Una lettera(ccia) su «Gli sdraiati» di Michele Serra
di Gian Marco Martignoni (*)
Mio caro, voglio raccontarti il mio impatto con «Gli sdraiati» di Michele Serra, autore che conosco poco perché – come ben sai – mi guardo bene dall’acquistare «Repubblica».
Sin dalle prime pagine ho avuto con «Gli sdraiati» un impatto terrificante, tanto che non avrei dovuto – seguendo i consigli di Daniel Pennac – seguitare la lettura, come del resto mi aveva suggerito un’amica schifata. Ho voluto arrivare sino all’ultima pagina per rendermi conto di cosa passa oggi il convento.
Magari potrei passare per uno che non ha il senso dell’umorismo visto che leggo prevalentemente saggistica e solo di tanto in tanto buoni romanzi ma per me «Gli sdraiati» è uno dei libri più squallidi fra quelli che ho letto. Vedo che il libro è all’8 posto fra i venduti del 2013, pur essendo apparso a novembre: mi piacerebbe capire, tramite il tuo blog, cosa una persona normale può trovare in un testo di simile fattura. Per me la difficoltà di lettura è di poco superiore allo zero: mi pare la sommatoria di frasi per la stragrande maggioranza senza senso e prive di nessi logici.
(*) Di solito su questo blog non si parla male dei libri: nel senso che, siccome ci sono tante belle cose da leggere, ci siamo dati la “regolina” di non sprecare energie e spazio per attaccare i (molti) libri brutti. Ovviamente ogni regola ha la sua eccezione e questo è un caso. «Gli sdraiati» vende ed è osannato ma da sempre il coro canta le lodi di Michele Serra attribuendogli due meriti. Il primo è che scrive bene: si può essere di parere diverso ma è difficile negare che nel deprimente patrimonio giornalistico-letterario italiano Serra sia sopra la media. Il secondo merito di Serra sarebbe esser lui uno dei rari rappresentanti di una gloriosa categoria a rischio di estinzione: gli intellettuali di sinistra. Qui il dissenso (mio e credo di altre/i) è totale: Serra è qualunquista, classista, banale, ignorante di tutto ciò che non sia il pensiero dominante. Se lui è un intellettuale di sinistra… allora la categoria è davvero estinta, seppellita. Per questo ho accolto l’accorata lettera di Gian Marco. E qui ho dato il mio parere: non su «Gli sdraiati» che certo non leggerò ma su Serra; neanche io compro «Repubblica» ma, per una strada o l’altra, mi arrivano egualmente suoi testi anche perché in rete c’è chi apprezza molto la sua rubrica («l’amaca» in sintonia con «gli sdraiati»?). A volte i corsivi di Serra sono simpatici – ripeto: non gli si può negare un certo humor – ma il suo retroterra culturale, esplicito o implicito, è sempre quello dominante, cioè orribile. Io almeno la vedo così. Come sempre in blog il dibattito resta aperto. (db)
caro DB. vorrei intervenire perchè molti conoscenti continuano a consigliarmi di leggere il romanzo, ma io rilutto perchè, pur passando la vita a leggere, faccio fatica a leggere Serra per i motivi etico-culturali che tu individui e su cui sono d’accordo. Allego sotto una nota sull’Amaca di serra pubblicata nel maggio 2008 su “left-avvenimenti”. Ma c’è di più: un amico che è anche ottimo scrittore e lettore acutissimo mi ha segnalato alcune scelte linguistiche del romanzo, a suo parere immotivatamente “alte”, che rendono il libro di lettura assai meno divertente dell’Amaca stessa. Mi resta perciò la curiosità, che prima o poi sazierò. magari, se qualcuno die tuo lettori mi presta il libro tramitre te (che conosci il mio indirizzo di casa), evito di spendere inutilmente quei pochi euro (meglio in francobolli).
*Sentimento
Un gruppo nutrito di persone va ripetendo che sono inutili le certezze sulla diminuzione dei crimini, quello che conta è l’aumentata percezione dell’insicurezza. E che non averne tenuto conto ha nuociuto al marketing del centrosinistra. Hanno cominciato Veltroni (allora sindaco di Roma) e Amato (allora ministro degli Interni). Ora vi ritornano in tanti, tra cui Rutelli, per spiegare al volo (e con una favoletta sola) la sua cocente e grave sconfitta elettorale, tanti esponenti del PD e giornalisti, tra cui si distinguono il comunquista Augias (“Comunque la percezione dei cittadini è quella e una certa sinistra avrebbe dovuto capirlo”, 26 aprile) e Michele Serra. Il quale afferma che “il sentimento dell´insicurezza è soprattutto un sentimento ‘popolare’, un sentimento di strada…” (20 aprile, sempre su “La Repubblica”); chi voglia capire da dove tale sentimento venga, si rivolga a Lisa Simpson, reduce dalle lezioni di creazionismo: “Abbiamo fatto una verifica e la risposta è sempre la stessa: l’ha fatto Dio”. Serra spiega, indulgente, che “la tentazione delle varie “ronde” più o meno spontanee, più o meno manesche, nasce esattamente dal timore che l´arretramento dello Stato, sul terreno tutt´altro che simbolico delle città, dei quartieri, delle periferie, sia anche un arretramento ‘politico’”; e ribadisce che sarà duro imporre agli stranieri “il rispetto delle nostre leggi: operazione, quest´ultima, di particolare difficoltà nel caso di popoli e culture che hanno delle donne un concetto sovente ‘proprietario’, dunque rapinoso e violento”.
Non sfugga lo slittamento delle imputazioni: il comportamento dei rondisti (più o meno maneschi) viene spiegato su base situazionale, mentre i comportamenti di interi “popoli e culture” vengono ricondotti a una identità, sulle cui caratteristiche soccorre uno stereotipo, il concetto sovente proprietario (tra virgolette, traccia di un imbarazzo linguistico che Serra si lascia alle spalle) delle donne. Si segna un confine preciso tra i “nostri” comportamenti, spiegati in base a situazioni e disagi sociali, e i “loro”, ricondotti a cause naturali o di così lenta storicità da sembrare tali. Da una parte le “nostre” leggi (come si lascia sfuggire Serra: concetto proprietario?), dall’altra la loro brutalità, da ricondurre alla loro cultura, assai più prossima della nostra a una natura incoercibile.
Pare che non si possa chiedere a leaders politici un minimo di dignità scientifica, senza scatenare reazioni come quelle di infausta memoria espresse pochi mesi fa da Amato: ma da chi esibisce di saper leggere e scrivere, forse qualcosa di più ci si potrebbe aspettare. Per esempio, che si rendano conto, il Serra e l’Augias, che le loro strategie retoriche sono minuziosamente descritte negli studi più prestigiosi sul discorso razzista. Già all’inizio degli anni ’90, per esempio, da un osservatorio poco provinciale, Teun van Dijk (di eccellente competenza, sulla lingua, la percezione e il razzismo), mostrava come la percezione “popolare” di una pericolosità sociale degli immigrati non sia un fenomeno naturale, ma sia profondamente influenzata dal discorso istituzionale e da quello mediatico. Van Dijk indica le motivazioni e descrive le strategie discorsive delle èlites, che offrono una preformulazione del discorso pubblico razzista consentendone la riproduzione e la diffusione. Sono i colti che costruiscono cornici ideologiche che portano alle percezioni “di strada”: tra queste, quella sul carattere congenitamente diverso delle minoranze immigrate, sulla minaccia per le “nostre” donne (come da indimenticabile exploit Poverini-Augias) e sul carattere culturale della loro inassimilabilità, opposta a quella positiva presentazione di sé necessaria a coprire la xenofobia delle èlites politiche e mediatiche.-
Left-Avvenimenti, maggio 2008