni singolo pioniere che ha contribuito a terraformare il pianeta negli otto secoli di lavori. Tra questi, cercate Linus Clemensod e Joseph Le Cretes. Spetta a loro il merito di aver introdotto su Marte la pratica agricola della concimazione.
Nel XXVI secolo Marte era noto come il ‘pianeta rosso’ a causa della fine sabbia rossastra di ossidi di ferro, in altre parole ruggine, che ne copriva la superficie. Nei deserti marziani erano stati liberati cianobatteri terrestri geneticamente modificati per fare la fotosintesi con la luce solare che giungeva su Marte, inferiore a quella della Terra (Marte dista mediamente dal Sole 228 milioni di km contro i 150 milioni di km della Terra). Oltre a consumare anidride carbonica immettendo ossigeno nell’atmosfera marziana, arricchivano il suolo di sostanze nutritive. Gli studiosi avevano calcolato che così nel giro di 500 anni si sarebbe formato l’humus necessario per l’agricoltura.
Linus e Joseph, proprietari della maggiore società interplanetaria di spurgo di fogne e pozzi neri, intuirono come accelerare il processo. Ottennero il permesso di spargere le tonnellate di liquami raccolti dalle città terrestri e dalle cupole pressurizzate marziane sulla superficie di Marte, grazie a una flotta di astronavi cargo di seconda mano comprate con i guadagni degli spurghi. In breve tempo Marte divenne il ‘pianeta bicolore’: rosso e marrone.
Il camaleonte del Sistema Solare
I liquami stimolarono la riproduzione dei batteri più del previsto. Di conseguenza, l’immissione nell’ambiente di sostanze nutritive crebbe in modo esponenziale. Lo strato di humus si formò in 50 anni invece che in 500. Intanto l’aumento di pressione atmosferica e temperatura aveva provocato lo scioglimento del ghiaccio d’acqua contenuto nel terreno marziano. Alla fine del XXVI secolo, su Marte c’era abbondanza di acqua allo stato liquido.
Linus e Joseph, ormai in pensione, seguendo un’antica tradizione terrestre si dedicarono alla cura dell’orto. Solo scelsero di farlo su Marte, non più un mondo sterile, ma fertile. Inoltre non si trattava di un orto, ma di vere e proprie piantagioni realizzate con i soldi della vendita della loro società. Per cominciare, scelsero l’insalata.
L’humus marziano si rivelò potentissimo e ampie zone del Grande continente meridionale si coprirono di distese di lattuga, songino, valeriana, cicoria… Non cambiò solo il suolo. Originariamente il cielo marziano appariva color rosa salmone a causa delle particelle di sabbia rossa portate dai venti. L’azoto emesso dalle fabbriche e l’ossigeno prodotto dai batteri diffondevano la luce solare colorando d’azzurro il cielo e, per riflesso, anche l’acqua di fiumi, laghi e del Grande oceano settentrionale. Marte mutò definitivamente aspetto e divenne finalmente il ‘pianeta tricolore’: rosso, verde e blu, com’è ancora oggi.
Pic-nic sul Monte Olimpo
Millenni dopo l’insalata è ancora il tipico cibo marziano. Nutriente e a buon mercato, con benefici effetti sulla salute, si può consumare in mille modi. Il più semplice è il panino lattuga pomodoro e mozzarella, ideale per le scampagnate. Per esempio una gita al Monte Olimpo, nel Parco naturale di Tharsis, sulla costa del Grande continente meridionale.
Il Monte Olimpo è un vulcano oggi spento, che però è stato attivo per centinaia di milioni di anni. La lava eruttata si è man mano accumulata ai bordi, raffreddandosi e diventando solida. Il risultato è una montagna di 24 km di altezza sul livello del mare (marziano) e addirittura 600 km di larghezza alla base!
La combinazione dei due fattori fa sì che la pendenza risultante sia in media bassisima. Una passeggiata sul Monte Olimpo non è faticosa, perché vi sembrerà di andare in piano, mentre in realtà state scalando la montagna. Perciò è la meta prediletta delle famiglie, anche con bimbi piccoli. Ma quando arriverete in cima, noterete che l’orizzonte è curvo: siete così in alto che potete apprezzare la sfericità del pianeta… Un’altra vista che merita è la scarpata del versante nord, dove si infrangono le onde del Grande oceano settentrionale. Alta in certi punti 6 km, è stata formata nel lontano passato di Marte da fenomeni tettonici, dall’erosione dei venti e forse dell’acqua.
Qualsiasi sia la vostra meta, godetevi il panorama mangiando un buon sandwich all’insalata marziana, alla salute di Linus e Joseph.