UMANITA’ DI SCOGLIO

ripreso da chiedoaisassichenomevogliono.wordpress.com

C’è scoglio e scoglio ché non tutti sono uguali. C’è scoglio finto, eletto a frangiflutto, di pietra per scherzo, manufatto di calcestruzzo d’innaturale cubo, schiavo già a concepimento, a prendere schiaffo di mareggiata per protezione di banchina di molo, a non far di rena di lido polvere di marea, a reggersi a barriera per porre divieto di diruto a villetta fronte mare, a impedire a budello di strada a fresco di palma di divenire solo voragine di falesia.

https://youtu.be/3_owzbRR25g?si=G7QAQWbeGGT6mUqO

C’è scoglio a supponenza, che mette culo a nord e muso a sud, pure a viceversa, a prender sberle da vento di maestro, ma che non si fa a sottrazione di scirocco e libeccio. Talaltro scoglio si fa ponente e levante insieme, che di grecale patisce l’onda, ma pure a provenza s’espone, a farsi rosicare frammento ad ogni uggio di tempo. C’è scoglio mansueto, che s’alliscia piano di risacca, si infila collana di cystoseira, all’uopo s’adatta ad ospizio per sole, si finge spiaggia rubiconda a color medesimo di sabbia.

C’è scoglio pure che non s’avvede di brutalità di bufera, che prima s’alza a promontorio, poi, a grattar d’onda a tempesta, diventa amputazione, pare nave d’Argonauta pronta a varo e, a confine suo, fatta isola, si cinge di corona d’alga. Ce n’è altro che di corrosione di sale si camuffa a riccio puntuto, diviene collezione di lama di rasoio e qui non si cammina. Se ne videro che prima furono in vetta a ripido strapiombo, quindi, per scavo d’inesorabile cavallone, si fecero scoglio riverso per crollo improvviso e ancora portano traccia di antica postura in radice d’arbusto cotto al sole messo a testa sotto. Se ne scorsero di biancheggianti di calcare, tali altri furono di nero basalto o dorati di friabile arenaria.

Certi paiono a gobbe di cammello o unica di dromedario, su altri si scavano pozze, diventano alveari di granchio e paguro, s’istoriano della patella, si tingono di mitilo. Tutti questi, tanti altri, non s’affermano d’ospitalità mondana per forza, talora stanno alla larga da fasto di cartolina, s’accucciano a braccia di mare, ne reggono l’urto d’intemperanza, si carezzano di bonaccia, ma pare fanno all’unisono trampolino per sguardo acceso a volta d’orizzonte, passerella per infinito, si tingono di colore di sangue e vino quando la distesa dinnanzi s’inghiotte il sole, per poi risputarlo a luogo opposto. Si strisciano di bianco di sale, talora patiscono il tratto nero della pece, l’azzurro della pietra celeste che impazzimento produsse al polpo a tana di sotto. Se ne vedono che pare che aspettano compagnia, si dispongono ad acqua cheta, ma pure fanno resistenza a fortunale, che sollevano lo spruzzo ad altezza di vertigine e fanno omaggio di sale al tutto d’intorno. Ma non c’è, mai ci fu, mai ce ne sarà, scoglio che si sottrasse a braccia ad aggrappo per porto salvo, che pare – scoglio intendo – a cuore assai ampio per accoglimento d’altro che fece cammino d’intemperia.

https://youtu.be/RLefc10kkMc?si=t8SYpKYNjtsIIrGA

 

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