«Un Paese normale» o il malato d’Europa?
recensione di Gian Marco Martignoni
«Italy Today. The Sick Man of Europe», pubblicato da Routledge (Londra e New York) nel febbraio del 2010 ha avuto un successo e una diffusione davvero notevole , in quanto il nostro Paese, considerato letteralmente “il malato d’Europa”, è costantemente sotto osservazione a livello internazionale, mediante approfondimenti tutt’altro che superficiali.
Ora, grazie alla lungimiranza di Dalai editore, questa raccolta di «Saggi sull’Italia contemporanea» è a disposizione di quanti intendano confrontarsi con una ricerca di carattere multidisciplinare di alto livello: curata da Andrea Mammone, Nicola Tranfaglia e Giuseppe A. Veltri, ha per titolo l’eloquente «Un Paese normale» (pagine 477 per 19,50 euro).
La struttura del volume è composta da oltre 20 saggi scritti sia da studiosi stranieri che da italiani cattedratici e ricercatori all’estero, suddivisi (al di là di quelli che caratterizzano l’ introduzione e le puntuali riflessioni finali) nelle seguenti tematiche: politica e vita democratica, memorie, esclusione, economia e Sud.
L’ipotesi di lavoro della ricerca è un’articolata ricognizione delle ragioni, o meglio delle cause endogene passate e recenti, che hanno prodotto la deriva del nostro Paese, con l’intento di individuare le possibili forze e i percorsi per arrestarne il costante declino.
Un moto di indignazione percorre le pagine del libro, a partire dalla coscienza di quel nuovo «medioevo culturale» in cui siamo piombati (Enzo Limardi), per cui la falsità diventa tranquillamente verità e la raccomandazione prevale sul merito, essendo quest’ultimo un affare riservato a quei cervelli costretti dal fenomeno dell’emigrazione a trovare altri lidi per la loro vocazione intellettuale.
Al contempo, bisogna comprendere che il berlusconismo è indissolubilmente legato al nostro passato, perché se sostanzialmente la sua ascesa e la sua egemonia sono state favorite dalla «distorsione della realtà» a livello informativo (Chris Hanretty) è necessario considerare le peculiari caratteristiche del capitalismo parassitario-famigliare italiano.
Purtroppo il modello produttivo fondato sul mito del “piccolo è bello” mostra tutti i suoi limiti a fronte dell’internazionalizzazione dei mercati, poiché le imprese rimangono sottodimensionate e non riescono ad entrare nei settori più qualificati della divisione internazionale del lavoro (Raoul Minetti) oltre a manifestare le inevitabili difficoltà legate alla trasmissione intergenerazionale.
Inoltre, l’ingombrante presenza delle mafie su tutto il territorio nazionale, in connubio con l’ascesa di una certa borghesia “mafiosa”, comporta una sistematica «appropriazione privata delle risorse pubbliche» (Ercole Giap Parini), un assoggettamento costante della politica “affarista” e un progressivo degrado della vita pubblica, trasformando in alcune regioni i cittadini in sudditi (Felia e Percy Allum).
Altresì, con la fine dei partiti di massa abbiamo assistito alla loro trasformazione in macchine personali, con un progressivo scadimento della qualità del ceto politico e il mancato ricambio generazionale, in parallelo alla crescita dei comportamenti cinici e di una certa disillusione (Carlo Carboni).
Il ritorno di un razzismo “istituzionalizzato”, grazie alle misure architettate contro gli stranieri e i rom da una formazione eversiva e razzista qual è la Lega Nord , è la spia di una pericolosa deviazione del senso comune di massa (Martina Avanza).
L’ imbarbarimento del senso comune chiama in causa le responsabilità della sinistra sia moderata che radicale, in quanto è emersa una palese inconsistenza politico-culturale dell’opposizione e il conseguente deterioramento degli equilibri democratici. Al punto – come giustamente sottolinea Nicola Tranfaglia – che il progetto autoritario di Berlusconi è riuscito, come negli intenti del Piano di rinascita democratica della P2 di Licio Gelli, a «dividere stabilmente i sindacati dei lavoratori» e a «minacciare e intimidire la magistratura»; mentre, se non fosse stato per la bocciatura della controriforma costituzionale nel referendum confermativo del 2006, la Carta democratica del 1948 sarebbe stata stravolta.
Ciò non toglie che la sinistra mai è stata così debole e senz’anima, poiché purtroppo la transizione avviata con la fine del Pci si è rivelata fallimentare, generando solo formazioni politiche a impronta liberal-democratica, che però hanno palesato, come evidenzia Mammone sintetizzando un disappunto corale, una «grave subordinazione intellettuale e politica ad una economia ultra- liberista».
Il che spiega perché il nostro Paese si trova oggi governato o commissariato da Monti, Passera, Fornero e company, in assenza di una conflittualità sociale all’altezza dello scontro in atto fra capitale e lavoro, testimoniato dall’autoritarismo di Marchionne alla Fiat e da una controriforma del sistema pensionistico da lacrime e sangue.