Un esploratore di territori psichici
Recensione a un prezioso libretto di Fiorella Iacono su (e con) William Burroughs
«I dipinti scrivono. Raccontano e predicono storie. Ora i dipinti si muovono, ridono, ringhiano,
parlano, gridano, cambiano ma è un movimento in un’altra dimensione non un qualche miracolo fisico di pittura in movimento. C’è un’aura ben definita che precede l’emergere di una chiara immagine, un senso di concentrazione a un certto punto nella pittura, poi le immagini si mettono a fuoco. Spesso c’è un senso tridimensionale della visione con profondità, scogliere e aperture. Ogni momento accadrà, un braccio teso si abbassa, qualcuno si muoverà. L’intero dipinto è pronto per volare nello spazio… già pronto… uno strano leggero capogiro. Nel quadro scheletri bianchi danzano attorno a un rosso involucro». Così scriveva Wb, ovvero William Burroughs nel catalogo della mostra «Paper Cloud», nel 1992 in Giappone e Fiorella Iacono ha scelto queste parole per aprire il libretto «William Burroughs. Pittura, sperimentazione, scrittura» (Mimesis: 5,90 euri per 56 pagine) con il sottitotolo «Da Blade Runner all’arte dello sparo».
Mi sembra di udire una vocina dubbiosa: “Burroughs pittore?”. Un effetti poco se ne sa, almeno in Italia (la voce di Wikipedia a esempio ignora la sua sperimentazione pittorica). Come accade per molte figure che diventano “mitiche” anche per Burroughs valgono soprattutto le etichette: beat generation e droghe sono le due che gli restano più appiccicate. Con l’aggiunta di «genio» o di «strambo», visto che nel suo caso i punti di vista risultano inconciliabili. Chi lo ha letto sa che nei suoi libri c’è molto di più: dal «cut up» agli studi sul linguaggio (geroglifici compresi), dall’intuizione – e spesso ossessione – per le tecniche di controllo sulle persone ai concetti di tonal e nagual (che riprende da Carlos Castaneda). «Immaginazione e sarcasmo» aggiunge Fiorella Iacono. Quanto all’incasellarlo… «io penso che ogni artista oggi sia un movimento a se stante» risponde Wb su correnti o movimenti nei quali “collocarsi”.
In questo libretto Fiorella Iacono recupera una lunga intervista – inedita nella versione integrale – che fece a Burroughs, il 24 maggio 1989, quando venne a Roma per una sua mostra, la prima in Italia. Sappiamo così di Bryon Gisin, «amico fraterno e maestro» di Wb; dell’idea che «pittura e scrittura fossero originariamehnte una sola cosa»; dei legami fra la tecnica del «cut up» e Tristan Tzara; delle armi da fuoco per dipingere. «Il fucile prende il posto della penna e delle forbici» scrive Fiorella Iacono: «lo sparo del proiettile penetra attraverso il foglio di compensato creando diversi effetti così come il pennello del pittore spande il colore sulla tela». Fors’ anche perché «il vecchio scrittore non poteva più scrivere perché era arrivato alla fine delle parole, alla fine di quello che può essere fatto con le parole»; ed è lo stesso Wb a scriverlo alla fine del suo romanzo «Terre occidentali».
Quando Wb arriva a Roma, nel 1989, sono soltanto due anni che sperimenta la “pittura”. Fiorella Iacono lo intervista sulle sue tecniche («ho usato il colpo di fucile che colpisce la bomboletta spray da 200 piedi di distanza»), sulle motivazioni politiche («non credo molto nella politica» ripete più volte), sul linguaggio come «un virus venuto dallo spazio», sull’Aids (che Wb immagina creato in laboratorio: «sembra piuttosto strano che sia venuto fuori dal nulla»), sulla fantascienza e il cyber punk.
Un libretto interessantissimo.
Mi restano due dubbi.
Il primo è di poco conto: non capisco bene se Wb (e/o Fiorella Iacono) consideri il «cyber punk» come si è storicamente manifestato – dunque dagli anni ’80 – o se ne vedano “anticipazioni” un po’ ovunque.
Il secondo dubbio è pesante e riguarda una pagina oscura (e poco conosciuta) della vita di Wb. Nel 1951 mentre era in Messico lo scrittore – a quanto lui disse o fece capire “nel tentativo di replicare l’impresa di Guglielmo Tell ma con una pistola dell’arco – uccise la sua seconda moglie, Joan Vollmer. A quel che so Wb non venne neppure processato. Quel sottotitolo del volume «L’arte dello sparo» mi ha agghiacciato e, in un’auspicabile ristampa del volume, suggerisco all’autrice di cambiarlo.