Un muro oltre le tenebre…
… ovvero: Vita rivoluzionaria e pensiero mitologico di Ursula Kroeber LeGuin
di Fabrizio (“Astrofilosofo”) Melodia
«C’era un muro. (…) Come ogni altro muro, anch’esso era ambiguo, bifronte. Quel che stava al suo interno e quel che stava al suo esterno dipendevano dal lato da cui lo si osservava» («I reietti dell’altro pianeta», 1974).
Un muro oltre le tenebre da rischiarare e da scalare.
Tutta la vicenda letteraria e umana di Ursula Kroeber LeGuin, classe 1929, permane completamente in questa poetica e filosofica partecipazione alla vicenda umana, in tutti i suoi aspetti.
Aveva già il destino segnato fin dall’infanzia, l’indomita Ursula.
Figlia di un antropologo e di una scrittrice, nasce attorniata da miti e letteratura, suo padre aveva persino scritto uno studio riguardo all’unico superstite di un’etnia, ormai appunto estinta, materiale che molto probabilmente andò ad alimentare la materia dei suoi libri.
Ursula LeGuin s’innamorò precocemente della fantascienza, scrivendo a nove anni il suo primo racconto che tentò di piazzare ma fu puntualmente respinto.
Non si perse d’animo, proprio no.
Da viva battagliera affinò le armi, sempre seguendo la sua natura mitologica e immaginifica, sempre immersa nella mitologia della tecnica, cui lei sentiva di appartenere. Amava essere libera, non aveva alcuna intenzione di relegare la sua libertà a nessuno.
Intendeva esplorare tutto, andare laddove nessuno era mai giunto prima.
Si laureò alla Columbia University in storia della letteratura francese e del risorgimento italiano alla fine degli anni quaranta, trasferendosi poi a Parigi, dove conobbe l’uomo che sarebbe diventato suo marito nel 1953, il signor Charles LeGuin.
Il suo primo racconto pubblicato fu un fantasy, «Aprile a Parigi» (1962), ma arriverà alla notorietà solo nel 1969 con il romanzo di fantascienza «La mano sinistra delle tenebre» vincendo nello stesso periodo il premio Hugo e il premio Nebula.
Il medesimo destino spetterà anche nel 1974 all’altro romanzo appartenente al “Ciclo dell’Ecumene” ovvero «I reietti dell’altro pianeta».
La fantascienza di Ursula LeGuin è molto particolare, percorsa continuamente da motivi conduttori, quali il pacifismo, la denuncia sociale e la caduta del linguaggio e della comunicazione.
«La luce è la mano sinistra delle tenebre,
E le tenebre la mano destra della luce.
Due sono uno, vita e morte,
e giacciono, insieme come amanti in Kemmer,
Come mani giunte, come la meta e la via».
Splendida poesia (in «La mano sinistra delle tenebre») dove si accenna alla popolazione autoctona del pianeta Gethen, la quale è essenzialmente neutra dal punto di vista sessuale. Ogni 26 anni, i getheniani attraversano una fase chiamata Kemmer, in cui diventano maschi o femmine attraverso uno scambio di feromoni con il partner. Entrambi hanno quindi la facoltà di rimanere gravidi. Tutto questo viene scoperto progressivamente dall’inviato Genly Ai, mandato dalla Federazione per stipulare un’alleanza con i misteriosi Gethen.
Gli abitanti, invece che pensare ai vantaggi di venire in contatto con altri popoli, pensano solo a sfruttare Genly Ai per il proprio tornaconto personale, mentre l’Inviato vivrà una strana e formativa esperienza con un getheniano.
Ne «I reietti dell’altro pianeta» assistiamo invece alla presenza di due pianeti gemelli, Urras e Anarres, i quali vivono esistenze separate. Urras è organizzato secondo un sistema capitalistico e tecnologicamente avanzata mentre Anarres è stato fondato da un’etnia di anarchici, i quali hanno abolito la proprietà privata, sostituendola con un collettivismo spontaneo e hanno creato un linguaggio comune, il pravico, per abbattere qualsiasi muro di differenza e incomprensione.
Riunire i due pianeti sarà lo scopo della vita del protagonista Shevek, uno scienziato nativo di Anarres, il quale diventerà un leader politico scomodo e un reietto nel tentativo di superare le differenze e le incomprensioni fra i due popoli.
I temi fondamentali di Ursula LeGuin sono rappresentati da concetti forti: più che articolare la spiegazione, la mostrano in tutta lo loro forza con immagini vivide e tangibili.
I mondi utopici dipinti dalla LeGuin sono quantodi più eloquente per affrontare le tematiche della diversità e della necessità di superarla, andando oltre alle rispettive identità, sia culturali ma soprattutto linguistiche.
Si pone l’accento sulle differenze che sempre rappresentate secondo una diade precisa – maschi/femmine, giorno/notte, magia/tecnica – debbono comunque esistere e coesistere allo stesso tempo e sotto il medesimo rispetto, mantenendo una necessaria contraddizione che non potrebbe mai venire risolta con la soppressione di uno dei due elementi.
Genly Ai dirà senza mezzi termini: «Farò il mio rapporto come se narrassi una storia, perché mi è stato insegnato, sul mio mondo natale, quand’ero bambino, che la Verità è una questione d’immaginazione» (incipit di «La mano sinistra delle tenebre»).
Aristotele non può quindi essere rispettato: «E’ impossibile che una cosa sia o non sia, allo stesso tempo e sotto il medesimo rispetto» («Metafisica», libro IV).
La Verità come discrimine tra Vero e Falso, Possibile/Vero, Giusto/Sbagliato, viene messa in cantina, sostituita da una ragione poetico-filosofica decisamente aliena.
La Verità non costituisce più il vertice della piramide e nemmeno il fulcro della circonferenza, essa è una questione d’immagine, i concetti espressi dalla LeGuin vanno oltre la parola articolata, alla ricerca di un linguaggio immagine che trascenda tradizioni e differenze.
«Le possibilità di tutte le similitudini, di tutta la figuratività del nostro mondo d’espressione, risiede nella logica della raffigurazione. […] La proposizione può rappresentare la realtà tutta, ma non può rappresentare ciò che, con la realtà, essa deve aver comune per poterla rappresentare – la forma logica. Per poter rappresentare la forma logica dovremmo poter situare noi stessi con la proposizione fuori della logica, vale a dire, fuori del mondo» (Ludwig Wittgenstein, «Tractatus logico-philosophicus» 4.015, 4.12, pagg. 26-27).
Ecco dunque in atto ciò che si deve attivare: un cambiamento del mondo al di fuori di esso, permesso dalla libertà dell’immaginazione che persegue la ricerca della pace universale e della comprensione delle differenze pur nella necessità di una unita e pacifica convivenza.
Le differenze di genere non pervengono dalla logica ma solo dalla volontà umana, che attribuisce valore a tradizioni che non sono necessitanti, ma determinate da imperfezioni e incomprensioni logiche e soprattutto chiuse in questo mondo di rimandi imperfetti.
Ecco dunque la necessità di un linguaggio comune per abbattere le differenze, un linguaggio nato da tutti, affiancato a tutti e non esterno al sussistere dei fatti.
Anche il collettivismo spontaneo, secondo Shavek, porta comunque a una fase di assurda stasi, se esso non entra in connessione attiva con l’altro pianeta, in un dialogo che cresce insieme all’altro.
E’ solo nel confronto che si superano questi ostacoli, solo nell’aperta sintesi volontaria – tutt’altro che semplice – possono avvenire questi scambi.
Purtroppo accade troppe volte il contrario. Chiuso in un sistema che fonda essenzialmente la propria ragione d’essere su fraintendimenti di natura e di logica, l’essere vivente, in quanto definito, vive nella piena convinzione di portare l’acqua alle proprie argomentazioni, mentre in realtà compie un atto di terribile violenza.
La Verità non è dicibile e affermabile, essa trascende il dire, il postulare, l’argomentare, per ritornare al di sotto dei nomi, che in realtà non designano la cosa, ma solo un processo.
«[…] Se il volere buono o cattivo àltera il mondo, esso può alterare solo i limiti del mondo, non i fatti, non ciò che può essere espresso dal linguaggio. In breve, il mondo allora deve perciò divenire un altro mondo. Esso deve, per così dire, decrescere o crescere in toto. Il mondo del felice è un altro che quello dell’infelice» (Ludwig Wittgenstein, «Tractatus logico-philosophicus»: 6.43, pag 80).
La ricerca di Ursula LeGuin risiede tutta in queste considerazioni di ordine linguistico, i nomi rivestono in questo modo una forza esponenziale enorme, con i nomi si può ripensare il linguaggio, essi portano nuovi semi al prato della discussione.
Il fertilizzante è l’immaginazione.
«Mi ci vollero degli anni per rendermi conto d’aver scelto di lavorare in generi disprezzati e marginali come la fantascienza, la fantasy e la narrativa per adolescenti, esattamente perché essi erano esclusi dal controllo della critica, dell’accademia, della tradizione letteraria, e consentivano all’artista di essere libero» (da «The Fisherwoman’s Daughter» citato in Oriana Palusci, «Da mondo all’altro: Ursula LeGuin e la storia delle donne», introduzione a «Il giorno del perdono»).
Anelito di libertà.
Nessun’altra ha saputo dare una maggiore attenzione alle idee e alla lotta come ha fatto la sua scrittura rara e preziosa, arricchita da una fantasia sfrenata e da una analisi dell’animo umano senza precedenti nell’ambito della fantascienza e della letteratura ufficiale.
La voce di Ursula Kroeber LeGuin suona alta sopra ogni altro scrittore di fantascienza, vola come un falco pellegrino oltre le briglie accademiche, lo snobismo della scrittura “alta”, per sentirsi libera di rivoluzionare il modo di narrare, per indagare dove altri non erano mai arrivati.
«Scopo della filosofia è la chiarificazione logica dei pensieri. La filosofia è non una dottrina, ma un’attività. Un’opera filosofica consta essenzialmente d’illustrazioni. Risultato della filosofia non sono “proposizioni filosofiche” ma il chiarirsi di proposizioni. La filosofia deve chiarire e delimitare nettamente i pensieri che altrimenti, direi, sarebbero torbidi e indistinti» (Ludwig Wittgenstein, «Tractatus logico philosophicus»: p. 4.112).
Sulle orme di un anti-accademico e anti-intellettuale come Wittgenstein, il quale esortava spesso con l’esempio pratico i suoi studenti a evitare di diventare accademici, così Ursula LeGuin sprona incessantemente i suoi instancabili compagni d’avventura a seguirla nell’attività dell’immaginazione, nella scoperta della Verità. Essa risiede nell’andare oltre all’effettivamente detto, poiché il mostrato dice più del parlato. Un linguaggio segnico nuovo, fatto di metafore e miti. Una scala che possa portarci oltre il muro, fuori dalle tenebre.
BREVE NOTA SU QUESTA SERIE
Il primo fu Asimov, poi Moebius, ora Ursula Le Guin, l’arzilla vecchietta che io amo anche se non scrive più fantascienza. Per qualche martedì (io spero per centinaia di martedì) Fabrizio Melodia detto “Astrofilosofo” disegnerà i profili di autori e autrici che hanno allargato il nostro sguardo sugli spazi e sugli altroquando interni, esterni, possibili e impossibili, insomma sulle fantascienze. Fra 7 giorni dunque si continua con… sinceramente non so: fra i papabili (Melodia dixit) Lester Del Rey, John Brunner, David G. Compton, William Gibson, Frederic Brown, Walter Miller Jr, Harlan Ellison… Se non conoscete “zia Ursula” e se, dopo aver letto questo post, volete approfondire vi ricordo che altre volte – ma sempre troppo poco – su codesto blog si è parlato di lei, in particolare vi segnalo Ursula Le Guin… di Clelia Farris. Ma io credo che la scelta migliore sia correre in libreria e prendere i suoi testi: se non ricordo male sia «La mano sinistra delle tenebre» che «I reietti dell’altro pianeta» (gira anche con i titoli «Un’ambigua utopia» e «Quelli di Anarres») si trovano anche in super-economica. E poi ci sono le biblioteche, no? (db)
Bellissimo. Posso “integrare” con un mio modesto http://letturefantascienzaedintorni.blogspot.it/2010/04/locchio-dellairone.html ?