Una doppia «scor-data» sul 4 febbraio 1899

In Italia le leggi liberticide di Pelloux mentre nel Pacifico inizia la guerra filippino-americana

di Fabrizio Melodia (*) con una nota di db    

Nel 1896 il massacro di Adua provocò la caduta di Crispi. Il suo successore, il conservatore – e marchese – Antonio di Rudinì, si limitò a liquidare la politica coloniale, rinunziando all’Etiopia e contentandosi della piccola Eritrea; ma continuò la politica repressiva nei confronti dei movimenti anarchici e socialisti e delle agitazioni operaie. Come ben racconta «Il sole dell’avvenire», il recentissimo romanzo di Valerio Evangelisti.

Ad aggravare la situazione e inasprire tale politica fu la pesante congiuntura economica che l’Italia, non ancora uscita dagli strascichi della grande depressione, attraversava. Nel 1898, il cattivo raccolto e le conseguenze della “guerra doganale” con la Francia, causata dalla politica protezionistica di entrambe le nazioni, provocarono il rincaro del pane e di altri generi di prima necessità: tumulti e insurrezioni popolari non tardarono a divampare nella penisola spesso spontaneamente e altre volte influenzate da idee socialiste e anarchiche.

A Milano, dove più vasta si presentò l’insurrezione, i dimostranti furono affrontati a cannonate dalle truppe al comando del generale Bava-Beccaris (decorato in seguito per i “meriti” conseguiti nell’occasione).

I fatti di Milano suscitarono rabbia ovunque. Ma se radicali, democratici e, naturalmente, socialisti condannarono la repressione sanguinosa dei moti e la sommarietà dei processi istruiti dai tribunali militari, invece i moderati, reazionari e anche vaste fasce di ceto medio (preoccupate dall’esplosione della collera popolare) approvarono la repressione, auspicando una svolta reazionaria ancora più netta.

Da più parti si parlò di «tornare allo Statuto», quella sorta di Costituzione cioè concessa da Carlo Alberto, limitando gli sviluppi relativamente democratici assunti dalla vita istituzionale italiana ed estendendo “le prerogative” del sovrano. Contro «il parlamentarismo» si voleva la realizzazione di un governo forte, sostenuto dalla monarchia. Le pressioni dei padroni (detto in modo più educato: della classe dirigente) ma anche della corte e della regina Margherita indussero Umberto I a chiamare al governo un militare: il generale Luigi Girolamo Pelloux.

Costui corse subito ai ripari per togliere spazio alle manifestazioni popolari e ai rivoluzionari, lavorando nel contempo per destituire il regime parlamentare, rafforzando un regime di centralismo monarchico sul modello dello Stato prussiano, di cui egli era ammiratore visto che faceva parte di quella corrente reazionaria sotterranea che in Italia guardava appunto alla Prussia.

II 4 febbraio 1899 i ministri dell’Interno e di Grazia e Giustizia («dell’Inferno e di Disgrazia e Ingiustizia» scrivevano gli anarchici) presentarono alla Camera i famosi disegni di legge – detti «provvedimenti politici» – con cui si proponeva di militarizzare gli impiegati delle ferrovie, delle poste e dei telegrafi, di punire lo sciopero del personale addetto ai servizi pubblici, di istituire il domicilio coatto per i «delinquenti recidivi», di limitare il diritto di riunione e di associazione e di restringere la libertà di stampa, rendendo obbligatorio il deposito dello stampato prima della pubblicazione e rendendo responsabile l’autore accanto al gerente, comminando pene per la pubblicazione o riproduzione di notizie «tendenziose», insomma instaurando la censura e nei «reati» di stampa sostituendo i giudici ai giurati.
La commissione nominata per esaminare i provvedimenti, pur emendandoli, ne propose l’approvazione; nel Paese e nel Parlamento però i disegni di Pelloux incontrarono opposizione:Edoardo Scarfoglio disse che «si voleva fare un colpo di Stato»; Andrea Costa le chiamò «leggi di paura e di odio»; li combatterono aspramente Barzilai, Mirabelli, Bovio e tutti i deputati dell’estrema sinistra di allora. Eppure il 4 marzo – con 310 voti contro 93 – la Camera approvò il passaggio alla seconda lettura del disegno di legge che puniva lo sciopero degli addetti ai servizi pubblici e limitava i diritti di riunione, di associazione e di stampa.

Nonostante l’apparente sconfitta, la sinistra radicale allargò la sua influenza.

Dopo aspre lotte in Parlamento – anche contro la volontà colonialista di Pelloux che intendeva portare l’esercito italiano a una guerra coloniale in Cina (come la Germania, la Francia e l’Inghilterra) – e nella vita sociale, le elezioni del 1900 premiarono proprio le opposizioni di sinistra, obbligando il Umberto I a nominare un «governo di riconciliazione» presieduto da Giuseppe Saracco. Accade pochi giorni prima che il re fosse ucciso a Monza da Bresci che volle così vendicare la strage del «feroce monarchico Bava» (come all’epoca si scriveva e si cantava).

Dall’altro capo del mondo, nel Pacifico, proprio lo stesso giorno delle leggi liberticide di Pelloux iniziava la guerra filippino-americana (nota anche come insurrezione o guerra d’indipendenza filippina) combattuta poi fra il giugno 1899 e il luglio 1902 nel territorio delle attuali Filippine.

Il conflitto nacque dal desiderio irrealizzato della Prima repubblica filippina (con la «constitución de Malolos» del gennaio 1899) e del suo presidente, il generalissimo Emilio Aguinaldo, di vedere riconosciuta l’indipendenza dagli Stati Uniti d’America che si erano sostituiti alla precedente dominazione coloniale della Spagna al termine della guerra ispano-americana occupando militarmente le isole Filippine a seguito del Trattato di Parigi del 1898; in questo senso, la guerra fu una continuazione della lotta per raggiungere l’indipendenza, iniziata già nel 1896 con la “Rivoluzione filippina” contro gli spagnoli.

I primi scontri fra truppe statunitensi e rivoluzionari filippini ebbero inizio appunto il 4 febbraio 1899 nei dintorni di Manila, estendendosi ben presto al resto del Paese; il 2 giugno 1899 la Repubblica filippina dichiarò ufficialmente guerra agli Stati Uniti. Il conflitto viene fatto convenzionalmente terminare il 4 luglio 1902, quando il Congresso degli Usa approvò la costituzione di un’amministrazione civile per le Filippine («Governo insulare delle isole Filippine») al posto del precedente governo di occupazione militare; in ogni caso, vari gruppi di veterani della società segreta filippina anti-coloniale Katipunan fondata da Andrés Bonifacio portarono avanti la lotta contro le truppe statunitensi, proclamando una «Repubblica di Tagalog» nel 1902 e resistendo fino alla loro sconfitta nel luglio del 1906. Altri gruppi, come i Moro e i Pulahan, continuarono a combattere almeno fino alla battaglia di Bud Bagsak del 15 giugno 1913.

La guerra e l’occupazione militare delle Filippine trovò opposizione anche negli Usa, ispirando la formazione della cosiddetta «Lega anti-imperialista americana» il 15 giugno 1898. La guerra e l’occupazione provocarono vaste distruzioni: le vittime sono stimate fra 34.000 e un 1.000.000, comprendendo i civili. Ma cambiarono anche l’entroterra culturale dell’arcipelago, con la secolarizzazione delle istituzioni della Chiesa cattolica nelle Filippine e l’introduzione della lingua inglese come linguaggio primario nell’istruzione, nel governo e nei commerci. Con il «Philippine Organic Act» del 1902 ai filippini fu dato un autogoverno molto limitato, incluso il diritto di voto per una propria assemblea legislativa, ma non fu prima del 1916 (con il «Philippine Autonomy Act») che il governo statunitense promise ufficialmente la concessione dell’indipendenza all’arcipelago. Nel 1935 fu istituito il Commonwealth delle Filippine, un’amministrazione provvisoria in preparazione della piena indipendenza, e dopo il periodo dell’occupazione giapponese nella seconda guerra mondiale l’arcipelago ottenne la completa autonomia nel 1946.

 

Bibliografia consultata

Massimo Salvadori, «Storia dell’età contemporanea», Torino, Loescher, 1990.

Pasquale Villani, «L’età contemporanea», Bologna, Il Mulino, 1998.

Francesco Barbagallo, Giovanni Sabbatucci, Vittorio Vidotto, Romano Paolo Coppini, Cammarano Fulvio, «Storia d’Italia», Laterza, 1995.

Alberto Caracciolo, «Alle origini della storia contemporanea», 1700-1870 , Bologna, Il mulino, 1989.

Alberto De Bernardi, Luigi Ganapini, «Storia d’Italia», Bruno Mondadori, 1996.

Bernard Millot, «La guerra del Pacifico», RcsLibri, 2002.

UNA NOTA “FILIPPINA” DI DB

Ottimo, come sempre, Fabrizio. Ma… chiedo a qualche benefattore o benefattrice di regalargli «Storia popolare dell’impero americano: a fumetti» di Howard Zinn, Mike Konoppacki e Paul Buhle, co-edito da Hazard edizioni e dal quotidiano «il manifesto» nel 2011. Trovo che sia un testo imprescindibile per chi voglia raccontare la storia degli Usa. In questo volume il capitolo «L’invasione delle Filippine» occupa 20 pagine e si apre con questo sommario: «Alla fine della guerra almeno 200mila filippini erano morti, la maggior parte di fame; 4mila i soldati statunitensi uccisi. L’ occupazione costituì un modello per le future avventure coloniali degli Stati Uniti». Nelle pagine di «Storia popolare dell’impero americano» proprio Zinn, l’io-narrante, affida le conclusioni a Mark Twain che fra l’altro suggerì di adottare «una nuova bandiera con le strisce bianche dipinte di nero e le stelle sostituite dai teschi con le tibie incrociate». Così quando qualche volta vedete in giro quella bandiera nei cortei anti-imperialisti e, immaginando (per un attimo solo, mi auguro) di essere un Panebianco o un Ferrara, vi chiedete chi sia «l’antiamericano» che inventa cose del genere… ora lo sapete: fu Mark Twain; «fu allora che pubblicai alcuni dei miei scritti più accesi fra cui “La persona che siede nelle tenebre” e “La preghiera della guerra”. Fui criticato per non essere divertente» spiega il Mark Twain in quelle vignette. E’ logica – terribilmente logica – la conclusione del capitolo. Il duo Twain-Zinn ricorda le infamie del generale Leonard Wood, prima «flagello degli Apaches e degli insorti cubani» che poi si distinse nelle Filippine massacrando una tribù Moro a Bud Dajo. Ed ecco l’ultima immagine di questo capitolo: non è una vignetta ma una foto, una di quelle tragicamente famose con un prigioniero di Abu Graib tenuto al guinzaglio. La didascalia spiega: «Quanto al generale Wood gli venne intitolato un forte nel Missouri. Nel 2004 fu rivelato che i soldati accusati di torture nella prigione di Abou Ghraib in Iraq erano stati formati come carcerieri nel forte Leonard Wood». La continuità della politica estera statunitense.

Sottolineo che è un libro prezioso (e purtroppo poco conosciuto). Opera di un bel trio: un grande storico come Zinn con un giornalista, storico e amante dei fumetti come Buhle e con un illustratore («political cartoonist» si definisce) come Konopacki. A mio avviso sono stati straordinari nel sintetizzare in sole 280 pagine la storia dell’imperialismo Usa vista dal basso cioè contro ogni bugiarda retorica patriottarda-imperialista. Vale recuperare il libro e leggerlo dunque. Ma intanto lancio qui il concorso: «vuoi essere tu il primo o la prima a regalare questo libro a Fabrizio?».

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili ma sinora sempre evitati) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 4 febbraio avevo anche ipotizzato: 1212: battaglia decisiva per Gengis Khan; 1617: condanna al rogo per Caterina Medici; 1794: la Francia abolisce la schiavitù; 1831: sollevazione anti-papato in Emilia, Marche e Umbria; 1861: gli Stati secessionisti si riuniscono a Montgomery; 1869: nasce Big Bill Haywood; 1913; nasce Rosa Parks (se n’è parlato in blog); 1954: incontro Valletta-Boothe Luce; 1971: omicidio neofascista a Catanzaro; 1982: arrestato Luigino Scricciolo (se ne è parlato più volte in blog); 1987: uccisa Meena, fondatrice di Rawa; 1991: muore Rosanna Benzi; 199: ucciso Amadou Diallo dalla polizia; 2004: muore Valery Melis per l’uranio «impoverito». E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.

Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.

Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su www.radiazione.info.

Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… vi aggiorneremo. (db)

 

Redazione
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