Umano è
Racconto di Riccardo Dal Ferro, a partire da Philip Dick e da un “twittare” ultra-collettivo scritto da una sessantina di persone (*)
Nei suoi occhi ci ritrovo tutto.
Mi ci ritrovo, come fossi un riflesso a figura intera, ma non solo fisicamente parlando. Immaginateci, ora: abbiamo le teste adagiate sullo stesso cuscino, nel perfetto silenzio che c’è dopo l’amore. Mi ci ritrovo, nei suoi grandi immensi vastissimi occhi, e quasi ci cado dentro, precipitandovi.
Se ci vedeste, senza alcun dubbio non capireste. Io e lei siamo sospesi in una dimensione parallela, e dobbiamo tenere bene a mente che le dimensioni sono parallele in quanto non si incontrano mai. La sua iride m’irride, con quei colori sfumati, che non sono mai verde, mai giallo, mai azzurro, ma continuano a mutare. I miei occhi, invece, sono neri come il buio, lo sono sempre stati, ma per la prima volta mi pare riescano ad abbinarsi bene ai colori irriconoscibili di questa stanza.
È qui, nella nostra dimensione sconosciuta, che le chiedo: «Che cosa è umano?».
Non sono certo di averle pronunciate queste parole. Nonostante alle mie orecchie siano sembrate un urlo, il mio cervello mi suggerisce di non averle fatte uscire mai di bocca. Ma lei risponde, eccome se risponde, e la sua lingua mi pare per la prima volta meno straniera.
Umano è – dice – umano è ciò che diffida.
Diffida per la paura di ammettersi diverso, per la necessità di somigliare alle proprie immagini, persino quelle più estranee. Diffida, perché non sa che farsene di un amico, e perciò ha bisogno dei nemici. Umano è tutto quello che ci ha chiusi qui dentro, per non farci sorprendere insieme là fuori.
La sua voce è spaventata. Io so bene che cosa teme, ma non riesco ad ammetterlo neanche a me stesso. Provo fastidio nel sentire ciò che mi dice, e il mio primo impulso è quello di contraddirla, di combattere questo cinismo che dimostra verso l’umanità. Suvvia, non siamo poi così male. E allora, ribatto.
Umano è – dico – umano è ciò che immagina.
Immagina paesaggi mai visti, e li dipinge, regalando all’occhio d’altri un pensiero talmente intimo da sembrare invisibile. Umano è ciò che sogna, ma è anche ciò che comunica quei sogni, permettendo ad altri di sognare, desiderando di condividere con essere simili e dissimili la visione avuta nel cuore di una notte, oppure nel mezzo di un amore. Umano è persino inventare mondi sui quali far abitare chi non ha casa.
Poi il silenzio cade, o forse non è mai stato rotto.
Lei continua a osservarmi, e mi è così facile intuire i suoi pensieri da rendermi impossibile tradurmeli nella lingua che conosco meglio. È così diversa, ma al tempo stesso così affine. Siamo così distanti, eppure ravvicinati in un modo che neanche questo contatto fisico, nella nudità che ci avvolge, può restituire.
Umano è rifiutare, dice. Umano è prendere le distanze, è sparare e non sperare. Umano è barricare, recintare, confinare, limitare, proprio dove non c’è confine, non c’è limite, non c’è dimensione. Così dice.
Ma – ribatto – umano è anche travalicare quella stessa barricata che ci si è costruiti. E sai, amore mio, forse umano è costruire quella barricata per il fatto stesso di mettere alla prova la nostra capacità di scavalcarla, traforarla, abbatterla. Un muro per domarli, un muro per trovarli, un muro per ghermirli. E nel buio, buttar giù il muro. Lo dico ridendo, perché umano è anche usare le parole d’altri per giocarci, una volta tanto. E ridere.
Lei non ride, non sa ciò di cui sto parlando. Ma sorride del mio ridere, e mi sorprendo che un gesto così intimo come una risata sia in realtà così universale, da unire la mia piccola esistenza alla sua minuscola vita.
Così l’incalzo, per convincerla che umano è gioia. Umano è molto più arte che distruzione, è molto Van Gogh, e poco Von Clausewitz, anche se lei non ha idea di chi siano questi uomini. Ma percepisco che in qualche modo capisce quel che intendo. Umano è percorrere, non fermarsi. È amare fino alle estreme conseguenze, non odiare per evitare quelle conseguenze. Umano è persino parlarsi addosso, mentire a se stessi per convincere qualcuno di così distante che umano è onestà, sincerità, verità. Ma a chi voglio darla a bere?
Nel momento in cui lei corruga la sua fronte scarlatta, ancora imperlata del sudore che ci siamo scambiati, prende una delle mie mani tra le sue, così diverse, così impossibili da immaginare. Le mie cinque dita incrociano le sue sette, affusolate e delicate, le dita che diresti non possano fare male a una mosca. Ma lei non sa cosa sia una mosca, sul suo pianeta non esistono mosche, non so nemmeno che cosa esista o meno, sul suo mondo lontano, ma più vicino di quanto non lo sia la dimensione in cui siamo finiti a fare l’amore cosmico.
Umano è ciò che ci impedirà di portare fuori da questa stanza la gioia di esserci trovati. Lei dice così, e con poche parole mi sgretola, mi fa a pezzi, con una piccola semplice terribile verità.
Umano è ciò che mi rinnegherà, quando saprà che ho deciso di amare e di non odiare uno di quegli strani esseri che sono sbarcati sulla Terra con chissà quali bellicose intenzioni. Un essere così distante e difficile da comprendere da non rendermi nemmeno così sicuro il fatto che sia una “lei”. Anzi, non so nemmeno se sul suo mondo esista una distinzione fra “lui” e “lei”.
Nella paura di questa consapevolezza esplodo in una risata fragorosa, la mia mano scorre sul suo volto rosso, la pelle liscia e soffice, gli occhi privi di pupille, così grandi e sfumati. La bocca, un triangolo sottile che si apre in un timido sorriso. E questo so che è un sorriso, mi pare così universale e scontato.
Umano è ciò che scegliamo di accogliere. Umano è ciò che diventiamo quando ci spogliamo dei nostri ultimi pregiudizi. Umano è carezzarti, e sentire che la distanza di un universo e mezzo non ci ha impedito di riconoscerci, qualunque sia il tuo nome, qualunque sia la tua provenienza, ovunque sia la tua anima. Umano siamo noi due, nel momento stesso in cui non lo siamo più.
Quando ci raggomitoliamo nuovamente fra queste lenzuola terrestri, e chissà se sul suo pianeta esistono cose simili alle lenzuola, qualcuno sfonda la porta, urla nella lingua terrestre che io ormai non capisco più e, durante l’amore, spara a raffica contro i due alieni.
Umano è averti amata, nonostante umano non fosse.
(*) Mi scrive Riccardo Dal Ferro che da una mia sintesi (a Schio) del racconto «Umano è» di Philip Dick è nata un’iniziativa su Twitter, da lui avviata, che si intitola #UmanoÈ: un racconto ultra-collettivo scritto da una sessantina di utenti su Twitter, per raccontare che cosa sia “L’umanità ai tempi di Twitter”. Ne è uscito un tweetbook e un racconto. Il racconto mi è piaciuto molto, ed è quello che avete appena letto anche voi. Ma vi consiglio di vedere tutto il resto andando qui: http://svolgimentoblog.com/2014/05/13/umano-e/
È bellissimo.
Grazie.
‘forse umano è costruire quella barricata per il fatto stesso di mettere alla prova la nostra capacità di scavalcarla, traforarla, abbatterla. Un muro per domarli, un muro per trovarli, un muro per ghermirli. E nel buio, buttar giù il muro. Lo dico ridendo, perché umano è anche usare le parole d’altri per giocarci, una volta tanto. E ridere.’
Che bello.
Grazie.