Una carovana mancata e un milite troppo ignoto

Il ricordo dei senegalesi caduti in Italia e in Europa contro il nazismo ma anche una triste storia (ritrovata da Eduardo Galeano) sul soldato «troppo nero» per essere onorato (*)   

A volte gli articoli e le inchieste nascono anche da non eventi: qualcuno atteso che, non venendo, lancia un messaggio oppure un appuntamento istituzionale volutamente disertato. Mi ero preparato a scrivere la cronaca di una carovana (poi “saltata” come si vedrà) di senegalesi che il 1 e 2 novembre doveva andare da Milano all’Isola d’Elba. Ne avevo avuto notizia da un comunicato del Cosv che vale riportare per intero.

 

«“A la gloire des coloniaux du 13ème Régiment Sénégalais qui sont tombés ici pour la Libération de la Patrie, le 17 juin 1944”. Così è scritto sull’epigrafe che ancora esiste sulla spiaggia di Marina di Campo, all’Isola d’Elba. E’ la storia, finora sconosciuta al grande pubblico di quanto accadde nella notte fra il 16 e il 17 giugno 1944 quando, dopo nove mesi di occupazione tedesca, l’alto comando alleato <http://cosv.mailupnet.it/f/tr.aspx/?:9Uj8h=xywtus2:9e.=xyq1lfb=&x=pv&hjg/rs:j6k&x=pv&b:f&7&x=pv&73ei0rn:a.pAbc86k:q08bc4qj88fb97o:l8hi4qdcd0:6c8NCLM> liberò l’isola. Una divisione di fanteria coloniale francese, sbarcata sulla spiaggia di Marina di Campo <http://cosv.mailupnet.it/f/tr.aspx/?:9Uj8h=xywtus2:9e.=xyq1lfb=&x=pv&hjg/rs:j6k&x=pv&b:f&7&x=pv&73ei0rn:a.pM6i:d7o9.oC6ddeNCLM> si impadronì della parte occidentale dell’isola. Erano 12.000 uomini e fra loro numerosi senegalesi, in prima linea durante lo sbarco. La spiaggia era minata e fu una carneficina. La storia è venuta alla luce grazie al libro «La Guerre de Boubacar» scritto da una giornalista italiana, Francesca Caminoli, che racconta come gli ultimi sopravvissuti – il sergente Flaubert e il soldato Boubacar – abbiano tramandato ai loro discendenti la vicenda di quel terribile sbarco, perché un giorno potessero ritrovarne il luogo e onorare la memoria degli eroici combattenti morti per la difesa della libertà. Per questo l’UNION DES SENEGALAIS DE L’EXTERIEUR ha deciso di organizzare una carovana che vuole, nel prossimo futuro, raggiungere tutti i Paesi d’Europa in cui si trovano cimiteri e monumenti dedicati ai combattenti africani. Durante le due guerre mondiali infatti l’armata coloniale aveva arruolato decine di migliaia di giovani provenienti dal Senegal, dal Mali, dalla Guinea, dal Benin, dalla Costa d’Avorio… dei quali più di 60.000 morirono sui campi di battaglia europei. L’obiettivo dell’iniziativa è duplice: da un lato attraverso la commemorazione dei combattenti africani morti in Europa durante le due guerre mondiali, onorare tutte le vittime dell’intolleranza e del razzismo. Dall’altro affermare che gli immigrati hanno il diritto di veder riconosciuto il loro contributo alla costruzione di un’Europa moderna, inclusiva e libera da pregiudizi. (Milano, 25 ottobre 2013)».
Mi preparavo a seguire la carovana quando un successivo comunicato mi ha informato che l’iniziativa era stata rimandata.

Peccato.

A questo punto la curiosità era cresciuta e sono andato a guardare il romanzo citato cioè «La guerra di Boubcar» (uscito nel 2011 da Jaca Book) di Francesca Caminoli, una giornalista che, fra l’altro, ha curato in Nicaragua un giornale con i ragazzi di strada del bellissimo progetto Los Quinchos.

Il romanzo storico della Caminoli si ispira a quell’episodio della seconda guerra mondiale con protagonisti migliaia di giovani senegalesi i quali all’alba del 17 giugno 1944 sulla spiaggia minata di Marina di Campo, all’Isola d’Elba, vennero sbarcati: non erano addestrati, ma per l’esercito francese erano soldati da prima linea, cioè carne da macello. Gli storici considerano quello dell’Elba uno degli sbarchi più sanguinosi della seconda guerra mondiale.

Nel libro si intrecciano tre personaggi: Boubacar, catapultato dalle capanne del suo villaggio a combattere; il nipote che porta il suo stesso nome, uno dei tanti “clandestini” per lavoro nell’Italia di oggi; Gustavine, la nipote del sergente Flaubert, un altro protagonista del disperato sbarco all’Isola d’Elba. Uno dei pregi di «La guerra di Boubacar» è nella provocazione di mescolare due sbarchi in apparenza diversi: i senegalesi che, forzati dai colonialisti francesi, vengono a combattere e contribuiscono a liberare l’Italia e l’Europa dal nazismo con i loro nipoti che arrivano oggi in un’Italia immemore e spesso ostile.

Così Boubacar 2 – il nipote – come il nonno rischia la vita per mare. Non arriva per combattere ma per lavorare però vuole conoscere la spiaggia di cui il nonno gli aveva parlato. Gustavine è una ragazza francese precaria che, in un momento di incertezza, decide di andare a quella spiaggia di cui le raccontava suo nonno, cioè il sergente Flaubert, superiore di Boubacar 1. Un romanzo originale: qui http://www.libreriadelsanto.it/libri/9788816502734/la-guerra-di-boubacar.html trovate altre notizie.

Queste vicende dei soldati senegalesi rimossi dalla storia (ho amici che abitano all’Elba e nulla sapevano della lapide e di quella sanguinosa battaglia) mi ha fatto scattare un altro ricordo e sono andato a recuperare una storia ritrovata da Eduardo Galeano e ora nel libro «Specchi, una storia quasi universale» (Sperling & Kupfer, 2008) con il titolo «Il milite ignoto». Non posso che cedergli la parola.

«La Francia perse un milione e mezzo di uomini nella prima guerra mondiale: quattrocentomila, quasi un terzo, furono morti senza nome. In omaggio a quei martiri anonimi, il governo decretò di dedicare una toma al Milite Ignoto. Si scelse a caso uno dei caduti nella battaglia di Verdun. Vedendo il cadavere, qualcuno si accorse che era un soldato nero, di un battaglione della colonia francese del Senegal. L’errore fu corretto in tempo. Un altro morto anonimo, ma di pelle bianca, fu sepolto sotto l’Arco di Trionfo, l’11 novembre 1920. Avvolto nella bandiera patria, ricevette discorsi e onori militari».

Sarà pur vero che la morte è «a livella», come dice una poesia di Totò, ma l’uso che i vivi fanno dei morti li rende diseguali. Per questo l’idea dell’Union des senegalais de l’Exterieur di organizzare una carovana nei luoghi dove i soldati africani caddero per liberare l’Europa è una sfida da accettare, da rilanciare. Tanto più che le celebrazioni della prima guerra mondiale sono già iniziate (in anticipo) e già sembrano grondare di retorica mista alle omissioni di sempre. Ricordare che nelle due guerre mondiali le truppe coloniali furono in prima linea anche in Europa è una verità ma anche una lezione per l’oggi: troppo comodo aprire e chiudere le frontiere del mondo a seconda delle contingenze, mentre si continua a negare memoria e cittadinanza persino a chi è morto combattendo negli eserciti europei.

(*) Riprendo questo mio articolo da «Corriere delle migrazioni» dove è uscito con qualche modifica anche grafica. (db)

 

Redazione
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  • Ricevo questo msg da Sb: mi sembra interessante e lo posto. (db)

    Sono perplesso su alcuni punti del post «Una carovana mancata e un milite troppo ignoto». La battaglia dell’Elba è una delle molte sanguinarie della seconda guerra mondiale ed è “normale” che a Milano o a Roma non la conoscono, ma ti assicuro che è nota a un buon numero di elbani nativi e acquisiti che sono meno disattenti e almeno leggono «il Tirreno» che ogni tanto ne parla… Ed è scritta in decine di libri e in centinaia di articoli comparsi su «Lo scoglio», su «Corriere dell’Elba» o su «L’Isola» quando usciva. Personalmente ho visto mostre e documentari in contesti pubblici. Scrivere che «amici all’Elba non ne sapevano nulla» è una cosa vera ma stupida; forse non sono elbani o fanno parte di una minoranza che non può essere massificata, non può diventare una verità. Tutti gli elbani che conosco sanno dello sbarco e nelle loro famiglie si tramandano la memoria di centinaia di violenze su donne, anziani e anche su qualche bimbo. E’ successo in tantissimi altri posti, lo abbiamo fatto noi italiani e lo fanno oggi molti eserciti … ma questo non significa che non sia avvenuto o che non esista nella memoria popolare: è sbagliato banalizzarlo o negarlo (non trovo alcun cenno nell’articolo, seppur posteriore al rinvio).
    Forse quella iniziativa è stata preparata male, combinando un interesse editoriale con una legittima iniziativa della comunità senegalese. L’articolo prosegue nella via dell’errore. Non ci sono alternative: tutti devono studiare questi argomenti e non limitarsi a leggere un romanzo che è una goccia nel mare. Certo potrebbero dire che sono cose che non li riguardano oppure che non è necessario processare la storia per commemorare le vittime. Ma una posizione la devono avere: di un qualsiasi tipo, anche rivendicando diritti e rispetto. Personalmente penso che dovrebbero invece affrontare la questione e studiare perché questa sorta di negazionismo, riduzionismo, minimalismo o far finta di niente non è corretto.
    Servirebbe uno scritto più elaborato e non una specie di “vulgata” rotolatami dal cervello in pochi minuti. La questione è seria e io non sono forse la persona adatta per affrontarla. Per altro il paradosso è che tutta questa storia riguarda quelli che certamente furono solo vittime, i soldati massacrati su una spiaggia e che non possono essere considerati responsabili di nulla di quel che accadde all’Elba nei giorni successivi.

    RINGRAZIO SB e sì, sono d’accordo che il tema va approfondito. In riferimento alle violenze che le truppe coloniali (e non) commettevano nelle zone di combattimento a me pare evidente che, come in tutte le guerre, esisteva un patto – ora esplicito e ora implicito – fra i comandi e le truppe “di prima linea”. Più o meno questo: voi andate all’assalto e poi noi chiudiamo un occhio su quel che farete (stupri e saccheggi inclusi). Logica di guerra dove “buoni” e “cattivi” sono indistinguibili. Una tristye verità che viene quasi sempre rimossa o rigettata su pochi capri espiatori. (db)

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