Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa
di Susanna Sinigaglia
di
Eugenio Barba e Julia Varley
con
Lorenzo Gleijeses
Eugenio Barba rielabora il Gregorio Samsa della “Metamorfosi” di Kafka che si risveglia trasformato in un orrendo insetto, trasferendo in lui anche alcuni aspetti esistenziali dello scrittore stesso – come il suo rapporto lacerante con la figura paterna– e lo converte in un danzatore; forse in una sorta di contrappasso, vista l’ossessione che a volte hanno i danzatori per il proprio corpo, le sue perfezioni e imperfezioni.
L’inizio dello spettacolo vede Gregorio sulla scena, solo, mentre interpreta una coreografia con molta intensità e impegno; sullo sfondo, un sipario socchiuso lascia intravedere un bagliore, che ricorda un tramonto, verso cui il danzatore si dirige correndo alla fine della sequenza restando però sempre fermo nello stesso punto.
All’improvviso, interviene una voce fuori campo: quella del regista, che interrompe Gregorio e gli dice d’essere scontento di lui, d’avergli chiesto di presentargli nuovi gesti, nuove proposte, e gli rimprovera di non essersi impegnato abbastanza. Poi lo congeda. Gregorio è il figlio del regista, un grande artista, e ne è ossessionato.
Si rifugia in casa, dove i suoi comportamenti sono condizionati dagli apparecchi elettronici – che ne scandiscono i tempi (cellulare, cuffie naturalmente, ma anche segreteria telefonica, ed elettrodomestici come l’aspirapolvere di ultimissima generazione che continua a scorrazzare sul pavimento, ovvero sull’impiantito del palco) – e dall’imperativo di provare la coreografia di cui ripete le sequenze in modo compulsivo. Torna alla mente la successione di gesti sempre uguali che tiranneggiano la vita del povero Gregorio kafkiano.
Qui il danzatore continua a girare in tondo e a rialzarsi, a girare e rialzarsi sembrando sempre di più un animale in gabbia;o forse alludendo a quell’insetto enorme – in cui si trasforma il personaggio di Kafka– mentre dondola impotente,disteso sul dorso rigido della corazza e agitando le zampine. Il Gregorio di Barba – come accennato sopra – è perseguitato dalla figura paterna, quel regista tiranno di cui sentiamo ogni tanto la voce fuori campo,ma anche da altre voci autoritarie.Per esempio da quella, registrata dalla segreteria telefonica, della psicologa che rimanda l’appuntamento con Gregorio: voci irraggiungibili – disincarnate – delle autorità che l’assillano. Il danzatore ha un incubo ricorrente: il giorno della prima, non sente suonare la sveglia mancando così clamorosamente alla rappresentazione dello spettacolo e provocando a se stesso una catastrofe esistenziale di proporzioni incommensurabili.
Proprio sull’orlo del baratro però Gregorio riesce –imprevedibilmente –a sottrarsi alla sua compulsione, al suo incubo, a trovare un varco, a scappare da quella gabbia che sembrava invalicabile. Elo vediamo correre di nuovo verso lo spiraglio di luce in fondo alle tenebre; in modo scomposto, ma libero.