articoli di Miguel Martinez, Alessandro Bartoloni e Associazione Marco Mascagna
UNA STORIA PER GLI AGRICOLTORI IN LOTTA E I CITTADINI CHE LI SOSTENGONO
con Giovanni Pandolfini
Qualche anno fa mi trovai a parlare con un agricoltore, un collega, che gestiva la sua impresa agricola cerealicola familiare nelle terre fertili e pianeggianti della zona del parco Milano-sud. Era molto preoccupato per il futuro della sua attività che sosteneva economicamente la sua famiglia da più generazioni.
I conti non tornano più, diceva :
“Le spese sono sempre in crescita così come gli obblighi burocratici, gli adempimenti fiscali, le norme per la sicurezza sui luoghi di lavoro, quelle per la sostenibilità ambientale, quelle per l’adeguamento delle strutture , quelle per l’acquisto e la manutenzione delle macchine necessarie per lavorare la terra, per i semi, per le cure colturali (diserbanti,concimi e pesticidi) e per il trasporto dei prodotti, per non parlare poi del costo dell’energia, delle consulenze agronomiche, di quelle legali e commerciali di cui ho assoluto bisogno per lavorare e per sentirmi minimamente in regola e non correre rischi .”
Lamentandosi ancora aggiungeva :
“Dall’altro lato dei costi dovrebbero esserci adeguati ricavi ma.. il raccolto ha dei prezzi che a malapena coprono le spese correnti quando tutto fila liscio senza considerare i mille possibili intoppi che ormai sono sempre più frequenti, nuove avversità come insetti nocivi invadenti, attacchi fungini particolarmente forti, danni da selvaggina come ungulati e molti altri, lunghi periodi siccitosi senza pioggia, periodi con troppa pioggia e alluvioni, grandine e forti temporali con venti distruttivi, temperature fuori dall’usuale con escursioni termiche giornaliere intorno ai 20° e molte altre, l’unica nostra salvezza sono i contributi della PAC e le agevolazioni per gli acquisti delle macchine come contributi in conto capitale del psr (ovvero a fondo perduto, da non restituire) e i crediti di conduzione come le cambiali agrarie che le banche rinnovano senza troppe pretese .
L’associazione di categoria mi ha consigliato di specializzarmi, di ammodernare la mia impresa, di innovare le mie attrezzature, di investire con più decisione nella mia attività, di credere in me stesso e di affidarmi a loro per la consulenza finanziaria, per districarmi nella giungla dei contributi e nelle paludi degli obblighi di legge .
D’altronde sono sempre loro che hanno le cooperative ed i consorzi che mi vendono tutto ciò di cui ho bisogno e poi mi ritirano il prodotto nei loro centri di lavorazione e stoccaggio, non posso non considerarli.
Ovviamente per poter beneficiare dei contributi, che sempre loro mi aiutano ad ottenere, gli acquisti per l’innovazione e lo sviluppo della mia azienda devono rigorosamente essere effettuati con macchine nuove, sempre più costose e sofisticate. Un tempo i trattori e le attrezzature con una piccola officina, una saldatrice e un flessibile le riparavo io stesso oggi invece la meccanica si è fusa con l’elettronica e devo rivolgermi ad officine specializzate che costano un patrimonio,
La banca mi ha concesso crediti, scoperti,anticipi fatture perché faccio girare i soldi ma adesso mi sta dicendo che la mia impresa non è più tutta mia ma è un po’ anche loro e pertanto se veramente ci credo nella mia attività, così come ci hanno creduto loro, non posso rifiutarmi di mettere una firmetta per garantire con la mia proprietà immobiliare, la casa e la terra, tutto ciò che abbiamo, tutto ciò che la mia famiglia ha costruito con tanto lavoro e tanta fatica nel tempo .
Ho le mani legate. Non so più come fare, devo lavorare di più ma ho bisogno di più terra, devo aumentare il mio giro di affari e di contributi.
Alla fine del suo ragionamento arrivava ad una conclusione :
“ Ho solo 150 ettari ed oggi con 150 ettari di terreni seminativi non si riesce a campare la famiglia ne occorrerebbero almeno il doppio per stare tranquilli ”.
Incredibile e completamente assurdo. Con quale contorcimento di pensiero si può arrivare ad una simile convinzione?
Il ragionamento del povero imprenditore agricolo modernizzato, specializzato, industrializzato e al passo più o meno col grado minimo di “legalità” occorrente alla sua attività, è più o meno questo:
Per lavorare la terra, assistere le colture, raccogliere e stoccare i prodotti che ottengo ho bisogno di attivare molti investimenti. Il loro ammortamento mi costa in modo sproporzionato a quello che posso realizzare vendendo sul mercato, a prezzi correnti, il frutto del mio lavoro (ammesso che vada tutto bene e con i rischi a mio carico). La mia attività diventa “possibile” solo se al prodotto vendibile aggiungo una quota di sussidio proveniente dal sistema di incentivazione agricola messo in campo dalla Comunità Europea con il suo complicato meccanismo di assegnazione.
E poiché il principale meccanismo di erogazione dei fondi PAC si riferisce ad un premio ad ettaro, ho bisogno di una superficie “minima” di cui disporre per rendere economicamente vantaggiosa la mia impresa . Si capisce che chi possiede una superficie di terra sotto questo limite non riesce a fare fronte ai costi di produzione e se non lo ha già fatto deve smettere, chiudere l’attività, chi è nei pressi di questo limite rischia molto lavora tanto e guadagna poco, chi invece possiede dieci o venti volte questo limite ha ben altri margini di tranquillità e di profitti interamente offerti dalla comunità europea attingendo al prelievo fiscale di milioni di lavoratori.
Avete mai visto un meccanismo più ingiusto?
Una superficie tale che mi consenta di investire sempre di più in innovazione tecnologica e maggior impiego di imput energetici e di coltivazione affinché riesca ad ottenere il massimo possibile e il più velocemente possibile dalla mia terra e al tempo stesso di attingere agli investimenti che il sistema propone via via più vantaggiosi nel momento.
Avete mai visto qualcosa di più pericoloso per l’ambiente e per la salubrità degli alimenti ?
Il livello di questa quantità minima di terra necessaria a questo tipo di sopravvivenza è estremamente variabile di anno in anno con la tendenza all’aumento e al favorire le grosse aziende ai danni delle più piccole .
Un percorso perverso e diabolico destinato a portare alla rovina quasi tutti i praticanti per farne emergere solo alcuni, i più strutturati, i più dotati di capitali alle spalle, i già grossi, i più predatori, a danno di tutti gli altri .
Questo rapporto fra superficie e sostenibilità economica è più evidente sulla specializzazione cerealicola o foraggera ma lo possiamo estendere a tutte le altre specializzazioni agricole più intensive come l’orticoltura, la frutticoltura, la viticoltura ecc ecc fino alla zootecnia con i sui mega allevamenti industriali.
Intermediari e GDO hanno tutto da guadagnare da un sistema simile e il produttore agricolo che si troverà immancabilmente ad avere in un preciso e limitato momento dell’anno una grande massa di prodotto quasi sempre deperibile è l’anello più debole dell’intero sistema .
Avete mai visto qualcosa di più pericoloso?
Invece.
150 ettari sono, per chi non avesse dimestichezza nelle proporzioni della superfici da coltivare, un campo di 1 Km per 1,5 Km, pari più o meno a 215 campi da calcio .
Come è possibile sostenere che con una superficie così grande di buona terra fertile di pianura con acqua a sufficienza in un clima temperato come il nostro, se pur in variazione, non si possa arrivare ad un reddito sufficiente per campare una famiglia.
Approssimativamente in 150 ettari potrebbero vivere e lavorare dalle 180 alle 200 e oltre persone e produrre cibo per loro stesse e per altre 800, con un livello di meccanizzazione minimo e con la quasi completa autosufficiente dal punto di vista energetico e di materie prime necessarie.
Sarebbe possibile solo praticando agricoltura contadina agroecologica .
Con un sistema di distribuzione locale e diretto dei propri prodotti, senza intermediari, senza consulenti, senza azzeccagarbugli, con l’assunzione diretta delle proprie responsabilità ambientali e sociali, con un meccanismo semplice ed efficace di garanzia partecipata sulla salubrità dei propri prodotti a livello locale, con un sistema di credito autogestito, con la possibilità di trasformare e conservare i propri prodotti in piccoli impianti artigianali, con regole diverse da quelle dell’agroindustria, si potrebbe ottenere anche un reddito dignitoso senza troppi sforzi e senza autosfruttamento.
Cosa è accaduto e cosa accade tuttora nelle nostre campagne? Perché un agricoltore arriva a sostenere il paradosso che non riesce a campare se stesso e la propria famiglia con soli?? 150 ettari.
Inutile chiedere e rivendicare alle istituzioni maggior investimenti, maggior attenzione ai lavoratori del settore primario, condizioni di vendita dei propri prodotti più dignitose, un reddito sufficiente alle proprie aspettative e ai propri bisogni, risponderanno sempre con più burocrazie, con più tecnologia, con più specializzazione e con più asservimento al loro sistema. E’ necessario uscire dalla condizione di impresa agricola in un mercato globalizzato e costruire un tessuto comunitario locale e decentralizzato che autonomamente possa disporre del proprio territorio, controllarlo e difenderlo.
Mille e mille autonomie di villaggio che attraverso la produzione del proprio cibo possano rappresentare il modo economicamente ed ecologicamente più sostenibile ed umanamente più piacevole di stare a questo mondo.
Per una Nuova Agricoltura Contadina – Miguel Martinez
Nel contesto della rivolta europea dei trattori, un gruppo di contadini e loro amici ha lanciato questo manifesto per la “Nuova Agricoltura Contadina“, proprio qui, a Firenze. Se volete aderire, potete mandare una mail a nuovagricolturacontadina@gmail.com
La nuova agricoltura contadina si distingue alla radice dall’agricoltura industriale, quindi stronchiamo subito le due obiezioni che tanti solleveranno contro questo manifesto.
Uno…
“Eh, ma senza tonnellate di chimica e montagne di burocrazie, non si sfama il mondo”.
Qui ci sarebbe tanto da discutere – come la “chimica” (per semplificare) desertifichi il suolo; o di come i controlli formali siano tarati sulle grandi imprese industriali.
Ma tagliamo la testa al toro (senza averlo riempito prima di ormoni): qui stiamo parlando della possibilità per chi vuole di fare un’agricoltura senza “chimica” e senza “burocrazia”.
Però c’è anche un punto che mi affascina perché sovverte tutti i nostri punti di riferimento.
Qui si propone di decommercializzare le attività di autoproduzione.
Oggi, l’artigiano che costruisce con le sue mani un violino, o la pastora del Chianti che fa il formaggio di pecora e lo vende in Piazza Tasso, sono equiparati al negoziante, ma anche allo speculatore immobiliare o al trafficante in investimenti bancari: sono “imprenditori” che fanno “commercio“, su cui opera una tassa specifica, l’Iva, diversa dalle “tasse” ordinarie che giustamente paghiamo tutti per avere strade o scuole o ospedali.
Mi dicono che da qualche parte nel Capitale di Marx che io non ho letto, c’è scritto che esistono due modi radicalmente diversi di scambiare beni e denaro.
Il primo: coltivo rape/trasformo il legno in violino; poi vendo rape/violino a qualcuno, che mi dà un po’ di soldi; e trasformo quei soldi in una cosa importante per me, un pasto, una casa, un libro.
Bene – Denaro – Bene 1
Il secondo modo è… mi trovo tra le mani dei soldi, e voglio averne ancora di più. In mezzo, qualunque cosa può fungere come la schedina di Totò:
Ogne semmana faccio na schedina: mm a levo ‘a vocca chella ciento lire, e corro quanno è ‘o sabbato a mmatina ‘o Totocalcio pe mm’ ‘a ji a ghiucà.
Per cui scommetto su… i ceci boliviani, gli schiavi neri, il film di successo, la lotteria di capodanno, i missili da lanciare sul nemico, il cantante di Sanremo, il vino del Chianti, il palazzone di cento piani, il grano da sfruttare per farne biocarburante…
Denaro – Bene – Denaro 1
E’ una scommessa anche la nostra, che si possa escogitare una maniera per distinguere chi ci vende il vino in piazza da chi specula sulle armi in borsa.
Ma è parallela e tanto vicina a una battaglia che abbiamo già vinto: quella che ha fatto saltare la mostruosa dicotomia “pubblico/privato”, e ha introdotto l’idea di cittadini attivi, che non ricercano un guadagno personale, ma agiscono per il Bene Comune.
OBBIETTIVI PER UNA NUOVA AGRICOLTURA CONTADINA
Centro Studi per la nuova agricoltura contadina
Firenze,18 febbraio 2024
Le manifestazioni dei trattori, nate dall’evidenza di essere nel vicolo cieco, senza futuro perché il dominio dell’industria, dopo la rincorsa all’agricoltura 3.0, 4.0, 5.0, porterà alla fine ad alimenti prodotti in fabbriche/laboratorio, alla ricerca dei prezzi più bassi e di profitti più alti, vengono astutamente interpretate dalle istituzioni politiche come richieste allineate a quelle della finanza, che vuole più glifosate, più tecnologia, più veleni, cioè proprio quegli strumenti che hanno portato l’agricoltura in fallimento, e perciò bisognosa di finanziamenti, che bastano sempre meno a remunerare i contadini ma a sostenere un apparato sempre più invasivo. La crisi dell’agricoltura impone una via di uscita dalla catena infernale dell’agricoltura industriale.
La costruzione di un nuovo mondo contadino è la base necessaria della transizione ecologica, della messa in sicurezza del territorio, della salvezza delle città, della bonifica della terra, delle acque, dell’aria e del cibo da ogni forma di inquinamento.
Tali scopi del più alto interesse pubblico passano dalla promozione di un’agricoltura autonoma dall’industria, senza inquinanti, dalla forestazione e/o piantumazione con i maggiori assorbitori di anidride carbonica, dalla difesa della biodiversità, dalle policolture, dalla produzione di alimenti della più alta qualità.
È nuova agricoltura contadina ogni podere o unità produttiva coltivata da una comunità familiare, amicale, associata in qualunque modo, orientata a utilizzare macchine di potenza totale sempre minore, eliminando la chimica di sintesi, producendo soprattutto per l’alimentazione, allevando animali non in batteria e operando in policoltura, come tale non è un’attività speculativa.
È riconosciuto ai contadini agro-ecologici il diritto all’analfabetismo burocratico e digitale. Tutte le pratiche pubbliche saranno a carico pubblico, espletate da funzionari appositi e itineranti, a cui deve essere dato l’incarico di completarle senza lavoro-ombra a carico del contadino.
Da questo e dall’assenza di scopi speculativi discende che la nuova agricoltura contadina dev’essere esentata dall’obbligo di iscriversi alla camera di commercio e dall’IVA.
Saranno finanziati dal pubblico a misura sul lavoro compiuto le opere di pubblico interesse di manutenzione del territorio con sistemazioni agrarie come: la costruzione o ricostruzione dei muri a secco, della rete idrografica, la manutenzione delle strade vicinali, la bonifica di terreni degradati, la piantumazione di varietà migliorative del microclima.
Riservare una quota parte del terreno a siepi, alberature, fossi e sistemazioni agrarie, mantenere e accrescere la fertilità del suolo. Tutto ciò non rappresenta solo un valore di bellezza del paesaggio, ma aumenta la qualità e quantità delle produzioni.
Istituire cantieri di lavoro per i nuovi insediamenti contadini con impiego di disoccupati, operai in cassa integrazione, tirocinanti, studenti con borse di studio e immigrati. I cantieri saranno centri di istruzione e sperimentazione, comprendente ogni aspetto della nuova vita rurale e a cui si potranno aggregare anche le scuole di ogni ordine e grado nelle attività pratiche inseparabili dalla formazione. Le associazioni che da anni lavorano in queste materie e rappresentano le varie forme di agricoltura ecologica, organizzeranno il personale docente. In particolare si studieranno e sperimenteranno gli strumenti per la migliore trasformazione artigianale dei prodotti, le tecniche per l’uso di animali nelle attività di trasporto, le piccole attività di trasformazione dei prodotti agroalimentari e altre, come molitorie ad acqua o micro-impianti di produzione energetica rinnovabile nella prospettiva di una rinnovata sovranità tecnica.
Istituire per cinque anni un salario di contadinanza per chi intraprende un’attività di nuova agricoltura contadina.
Istituire un servizio per l’istruzione, la verifica e i controlli delle buone pratiche e della qualità dei prodotti alimentari delle attività della nuova agricoltura contadina.
Sostituire le certificazioni biologiche con autocertificazione comprovate da controlli chimici anche da parte di un servizio di controllo all’interno della comunità sull’ambiente e sui prodotti alimentari che verifichino l’assenza di chimica di sintesi.
Riportare in vigore per i nuovi contadini la vendita diretta al dettaglio o al pubblico in regime di esenzione e quindi senza pagamento del suolo pubblico, garantendo la tracciabilità del prodotto con l’autocertificazione.
Facilitare l’accesso alla terra promuovendo la concessione delle terre agricole demaniali o pubbliche o private alla nuova agricoltura contadina, e a tale scopo concesse per periodi crescenti in base ai risultati per attività, liberalizzando il rapporto fra proprietà e conduttori; sono parimenti liberalizzati i rapporti di collaborazione e di volontariato in agricoltura anche sotto forma di cooperazione di comunità;.
Premiare le filiere corte attraverso reti di comunità alimentari tra produttori e utenti. In particolare, agevolare cooperative di cibo contadino che non solo venda a domicilio ma incentivi il mestiere per attirare nuove generazioni; ed è giusto che siano a carico di tutta la società comunale, regionale, nazionale.
Vista al momento la scomparsa quasi totale della trasmissione diretta delle conoscenze pratiche di coltivazione e di vita agricola nelle giovani generazioni, ogni contadino della nuova agricoltura che lascia per malattia o limiti di età dovrà essere sostituito solo da comunità di apprendimento o di analoga produzione, col contributo pubblico.
Liberalizzare lo scambio, la vendita e selezione dei semi da parte delle attività dei nuovi contadini, purché prodotti da loro.
Il territorio agricolo non potrà essere urbanizzato e le nuove costruzioni rurali necessarie saranno realizzate in materiali naturali facilmente rimovibili. A questo scopo occorre allestire un nuovo catasto agricolo comprendente i terreni utilizzati in agricoltura contadina o a essa vocati, che si tratti di terreni demaniali o privati.
Fissare il prezzo minimo di ingresso in Italia di tutti i prodotti agroalimentari secondo il livello medio del costo di produzione nel nostro paese, purché coltivati secondo le norme vigenti.
L’Unione Europea deve garantire il diritto alla sovranità e all’autonomia alimentare di ogni paese nel rispetto delle usanze o tradizioni, e basata sulla solidarietà per compensare tutte le situazioni di necessità alimentari anche provocate da eventi straordinari.
Le leggi e regolamenti attualmente vigenti per l’agricoltura restano in vigore per l’agricoltura industriale. Per la nuova agricoltura contadina si costruirà un nuovo codice.
Cosa c’è dietro la protesta degli agricoltori – Associazione Marco Mascagna
Gli agricoltori protestano, ma perché protestano? Cosa chiedono? Se le loro richieste venissero accolte i cittadini ne sarebbero avvantaggiati o penalizzati?
Cerchiamo di rispondere a queste domande.
Innanzitutto dire “gli agricoltori” come se fossero un unico soggetto è un errore. Vi sono significative differenze tra una grande azienda agricola, una cooperativa agricola, un coltivatore diretto, un dipendente di un’azienda agricola, un bracciante. E vi sono profonde divisioni tra i diversi rappresentanti degli agricoltori: Confagricoltura (in stragrande maggioranza grandi imprese agricole, presso le quali lavora circa mezzo milione di lavoratori), Coldiretti (coltivatori diretti, cooperative), CIA-Confederazione Italiana Agricoltori (piccoli imprenditori e agricoltori subordinati), Alleanza delle cooperative.
Le attuali proteste degli agricoltori non sono nate da parte di queste organizzazioni (che solo successivamente hanno in parte sposato la loro protesta) ma di nuove aggregazioni molto poco organizzate e basate su leader:
– Riscatto agricolo: i leader sono soprattutto imprenditori zootecnici;
– CRA – Agricoltori traditi: leader è Danilo Calvani, agricoltore già esponente dei “forconi”, il movimento fascista, populista ed eversivo (voleva lo scioglimento del Parlamento, propagava odio e organizzò blocchi di autostrade);
– Movimento degli agricoltori siciliani: guidati da Mariano Ferro, anche lui già esponente dei Forconi;
– Ancora Italia: leader è Giuliano Castellitto, ex esponente dell’organizzazione nazifascista Forza Nuova.
Poi ci sono influencer come Davide Gomiero (protagonista della serie TV Quella pazza fattoria), Marcello Guastella (anche lui ex forcone), Giorgio Bissoli (di Fratelli d’Italia).
Tutti costoro criticano più o meno fortemente le storiche organizzazioni del comparto (Coldiretti, CIA, Confagricoltura ecc.).
Perché protestano?Perché, come affermano, si sentonotartassati da norme che reputano assurde, soffocati dalla burocrazia europea, perché guadagnano poco o sono addirittura in perdita.
In realtà i dati dicono che il reddito medio degli agricoltori è cresciuto negli anni 2018-2019, ha avuto una contrazione (meno forte di altri settori) con la pandemia ed è cresciuto del 13% negli ultimi 2 anni, attestandosi sui 36.000 euro all’anno [1]. Ovviamente questi sono valori medi, ma è interessante che i redditi medi sono in crescita in tutti i settori, gli unici nei quali crescono meno sono l’allevamento di polli e dei maiali [2]. Esistono locali situazioni di crisi o per alcune coltivazioni (es. olive, uva, patate), avvenute soprattutto per fenomeni meteorologici (siccità, alluvioni, bombe d’acqua). Ma va detto che la contrazione della produzione non sempre si accompagna a una diminuzione del reddito, perché può essere compensata dall’aumento del prezzo. Può accompagnarsi però a una diminuzione dell’occupazione (in particolare di braccianti), cosa che effettivamente è avvenuta [1].
Cosa chiedono?
Le richieste dei vari gruppi sono diversificate ma alcune sono comuni:
revisione del Green Deal europeo: in particolare no all’obbligo di non coltivare il 4% dei terreni agricoli, no all’obiettivo di ridurre l’uso dei pesticidi del 50% entro il 2030, no ad abolire i sussidi alle fonti energetiche fossili;
fisco agevolato (Irpef, Imu, IVA su prodotti alimentari primari, accise sui carburanti);
divieto o contrasto all’introduzione di prodotti proteici da colture cellulari (cosiddetta carne sintetica) o derivati da insetti;
provvedimenti che riducano la fauna selvatica “nociva”;
divieto d’importazione di prodotti da Paesi in cui non vengono praticati gli stessi metodi di produzione e coltivazione (o tassazione di tali prodotti).
Vediamo se le richieste sono ragionevoli e utili alla collettività.
1a) L’obbligo di non coltivare il 4% dei terreni è un provvedimento per garantire la biodiversità e salvaguardare gli insetti impollinatori, in grave riduzione e fortemente minacciati.
1b) Per quanto riguarda i pesticidi, nella UE da anni c’è una politica che tende a vietare quelli più pericolosi per la salute e l’ambiente. Nel 2008 la UE ha valutato circa 1.000 pesticidi e ha vietato la vendita e l’uso di circa 750. Negli anni successivi ne sono stati vietati altri. L’uso di pesticidi nel mondo è aumentato grandemente (del 50% tra il 1990 e il 2019), non così in Europa dove è aumentato del 3% tra il 1990 e il 2010, rimanendo poi stazionario tra il 2010 e il 2019 [3].
Anche per la tutela della salute la UE è molto accorta: chi usa pesticidi deve fare un corso e avere un patentino; tutte le vendite, gli acquisti e gli usi devono essere registrati in appositi registri e deve trascorrere un determinato lasso di tempo (variabile per prodotto fitosanitario e specie trattata) tra trattamento e raccolto; controlli sono effettuati, a sospetto e a campione, sulle aziende agricole e sui loro prodotti. Su 91.050 campioni di alimenti esaminati per rintracciare eventuali residui di pesticidi solo il 2% è risultato con valori superiori a quelli ammessi e nel 53% non se ne è rilevata nessuna traccia [4].
I rischi per l’uomo sono quindi molto bassi (tranne che per gli agricoltori che ne fanno uso).
Non così per l’ambiente.Nei Paesi UE pesticidi in quantità superiore alle soglie d’effetto sono stati trovati nel 22% delle acque superficiali, in circa il 10% delle falde acquifere (in questo caso quasi sempre si tratta di pesticidi usati decine di anni fa e da tempo vietati dalla UE), nell’83% dei suoli [5]. Tale presenza è tra le cause della diminuzione degli insetti impollinatori, di artropodi e vermi utili alla fertilità del terreno, di alcune specie di uccelli. I pesticidi sono una delle cause della diminuzione della biodiversità, così importante per la salvaguardia degli ambienti e del pianeta.
Per questo gli scienziati (ecologi, agronomi, ecc.) da tempo sollecitano i governi a ridurne il più possibile l’uso. La decisione della UE di una riduzione del 50% entro il 2030 non nasce da un capriccio, ma dalle indicazioni di esperti. Forse i tempi per una riduzione del 50% sono stretti, ma sicuramente non è il caso di temporeggiare: bisogna subito intraprendere la strada verso un’agricoltura più sostenibile (che richiede ricerca scientifica, cambiamenti delle colture e delle tecniche agricole e anche consumatori più consapevoli e attenti alla difesa dell’ambiente).
1c) Il contrasto alle fonti fossili è dovuto all’impellente necessità di ridurre i gas serra, che stanno già ora provocando enormi danni all’ambiente (e quindi anche all’agricoltura, alla salute ecc.) e che in futuro, se non si riducono drasticamente da subito, determineranno effetti catastrofici (allagamento di molte città costiere, lunghi periodi di siccità, aumento di uragani, bombe d’acqua, trombe d’aria ecc.).
Certo non coltivare il 4% dei terreni, ridurre l’uso dei pesticidi e dei combustibili fossili determinerà difficoltà agli agricoltori, ma sono provvedimenti che prima o poi devono essere presi e più tardi si adotteranno maggiori saranno i problemi, e non solo per gli agricoltori. D’altronde la UE da decenni li finanzia lautamente (il 30% di tutti i finanziamenti UE vanno a questo comparto che rappresenta solo il 4% della popolazione [6, 7]): quindi è vero che l’agricoltura è un settore di importanza fondamentale e che ha anche importanti funzioni oltre quella di produrre cibo (salvaguardia del paesaggio, dei suoli ecc.), per cui è giusto che sia tanto finanziata, ma la UE ha bene il diritto (e il dovere, considerando il rispetto dovuto a tutti gli altri cittadini) di chiedere in cambio alle aziende agricole di non danneggiare l’ambiente e di rispettare altri lavoratori (gli apicoltori per esempio) e cittadini. E ciò ancor più se si considera che nella UE gli unici settori nei quali non si è avuta una riduzione delle emissioni serra sono agricoltura e trasporti (le emissioni dei trasporti sono addirittura aumentate) e che la sola agricoltura-zootecnica emette un quantitativo di gas serra superiore a quello dell’intero settore industriale (ma la metà di quello dei trasporti) [8].
2) Per quanto riguarda le tasse, nel 2016 il Governo Renzi decise l’esenzione per 3 anni, dal calcolo dell’IRPEF, dei redditi (su base catastale) dati dalla proprietà o dall’uso dei terreni agricoli. Tale agevolazione era riservata agli imprenditori agricoli e ai coltivatori diretti. Un regalo per sostenere l’agricoltura che è costato circa 400 milioni all’anno allo Stato e che è stato prorogato dai governi Conte, Draghi e Meloni. Per il 2024 il Governo Meloni ha cancellato questa agevolazione perché servivano soldi per compensare le perdite del fisco dovute all’introduzione del regime forfettario (con aliquota del solo 15%) per i lavoratori autonomi e i liberi professionisti, che hanno ricavi fino a 85.000 euro, e alla riduzione a 3 sole aliquote dell’IRPEF (il primo provvedimento avvantaggia soprattutto i professionisti con redditi di 50.000-90.000 euro, il secondo i contribuenti con reddito tra 30.000 e 50.000 euro). Va detto che il vantaggio ottenuto dagli agricoltori dall’esenzione dei redditi agricoli è minimo: 50 euro in più all’anno per chi ha un reddito di 12.000 euro e a salire fino a 300 euro all’anno per chi ha un reddito di 50.000 euro. Ben poca cosa se si considera che il PNRR destina 8 miliardi di investimenti all’agricoltura [9]
La richiesta di abolire l’IVA del 4% sui prodotti essenziali (pane, pasta, latte, frutta, verdura, uova) avrebbe effetti pressoché nulli sul prezzo di questi prodotti e costerebbe 6,5 miliardi di euro all’anno (che probabilmente andrebbero tutti ai commercianti, che si guarderebbero bene di ridurre del 4% il prezzo) [10].
3) Quanto al divieto o al contrasto ai prodotti proteici da colture cellulari non si comprende con quale diritto uno Stato dovrebbe contrastare un gruppo di alimenti o addirittura proibire ai cittadini di mangiarli se questi cibi si dimostrassero non dannosi per la salute e l’ambiente.
Lo stesso ragionamento vale per i cibi che hanno come ingredienti farine di insetti: se una parte dei cittadini vuole mangiarli perché vietarlo? In questo caso, inoltre, è ormai accertato che tali cibi non fanno male alla salute, hanno un impatto ambientale molto minore rispetto ad altri cibi (carne, pesce, salumi, formaggi, latte), che l’uomo ne mangia da quando è comparso sulla Terra, che 5 miliardi di persone lo fanno abitualmente e che gli stessi italiani ne assumono circa 500g all’anno (senza saperlo e senza danni, come contaminanti più o meno occulti) [11]. La FAO e l’OMS addirittura da vari anni ne raccomandano l’assunzione per ridurre l’effetto serra, il consumo di suolo, la deforestazione e favorire una dieta più varia e quindi più salutare [12] .
4) Contrastare la fauna selvatica “nociva”. Si tratta soprattutto di cinghiali, cervi, caprioli, lupi, orsi. E’ fuori dubbio che alcune popolazioni di animali (es. cinghiali) siano eccessive. Va ricordato che tra le principali cause di tale fenomeno c’è la caccia (fino agli anni 2000 le associazioni venatorie sono state autorizzate a introdurre cinghiali di razza centroeuropea in boschi e campagne) e lo spopolamento delle aree montuose e collinari. Gli organi tecnici del Ministero dell’ambiente (ISPRA, ARPA) hanno ricercatori e uffici che monitorano la situazione e propongono provvedimenti [13]. Quello che c’è da fare non è permettere ad agricoltori e allevatori di “farsi giustizia da soli” ma dare più personale e fondi a questi organi tecnici (anche loro vittime dei tagli a tutto ciò che è pubblico, operato da quasi tutti i governi degli ultimi decenni).
5) Vietare l’importazione di prodotti agricoli, zootecnici e di fibre naturali da Paesi in cui sono ammessi pesticidi e pratiche agricole e zootecniche da noi vietate è sicuramente una giustissima richiesta (non solo perché si configura come una forma di concorrenza sleale, ma per cercare di salvare il nostro pianeta). Purtroppo nell’immediato non è di facile attuazione visti i trattati di libero commercio sottoscritti e le possibili ritorsioni. Da tempo le associazioni ambientaliste hanno avanzato tale richiesta e sono riuscite anche a ottenere un impegno della Commissione perché si vieti almeno l’esportazione di pesticidi vietati a Paesi extra UE. E’ necessario perciò che i cittadini sostengano tali organizzazioni, che facciano pressioni sui politici in tal senso e che abbiano comportamenti consapevoli e coerenti. Tutti sono contrari all’uso dei pesticidi ma la maggioranza delle persone quando acquista un prodotto guarda soprattutto il prezzo (che giudica quasi sempre eccessivo), non guarda la provenienza, dove e come è stato coltivato o allevato, se è di stagione o no.
Il settore agricolo italiano ed europeo ha sicuramente seri problemi. I principali sono:
– solo una piccola parte del valore prodotto dal sistema agroalimentare (produzione, commercio, industria alimentare, ristorazione), pari a 549 miliardi di euro, va agli agricoltori (l’11%) [14];
– subisce la concorrenza sleale di Paesi che non si preoccupano dell’effetto serra e dell’inquinamento da pesticidi;
– il cambiamento climatico ha aumentato enormemente l’incertezza e il rischio e costringe a scelte spesso difficili .
I politici dovrebbero cercare di risolvere tali questioni (cosa, va detta, non facile) e la stampa dovrebbe cercare di far comprendere ai cittadini qual è la reale situazione. Ci sembra invece che si faccia tanta demagogia e che l’appoggio di parte dei media e di alcuni partiti alle proteste degli agricoltori sia funzionale a stoppare i tentativi di conversione ecologica dell’economia e della società.
Il solo cambiamento climatico si stima causi nel mondo 5 milioni di morti ogni anno e danni economici di centinaia di miliardi di euro (anche e soprattutto all’agricoltura) [15, 16]. Gli scienziati ci avvertono da tempo che se il riscaldamento medio del pianeta supererà gli 1,5° C si innesteranno una serie di negativi effetti a cascata che faranno aumentare ancor più la temperatura con situazioni catastrofiche e danni inimmaginabili [17].
Purtroppo tutti parlano di effetto serra ma quando si tratta di fare un sacrificio, anche piccolo, per contrastarlo quasi tutti si tirano indietro e vogliono che siano gli altri a fare tali sacrifici. Succede con gli agricoltori e con i cittadini comuni che continuano ad avere comportamenti e stili di vita incompatibili con la salvezza del nostro pianeta.
Note: 1) Istat. 2) ANSA: Report UE: il reddito agricolo medio continua a crescere 10/11/23. 3) FAO 2021. 4) EFSA 2020. 5) Silva V et al. Pesticide residues in European agricultural soils, 2019; 6) UE 2022; 7) Eurostat 2022; 8) In Europa il settore agricolo emette l’11%, quello industriale il 9%, i trasporti il 23%. I dati si riferiscono al 2019. Fonte: European Environment Agency (EEA) 2023. 9) tg24.sky: Protesta agricoltori, Irpef e Pnrr: quanto pesano tasse e aiuti. 2/8/24. 10) MEF: 2022. 11) FDA 2023. Ricordiamo che la UE con estrema prudenza ha consentito la vendita di solo 4 specie di insetti. 12) Sui cibi proteici da colture cellulari e sugli alimenti a base di insetti consigliamo l’articolo di Scienza in rete: Carne coltivata, proteine vegetali, insetti: a che punto siamo? 29/5/23. 13) ISPRA 2023. 14) Pianeta PSR: Le catene del valore del sistema agroalimentare italiano: dal food alla bioeconomia, n. 120, gennaio 2023. 15) Zao Q et al: Global, regional, and national burden of mortality associated with non-optimal ambient temperatures from 2000 to 2019: a three-stage modelling study, The Lancet, 2021. 16) Le stime dei danni economici sono molto variabili ma sempre nell’ordine delle centinaia di miliardi all’anno. Secondo uno studio della compagnia di assicurazione Munich Re nel solo 2021 ci sono stati danni per 280 miliardi di dollari. 17) IPCC.
La “gestione della terra” e concentrazione dell’agricoltura in Italia: i dati – Alessandro Bartoloni
Il movimento dei trattori che sta scuotendo l’Italia ha suscitato un grande interesse per le condizioni dell’agricoltura nel nostro paese. Un settore sempre più concentrato nelle poche mani di grandi imprenditori capitalisti e per questo sempre più lontano dalle esigenze dei lavoratori, dei consumatori e della natura.
La gestione della terra
Dai dati ISTAT aggiornati al 2020 emerge che nell’arco di 38 anni si è passati da 3,1 milioni di aziende agricole a 1,1 milioni (-64%). E anche i terreni sono diminuiti: la superficie agricola utilizzata (SAU) è calata del 20,8%, quella totale del 26,4% per una perdita di 33 mila e 60 mila chilometri quadrati rispettivamente (per avere un’idea, l’intera Sicilia è grande meno di 26 mila km2).
Dunque, ci sono sempre meno aziende e il minor terreno a disposizione è gestito da soggetti sempre più grandi. Ma a fronte di una complessiva diminuzione della terra a disposizione che nell’ultimo decennio è stata pari al 2,5%, le piccole aziende risultano avere sempre meno terra, mentre quelle grandi l’aumentano.
Oramai, il 60% della superficie agricola utilizzata è in mano all’8% delle aziende (quelle con più di 30 ettari) con le imprese oltre i cento ettari che, pur rappresentando solamente l’1,6% del totale, controllano il 30% dei campi. Di contro, il 51% delle aziende più piccole (quelle con meno di 3 ettari) gestiscono meno del 6% di tutta la terra utilizzata.
La proprietà della terra
Ma la centralizzazione dell’utilizzo dei terreni non significa che l’imprenditore agricolo ne sia proprietario. Al contrario, si assiste a un progressivo aumento di aziende che lavorano terra altrui. Nel 2000 la superficie agricola utilizzata presa in affitto e in uso gratuito era pari al 23% del totale, nel 2010 era il 38% e oggi ha raggiunto il 50% (la superficie data in uso gratuito rappresenta il 10% del totale). In pratica si è assistito a una crescita che in vent’anni è stata di oltre il 103%, passando da 3.058.191 ettari (30 mila km2) a 6.217.988 (62 mila km2). Un risultato notevole, che nel complesso fotografa una situazione di parità fra la superficie condotta direttamente e la superficie condotta in affitto e comodato gratuito. Un processo di divaricazione tra proprietà e gestione che nelle regioni settentrionali è ancora più marcato.
Malgrado ciò, non sembrano esistere statistiche ufficiali riguardanti la proprietà della terra data in affitto. Difficile che appartenga ad aziende agricole che scelgono di non utilizzarla per fini produttivi. Molto più probabile che sia riconducibile a soggetti esterni al mondo agricolo. E se la tendenza alla centralizzazione della gestione della terra in capo a poche grandi aziende è vera, c’è da aspettarsi che tale tendenza valga anche per quanto riguarda la proprietà (e non c’è motivo per cui non lo sia). Di conseguenza, è verosimile aspettarsi una spartizione di questi terreni tra tanti piccoli proprietari di prime o seconde case in campagna, che concedono la poca terra a disposizione in comodato gratuito alla vicina azienda agricola in cambio della custodia dei campi e di qualche prodotto, e pochi grandi latifondisti (fondi di investimento, banche, assicurazioni, uomini politici e finanzieri) che controllano la maggior parte dei terreni (sopratutto quelli migliori).
In mancanza di dati, per farsi un’idea della situazione è necessario riferirsi a singoli casi emblematici. Illuminante quello della Oasi Dynamo, azienda agricola e agrituristica affiliata al WWF di proprietà del fondo di investimento Natural Capital, a sua volta controllato tramite da una multinazionale tedesca del rame (la KME), interessata agli investimenti nel mercato del carbonio celati dietro la nobile “difesa del capitale naturale”. L’Oasi Dynamo, infatti, gestisce circa mille ettari di terra in provincia di Pistoia (e a sua volta controlla un’altra azienda agricola in provincia di Mantova), che però sono stati intestati alla Natural Capital. Pertanto, l’azienda agricola lavora terra non più sua e per la quale deve pagare una rendita che, malgrado la crisi, nel 2021 è stata di quasi 60.000 euro e nel 2022 di oltre 264.000.
Inoltre, come avviene per un numero crescente di aziende operanti nel settore primario, la maggior parte del fatturato della Oasi Dynamo (oltre 1,2 milioni di euro) non proviene dall’attività agricola – che contribuisce solamente per il 29% dei ricavi totali del 2022 – bensì dalle attività alberghiere (32%) e dai “servizi ecosistemici” (39%), cioè dalla produzione e vendita di certificati di CO2 necessari per consentire alle industrie come la KME di continuare a inquinare (i dati sono stati ricavati consultando i bilanci depositati in Camera di commercio e i registri catastali).
La concentrazione degli investimenti
Il dominio delle grandi aziende si riscontra anche sul lato degli investimenti in capitale fisso. Per quanto riguarda la digitalizzazione, nel 2020 poco meno del 16% delle aziende agricole usava attrezzature informatiche o digitali, una quota oltre quattro volte superiore a quella rilevata nel 2010 (4%). Malgrado l’enorme crescita, la percentuale rimane ancora piuttosto bassa e nasconde profonde differenze a seconda della grandezza dell’azienda. Tra quelle che impiegano almeno dieci unità di lavoro (ULA) risultano informatizzate il 78% del totale, contro appena il 9% di quelle che ne impiegano uno o nessuno (le aziende che stanno nel mezzo e utilizzano attrezzature digitali sono il 45%).
Per quanto riguarda la presenza di investimenti innovativi nel triennio 2018-2020 solamente l’11% dichiara di averne effettuato almeno uno. Ma, anche in questo caso, in quelle con 10 o più unità di lavoro l’incidenza delle aziende innovatrici (58%) supera quella delle aziende che non effettuano investimenti innovativi (42%). Nelle aziende che contano tra 2 e 9 ULA la quota di aziende innovatrici è invece del 31% contro il 69% delle aziende che non innovano mentre tra quelle più piccole solamente il 6% ha effettuato un investimento innovativo nel triennio a fronte del 94% che non innova.
La concentrazione della forza-lavoro e della produzione
Questo processo di concentrazione degli investimenti e della terra in capo a poche grandi aziende richiede il passaggio da una gestione familiare a una gestione sempre più imprenditoriale basata sull’utilizzo di manodopera salariata. I dipendenti, che nel 2010 rappresentavano il 24% di tutti gli impiegati (familiari e non familiari), nel 2020 sono arrivati a rappresentare il 47%, facendo segnare una crescita di oltre il 22% in dieci anni e un’incidenza sul totale delle giornate standard lavorate che è arrivata al 32% (dieci anni prima era al 20%). Tra gli impiegati la tipologia più diffusa di manodopera è quella saltuaria (oltre il 66% del totale) mentre quelli non assunti direttamente dall’azienda agricola rappresentano il 7%. Particolarmente diffusa è la manodopera straniera: il 45% dei lavoratori non assunti direttamente dall’azienda non è di nazionalità italiana e la maggior parte di loro (il 29% del totale) proviene da Paesi extra Ue. Per quanto riguarda quelli saltuari le percentuali sono del 35% e del 20% rispettivamente. Nel complesso, la presenza della manodopera straniera tra i lavoratori non familiari si è accentuata nel decennio: nel 2020 è straniero circa un lavoratore su tre mentre nel 2010 era straniero uno su quattro.
Dove vadano a lavorare queste persone è presto detto. L’utilizzo dei dipendenti salariati, infatti, è maggiore tra le imprese con fatturato oltre i 100 mila euro che, pur rappresentando il 5% del totale, nel 2017 (ultimo dato disponibile) impiegavano il 54% di tutta la manodopera (le aziende con un fatturato oltre i 500 mila euro che sono lo 0,5% del totale impiegano il 17,5% dei lavoratori). Di contro, le aziende con fatturati inferiori a 50 mila euro (l’89% del totale) nel 2017 impiegavano meno del 29% di tutta la manodopera dipendente.
Per quanto riguarda la ripartizione della produzione, dai dati aggiornati al 2017 emerge che lo 0,5% delle aziende più grandi (quelle con fatturato maggiore di 500 mila euro) producono oltre il 22% del valore del settore (nel 2010 erano lo 0,4% e producevano meno del 20%). Se poi si vedono tutte le aziende che fatturano più di 100 mila euro, cioè il 5% del totale, la loro quota di produzione è pari al 56% del totale. Al contrario, le aziende con meno di 50 mila euro di fatturato sono l’89% (sette anni prima erano il 91%) e producono solamente il 28,5% del valore totale (nel 2010 era il 32%).
Stando così le cose, il mancato ricambio organico con la natura (inquinamento dell’aria, delle falde, della terra, impoverimento dei suoli, perdita di biodiversità, ecc) e la conseguente insicurezza degli ambienti di lavoro e la scarsa qualità di molti alimenti che arrivano sulle nostre tavole devono essere addebitati ai grandi capitalisti che investono nell’agricoltura, non ai piccoli e piccolissimi che, tra mille contraddizioni e senza il concreto appoggio dei braccianti e dei consumatori, protestano contro lo stato di cose presenti.
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.
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