Un “mercatino” a Imola: chi ha bisogno di cosa?
Daniele Barbieri gira fra le cose invecchiate (raccolte dai Cappuccini) e si finge Marc Augè (*)
Bramate quel vecchio libro? Forse lo trovate ma in mezzo a un minimo di polvere e con un massimo di sudore. Avete urgenza di: 1) certi ricambi sanitari; 2) un cestino per bicicletta, del tipo difficile da rubare; 3) quella padella un po’ particolare che nuova costa uno strafottio… Chi abita a Imola, se si affretta, ha ottime probabilità di trovare i suddetti 1, 2 e 3 in via Villa Clelia 10 al «Mercatino dei frati Cappuccini», ogni pomeriggio feriale e con orari dilatati sabato 26 agosto e sabato 2 settembre. I prezzi sono “stracciati” , a volte ridicoli, per chi abbia qualche soldo in tasca. Per chi è nelle fasce sociali povere (ne avete sentito parlare?) con qualche sacrificio forse esce anche il lusso di una bambola usaticcia o di un pallone quasi nuovo.
Questo articolino non è uno spot; semplicemente ho fatto – come ogni anno, neanche il Covid arginò il Mercatino – un salto a vedere lo scrigno di villa Clelia. E a un certo punto mi sono preso abusivamente una sedia e con la scusa dell’età sono rimasto all’ombra per vedere chi passava. E cosa comprava.
Vi consiglio di fare altrettanto, semprechè siate parte di quelle scimmie curiose che scesero (Darwin sostiene, forse i Cappuccini la vedono un po’ diversamente) dagli alberi per dare un’occhiata. Non vincerete un “gadget” e tantomeno vi intervisterà la Rai-Fininvest. Però farete una prima esercitazione con una nuova/vecchia arma quasi invincibile: lo sguardo che ridefinisce i contorni del mondo, cercando ciò che i nostri “opinion leader” preferiscono rendere invisibile.
Nei contorni del mondo ci sono appunto le persone povere: chiaramente straniere alcune, certamente native italiane altre con una percentuale altina (quanto alta non saprei) di meticciato. Sì, il nostro è un mondo sempre più bastardo. In senso buono anche.
Cosa cercano (e spesso trovano) al Mercatino dei Cappuccini le persone povere da sempre? O quelle tante invece impoverite dalle crisi del nuovo, luccicante capitalismo finanziario? Guardatelo con i vostri occhi; se ve lo “dettaglio” forse non mi credereste. Magari qualcuna delle persone che adesso sta leggendo ha un’idea: dipende chi è, chi frequenta, dal conto in banca, dall’essere stato a scuola (o a skuola), dall’abitudine a non riflettere perchè Mulino Bianco risolve le cosette quotidiane mentre per “le strategie” c’è sempre un governo italiano o internazionale che sa cosa è meglio per noi povere amebe.
Se però il cittadino X o la fanciulla Y posasse il culo sulla sedia nel cortile dei Cappuccini e guardasse con calma passare quest’altra umanità si stupirebbe di svere pensieri strani: per esempio che esistono bisogni primari e altri artificiali ma che nel vivere quotidiano viene incoraggiata la confusione. La scuola potrebbe essere d’aiuto e per questo ai tempi delle «passioni tristi» e delle «servitù volontarie» funziona così male: salvo rare eccezioni il “corpo insegnante” è incoraggiato a farsi i cazzacci propri, senza faticare con i peticellosi vocianti che affollano le classi. Se facessero il contrario – ovvero aiutassero bimbe/i, ragazze/i a guardare il mondo, a cercare un’autonomia di pensiero – quei “corpi insegnanti” troverebbero un’anima (qui i Cappuccini sorriderebbero forse e mi sentirebbero compagno di spiritualità): non necessariamente nella scuola “possibile” si incroceranno i libri di Marc Augè, di Agnes Heller o di Vandana Shiva ma almeno qualcosa di Italo Calvino sì. O magari la Costituzione antifascista.
PS – Obietto a una possibile criticuccia: in un pomeriggio di agosto stare seduti, seppure all’ombra, fa venire sete. Sì, perciò se non avete la borraccia allargate quel nuovo sguardo: in un angolo c’è una bancarella di «Giusto scambio», la piccola bottega imolese del commercio equo. Non sapete cosa sia ‘sto commercio equo? Lo sospettavo: avete presente il Mulino Bianco, no? Provate a pensare tutto il contrario però lasciate una bella musica in sottofondo, può aiutare.
(*) queste riflessioni vaganti sono state ospitate da “Leggi la notizia” – https://www.leggilanotizia.it/
Marc Augé è morto in luglio. Letto da poche persone (al solito) ma citato (spesso a sproposito dal giornalismo pigro) ogni tanto, in Italia è noto per il neologismo «nonluogo», utilizzato a indicare gli spazi senza identità, storia e relazioni. A mio parere sono moooooolto interessanti le sue riflessioni da “etnologo” che viaggia in metrò e quelle sulla fine del futuro, che chissà se dobbiamo scriverlo con le virgolette o senza.
Non ricordo il nome (del resto a ragioneria – tuttora ? -non si insegna filosofia) ma mi pare che un noto filosofo greco, passeggiando per il mercato di Atene, abbia commentato: « quante cose su vendono che a me non servono”