Un libro sfuggito agli assassini
A cent‘anni dal genocidio degli armeni in Turchia: un percorso di informazione e riflessione, undicesimo post (*)
di Alexik
Quando si vuole compiere un genocidio non basta annientare una popolazione. Bisogna annientarne la cultura, perché il ricordo non torni a germogliare. Per questo i Giovani Turchi non risparmiarono l’intellettualità armena.
La notte della “domenica rossa”, il 24 aprile 1915, vennero arrestati più di duecento (qui l’elenco) fra scrittori, medici, giornalisti, scienziati, insegnanti, religiosi, commercianti, musicisti, poeti, appartenenti alla comunità armena. Fu la prima ondata di arresti fra gli intellettuali, poi ne seguirono altri, più di duemila.
Fra i sequestrati della domenica rossa, ricordiamo il poeta Daniel Varujan, deportato a Çankırı e ucciso a colpi di pugnale il 28 agosto 1915, a 31 anni. Stava finendo di comporre la sua opera, “Il canto del pane”, e quando fu ucciso la teneva in tasca. Il libro venne ritenuto perduto per qualche anno, finché alcuni amici superstiti decisero di ingaggiare un agente segreto per cercarlo. Fu ritrovato fra l’enorme quantitativo di beni sequestrati agli armeni, e in questo modo giunsero fino a noi poesie piene di vita, traboccanti di sole.
Cogli, sorella, questi papaveri nel recinto –
sanguinanti come cuori innamorati.
Nelle loro coppe di cristallo
berremo l’onda del sole.
Tanto divampano di fiamme
che il loro incendio brucia i campi sterminati.
Nelle loro coppe di fuoco
berremo le scintille delle stelle.
Cogli, sorella, come la quaglia nascosta
tra i grani che dolcemente vezzeggiano.
Nelle loro coppe scarlatte
berremo il sangue dei solchi.
Chini sui nidi delle allodole
fluttuano come grappoli di raggi rossi.
Nelle loro coppe rubino
berremo la promessa della Primavera.
Cogli, sorella, non i papaveri, ma la fiamma;
avvogli del loro incendio il tuo grembiule verginale.
Nelle loro coppe delicate
berremo i fuochi di giugno.
Fiori sbocciati come le tue tenere labbra,
conversano con il grano vibrante.
Nelle loro coppe purpuree
berremo il mistero delle spighe.
Coglili, sorella, perché di essi c’incoroneremo
per la gioiosa festa di domani, al villaggio.
E in queste coppe, danzando,
berremo il vino dell’amore.
Questa sera veniamo da voi, cantando un canto,
per il sentiero della luna,
o villaggi, villaggi;
nei vostri cortili
lasciate che ogni mastino si svegli,
e che le fonti di nuovo
nei secchi irrompano a ridere –
Per le vostre feste dai campi, vagliando
vi abbiamo portato con canti la rosa.
Questa sera veniamo da voi, cantando l’amore,
per il sentiero della montagna,
o capanne, capanne;
di fronte alle corna del bue
lasciate che infine si aprano le vostre porte,
che il forno fumi, che si incoronino
di un fumo azzurro i tetti –
Ecco a voi le spose con i nuovi germogli
hanno portato il latte con le brocche.
Questa sera veniamo da voi, cantando la speranza,
per il sentiero del campo,
o fienili, fienili;
tra le vostre buie pareti
lasciate che risplenda il nuovo sole,
sui tetti verdeggianti
lasciate che la luna setacci la farina –
Ecco vi abbiamo portato il fieno raccolto in covoni
la paglia con il dolce timo.
Questa sera veniamo da voi, cantando il pane,
per il sentiero dell’aia,
o granai, granai;
nell’oscurità del vostro seno immenso
lasciate che sorga il raggio della gioia;
la ragnatela sopra di voi
lasciate che sia come un velo d’argento;
poiché carri, file di carri vi hanno portato
il grano in mille sacchi.
Da Daniel Varujan, Il Canto del pane, a cura di A. Arslan, Guerini e Associati editore.
(*) Dal 17 aprile ogni giorno (di solito alle 16) troverete uno o più post sulla storia armena, sul genocidio del 1914, sulla diaspora, sui nodi storici che pesano oggi. E’ il contributo della nostra piccola redazione per far sì che il ricordo non duri un giorno o una settimana… come spesso accade nelle commemorazioni ufficiali. Abbiamo disegnato, attraverso una dozzina di post, un affresco che pensiamo utile. Se qualcuna/o vuole aiutarci ad allargarlo, a proseguirlo… benissimo, si faccia sentire. (db per la redazione)