Un vecchio grande Leiber in edicola…

aspettando «Www-3»  

«Sempre conservare le apparenze.

Sempre fare qualcosa.

Sempre esser primo o ultimo.

Sempre da solo o in strada.

Sempre avere una via di fuga.

Evita: i negozi vuoti, i cinema e i ristoranti affollati, le code.

Posti sicuri: biblioteche, musei, chiese, bar.

Mai esitare o sei perduto.

Mai fare niente di strano: non verrebbe notato.

Mai spostare le cose: crea spazi vuoti.

Mai toccare qualcuno: PERICOLO! MACCHINARI!

Mai scappare di corsa: loro sono più veloci.

Mai guardare uno sconosciuto: potrebbe essere uno di loro.

Questi sono i segni: disprezzo, vigilanza, bluff, potere ostentato, crudeltà; loro usano la gente; sono incubi, succubi. Nessuno li nota mai veramente: così non farlo neppure tu.

Alcuni animali sono davvero vivi».  

Per un attimo immagina di essere Carr Mackay, il protagonista di «Scacco al tempo» (di Fritz Leiber: è in edicola ad agosto con Urania Collezione) e di aver trovato questi appunti. Quasi sicuramente penserai come lui: «Se mai c’era stato qualcosa che più aveva del manuale per paranoici»; con sottinteso «è questo». Ma chi legge farebbe bene, come Carr, a chiudere la frase con un «Eppure» e a lasciarsi un dubbio. Siamo in una storia di fantascienza difficilmente inquadrabile in un sottogenere: forse filosofico, surreale o psichiatrico. Ha qualcosa del miglior Galouye, di Sturgeon, del romanzo «L’occhio del purgatorio» (di Spitz), dell’inizio di «Il vagabondo delle stelle» (un Jack London da riscoprire), di certo Philip Dick…

Ricordo che quando, nel febbraio 1986, con Riccardo Mancini scrivemmo su «il manifesto» la recensione alla nuova versione di «Scacco al tempo» – la trovate qui sotto – ci scornammo su un dilemma irrisolvibile: era relativamente poco lo spazio visto che entrare nei meandri della trama sarebbe stato bello o invece bisognava tacere il più possibile per lasciare a chi legge il piacere di incasinarsi il cervello senza preliminare segnaletica?

In ogni caso resta un romanzo particolarmente consigliato a chi diffida degli «eccessi di realtà»; a chi si stupisce se un maschietto d’altri tempi mostra di sapere cosa sia la clitoride; a chi ha sempre avuto in cuor suo la certezza che Chicago sia «una metropoli senza cervello»; ai sedicenti esperti di solipsismo; a quelle/i che avrebbero voluto leggere la versione “oscena” di Pinocchio; a chi nei cortei gridava alla gente perbene il riassunto della (loro) vita condensato nel famoso «consuma, lavora e crepa».

Prima di passare alla vecchia recensione di Erremme Dibbì… mi rrraccomando (tre r): segnatevi in agenda che ad agosto sarà in edicola «Www-3» di Robert Sawyer: se pure siete in vacanza (beata/o chi può) e persino codesto blog si riposa un poco, voi chiedete domattina all’edicolante di mettervelo da parte. Naturalmente potrei sbagliare ma ho il “sospetto” che sarà all’altezza dei due precedenti, già stra-lodati qui in blog.

 

Sotto il titolo «Jane si spoglia, cioè si corazza» questa è la recensione (pubblicata il 7 febbraio 1986) su «il manifesto».

«Da quando Fruttero & Lucentini hanno lasciato la direzione di Urania a Gianni Montanari la più antica pubblicazione italiana di fantascienza sembra tornare ai tempi d’oro. Basta con abusate ristampe o novità scadenti: ogni 15 giorni in edicola c’è un buon prodotto (con punte sull’ottimo) accompagnato da schede e notizie utili; perfino i raccontini – quando c’è spazio – non sono un riempitivo ma hanno la decenza di avere una loro ragione d’essere. Probabilmente chi legge se n’è accorto perché sembra che ci sia una ripresa di vendite.

Anche questo Leiber – nella traduzione di Giampaolo Cossato e Sandro Sandrelli – pure non freschissimo (rielabora un romanzo del 1950, scritto anni prima con traversie di ogni tipo) conferma che la neo-Urania non vuole scendere sotto certi standard.

Scacco al tempo” indaga sul nostro quotidiano: cosa ci muove, che meccanismi regolano la nostra vita, c’è qualcos’altro dietro la maschera di tutti i giorni? Un libro di “atmosfera”, vagamente esistenzialista, qua e là un po’ diluito (colpa forse delle riscritture) ma che mantiene fascino e ritmo sino alla fine. E’ vivo l’ometto con la pelle scura che cita l’atto quinto, seconda scena dell’Amleto? Da che parte stanno gli animali e la strana ragazza che turbano Carr Mackay? I vuoti di memoria e gli sfasamenti temporali del protagonista sono connessi? La soluzione non è nel classico colpo di scena ma affiora a poco a poco fin dall’inizio: Carr (e con lui chi legge) deve prenderla, ritrovarla, metterla in dubbio, confermarla. Come quando Jane si esibisce in uno spogliarello e Carr si rende conto che, a volte, mostrarsi è l’unico vero modo per nascondersi.

A proposito di alcune scene “pornosoft” del libro torna utile la “postfazione dell’autore” che rivela come, negli anni ’50, si manipolassero i testi per erotizzarli, addolcirli o incattivirli a seconda del mercato e/o delle possibilità di abbindolare i censori.

Lo stile di “Scacco al tempo” rimane sempre variegato; si passa senza soluzione di continuità da ritmi mozzafiato a pagine riflessive, da lievi ironie (“La Corte Suprema ha appena dichiarato incostituzionali i serials televisivi”) a riflessioni tenere e un po’ indifese (“c’era un ritmo nella vita o quanto meno un contrappunto di timidezze opposte”), da pezzi di bravura (per descrivere “dal di dentro” ossa, muscoli, sorrisi) fino alle secche accuse per le perversioni del potere.

Nella sua lunga carriera Leiber ha alternato fantascienza, fantasy e un po’ di horror in romanzi e racconti sempre di buon livello, spesso infarciti di gatti e scacchi, sue grandi passioni. Al gradino dell’ottimo sono almeno in tre: “Novilunio”, l’antologia “Il meglio di Fritz Leiber” e “Il grande tempo”. Non consigliabile invece “Siamo tutti soli” perchè contiene tre racconti di cui il più lungo è una diversa elaborazione (i misteri degli autori pagati “un tanto a parola”?) proprio di questo romanzo».

Redazione
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