Un thriller futuriale

recensione di Gian Filippo Pizzo a «Dark City» di Vittorio Vandelli  

In poche parole lo potremmo definire un thriller futuristico, o meglio una spy-story futuristica (Inisero Cremaschi aveva coniato l’aggettivo “futuriale” per non creare confusione con il Futurismo, ed è un peccato che il neologismo non abbia preso piede). Dick, il protagonista – italiano nonostante il nome – è una specie di investigatore che si diletta anche a scrivere romanzando le sue avventure, ma non crede che quest’ultima potrà raccontarla… Siamo in un futuro non troppo distante dal nostro presente e la geopolitica ha visto consolidarsi due blocchi contrapposti, da una parte il mondo occidentale, l’Euroamerica, che parla una lingua unica detta High-Tech-English (anche se sopravvivono i vecchi linguaggi), dall’altra gli Emirati Islamici Orientali Uniti, decisamente fondamentalisti. Da Emiliopolis, megalopoli che ha conglobato in un’unica unità Bologna e le altre città emiliane e romagnole del nostro tempo, il nostro eroe deve girare mezzo mondo – da Londra alle Americhe a Malta – per impedire una grave minaccia terroristica. Dopo alterne vicende, l’incontro con strani personaggi e con organizzazioni segrete, la morte di un collaboratore e insomma i consueti colpi di scena di questo tipo di storie (incluso l’inevitabile incontro sessualmente soddisfacente, come Ian Fleming ha insegnato) la conclusione sarà quella che il lettore si aspetta, anche se ci si arriva in maniera inconsueta. L’autore di questo «Dark City» (Solfanelli, 324 pagine, € 20) Vittorio Vandelli è al suo esordio nel campo della fantascienza ma ha al suo attivo un romanzo noir e una serie di libri satirici sul mondo dell’istruzione, che conosce benissimo essendo un docente. Profondo conoscitore della cultura angloamericana, in particolare della musica e del cinema, ha voluto inserire nel romanzo una serie di suggestioni, di citazioni, di considerazioni (anche politiche) sul nostro tempo e sul possibile futuro, che purtroppo finiscono con l’appesantire la vicenda senza peraltro dargli – come era probabilmente nelle intenzioni – una dimensione più impegnata. Se aggiungiamo personaggi stereotipi e senza spessore e dialoghi spesso banali, la conclusione è che il romanzo non è perfettamente riuscito, pur non essendo privo di interesse.

 

 

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